lunedì 26 gennaio 2015

AsSaggi di Letteratura di S. Maurello: Italo Calvino, Le città invisibili

Max Bill, Unità tripartita
Gianni Celati parlava delle Città invisibili di Italo Calvino paragonandole al nastro di MoebiusIl nastro di Moebius è una figura presa in concessione dalla matematica topologica, sostanzialmente si tratta di un nastro congiunto ad anello dopo aver effettuato una torsione su se stesso. Grazie alla sua particolare forma, è possibile percorrerlo su ogni lato senza mai varcarne i bordi. Cosa intendeva dire, con questo, Celati? Sulla struttura delle Città invisibili, che hanno preso vita poco a poco dal 1960 al 1974, si potrebbe parlare per pagine intere, perdendosi per dover ricominciare, ritrovandosi inconsapevolmente. È un gioco di semiotica e strutturalismo, Calvino in una conferenza alla Columbia University nel 1983 disse «questo libro è fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po' dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli». Spigoli che Moebius non ha senza, però, perdere la sua poliedricità.
È il 1280 circa, Marco Polo si trova alla corte di Kublai Khan. L'imperatore l'ha incaricato di visitare il suo impero per poi tornare a narrarglielo. Kublai Khan è, forse, l'uomo più potente del mondo, ha ai suoi piedi un regno i cui limiti sono inafferrabili, il mondo è suo. Eppure, quello stesso mondo che gli appartiene, non è per lui accessibile. Kublai Khan non vivrà mai abbastanza per visitarlo tutto. «Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e comprenderli». È Marco Polo a rendergli il mai divenire, con i racconti di un viaggio compiuto da nessuno, «tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra». Le città hanno nomi di donne e ognuna offre un sogno diverso, peculiare del suo essere. Adelma racchiude le anime di amici e parenti morti, Zemrude cambia seguendo l'umore di chi la guarda, Cloe dove ogni sguardo è lussuria, Bauci è sulle nuvole...
I dialoghi tra i due sono la cornice unificante del mondo romanzesco in cui si alternano cinquantacinque descrizioni di città. Impossibile riassumere in poco spazio la complessa modalità in cui si dispongono, basti sapere che i percorsi sono molteplici e che il lettore trova di fronte a se la possibilità di non seguirne nessuno. E come l'autore gioca con il lettore, così il lettore responsabile può giocare con l'autore e rendere quel mondo totalmente proprio.
Io, vi presento Leonia, in un modo o nell'atro, colei che amo di più.

"La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi da una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispettoso silenzio, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E’ una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risultato è questo: più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai."



Serena Mauriello

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