giovedì 8 gennaio 2015

Tutùm Narrativa: "Candida" di S. Mauriello

Il 2015 per Tutùm è l'anno delle novità: le capocce che sono alla base di tutto questo, giorno dopo giorno, stanno preparando una serie di nuove rubriche per arricchirsi e arricchirvi. Oggi inizia un nuovo viaggio, una volta al mese (o forse di più?) apriremo le porte alla narrativa. Con Candida mi assumo la responsabilità di iniziare, e... Buona lettura!

© Jacopo Naddeo
La mia camera è bianca, completamente bianca. Le pareti sono bianche, le lenzuola. 
E' candidamente bianca. 
Mi maledico ogni domenica mattina per aver scelto il colore meno colore di tutti, il colore della luce, come elemento essenziale della mia camera da letto. 
Oggi è domenica, ieri sera credo di non aver avuto forza per abbassare le tapparelle. Una luce immane mi attraversa le palpebre seppure serrate, gli occhi mi fanno male, in bocca ho un sapore di plastica. 
Come ho fatto ieri sera a ridurmi in questo stato? 
Gli occhi ancora chiusi, mi rendo conto di non indossare il pigiama, ho solo un boxer da donna nero di Calvin Klein. 
Mi stropiccio un occhio e socchiudo l'altro. Per terra c'è il mio corpetto bianco. Ieri ero vestita da principessa, di questo ne sono sicura. Principessa un po' porno un po' rock. Festa di carnevale. Sul parquet in corridoio, vicino l’ingresso della camera, c’è una calzamaglia verde arrotolata su se stessa, poco più avanti una maglia dello stesso colore. 
Ma cosa ho fatto ieri sera? 
Mi devo tirare su dal letto, per forza. Mi alzo e vado in cucina. Un bicchiere d’acqua per liberarmi la bocca dall’impasto post qualsiasi cosa che alteri il mio stato psico-fisico. Sorseggio e ho un flash: io, un Robin Hood dagli occhi scuri, lo guardo e rido, davanti a noi una mangiafuoco dallo sguardo ghiacciato e i rasta color pece. Robin Hood lì con me, alto e palestrato, mi aggancia la vita avvicinandomi a lui. 
Bella roba me so fatta ieri sera! 
La mangiafuoco sembra una fata tutta verde con la bocca di un drago. E’ l’unica luce ad illuminare la scena dai contorni un po’ sfocati. Ogni immagine sembra tratta da un vecchio film in bianco e nero ricolorato al computer. Una pellicola rovinata alla luce con qualche macchia scura simile ad una bruciatura di sigaretta sulla plastica. I bordi infiammati si allargano lentamente, e tutto cade nuovamente nel nero. Nell’oscuro. Solo voci, musica, caos. E gli occhi della fatina di fuoco che si avvicina e mi manda un bacio. Io mi incanto lì a guardarla, fisso quel viso magnetico illuminato dalla sua stessa bocca. Il corpo suadente si muove a ritmo di musica, sensuale per natura e non per volontà. 
Robin ride, risate fragorose, risate tuonanti, e di nuovo nulla. 
Poso il bicchiere, accendo la macchina del caffè, realizzo: se la calzamaglia è qui, allora anche Robin Hood deve esserci, non può mica essere andato via in mutande. Ma come ho fatto ad andare a letto con un tipo in calzamaglia? 
Sento un rumore dal bagno, deve essere lui. L’acqua si chiude, dei passi. La maniglia della porta si abbassa. Ora mi aspetta il buongiorno di un bel fusto palestrato. Quale miglior modo per terminare una settimana di lavoro? 
“Sei in piedi? Volevo portarti la colazione. Scusa il vocione da trans, ma la mattina è sempre così, sai, le sigarette...” 
La tazzina del caffè cade per terra e si rompe. 
Mi esce un buongiorno sbiascicato, mi si avvicina. 
“C’è qualcosa che non va? Dai torniamo a letto …” 
Mi accarezza il mento e mi guarda. Io non ci capisco un cazzo. Ho davanti a me due gambe candide, una vita da vespa e un fisico costretto in un asciugamano da viso bianco. Una marea di dreadlocks corvini. Due occhioni grigi che sbattono le ciglia, mi guardano interrogativi ed eccitati. 
“Sei bella, sai?” “Io… Io sono… Io sono etero!” 
Scatto, mi irrigidisco d’improvviso. 
Ma che cazzo ho fatto ieri sera?! E Robin Hood dov’è? 
Un sorriso che si tramuta in una risata ilare. 
“Non l’avrei mai detto stanotte!”

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