Max Bill, Unità tripartita |
È
il 1280 circa, Marco Polo si trova alla corte di Kublai Khan.
L'imperatore l'ha incaricato di visitare il suo impero per poi
tornare a narrarglielo. Kublai Khan è, forse, l'uomo più potente
del mondo, ha ai suoi piedi un regno i cui limiti sono inafferrabili,
il mondo è suo. Eppure, quello stesso mondo che gli appartiene, non
è per lui accessibile. Kublai Khan non vivrà mai abbastanza per
visitarlo tutto. «Nella vita degli imperatori c'è un momento, che
segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che
abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che
presto rinunceremo a conoscerli e comprenderli». È Marco Polo a
rendergli il mai divenire, con i racconti di un viaggio compiuto da
nessuno, «tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno
più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo
rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di
desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto,
le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne
nasconde un'altra». Le città hanno nomi di donne e ognuna offre un
sogno diverso, peculiare del suo essere. Adelma racchiude le anime di
amici e parenti morti, Zemrude cambia seguendo l'umore di chi la
guarda, Cloe dove ogni sguardo è lussuria, Bauci è sulle nuvole...
I
dialoghi tra i due sono la cornice unificante del mondo romanzesco in
cui si alternano cinquantacinque descrizioni di città. Impossibile
riassumere in poco spazio la complessa modalità in cui si
dispongono, basti sapere che i percorsi sono molteplici e che il
lettore trova di fronte a se la possibilità di non seguirne nessuno.
E come l'autore gioca con il lettore, così il lettore responsabile
può giocare con l'autore e rendere quel mondo totalmente proprio.
Io,
vi presento Leonia,
in un modo o nell'atro, colei che amo di più.
"La
città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la
popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette
appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti,
estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora
intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello
d’apparecchio.
Sui
marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della
Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi
di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali,
contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni,
enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose
che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di
Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per
far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di
Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse,
o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi da
una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti
come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza
di ieri è circondato d’un rispettoso silenzio, come un rito che
ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba
nessuno vuole più averci da pensare.
Dove
portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo
chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande,
e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del
gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si
dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di
Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura
migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a
fermentazioni e combustioni. E’ una fortezza di rimasugli
indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un
acrocoro di montagne.
Il
risultato è questo: più Leonia espelle roba più ne accumula; le
squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può
togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa
nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che
s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi
giorni e anni e lustri.
Il
pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo
sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo
crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono
lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i
confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con
al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le
città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti
dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si
mescolano.
Più
ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta
che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli
dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari
d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio
passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle
città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la
sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli
sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi
rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo
territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai."
Serena Mauriello
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