Questo AsSaggio è uscito su Tutùm lo scorso 29 ottobre. Abbiamo deciso di riproporvelo, visto l'interesse "a suo tempo" suscitato nei lettori.
«Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace» dice un detto popolare, e mai fu più vero come nel '600.
Facendo una cernita letteraria delle donne che per secoli hanno affollato i versi dei poeti italiani fino alla fine del Cinquecento, il panorama estetico si può definire piuttosto monotonale, oltre che monocromatico. I capelli della dolce Laura erano d'oro scompigliati dal vento, e che ritratto aveva creato Dante per la sua Beatrice? «Le sue chiome erano crespe e bionde, con un adornamento di perle […] spaziosa avea la fronte; amorosa la bocca; diritto il naso; il labbro sottile; il mento breve, fesso; tondeggiante, svelta e bianca la gola; l'impostatura sul collo perfetta e il portamento sul tronco accompagnato da alcuna alterezza», ha risposto per noi nel 1832 Melchior Missirini nel suoDell'Amor di Dante Alighieri e del ritratto di Beatrice Portinari. A vincere il premio del più imitato del Cinquecento è tuttavia Petrarca grazie al successo inaudito delle Prose della volgar lingua bembiane che lo sancirono come canone, tuttavia il panorama della bellezza muliebre non sarebbe mutato di molto se il grammatico veneto avesse scelto l'Alighieri come prediletto. Sembra quasi che le donne del passato fossero tutte uguali, anche senza l'uso della chirurgia estetica.
Poi arriva Marino e succede qualcosa. La poesia cambia, la retorica muta, le immagini si fanno ardite. Il Seicento è il barocco, è artificio retorico, è il molteplice. È l'amore per la metafora, il gusto per il saper concludere un sonetto con una tensione sensibile che sappia esplodere sul finale. Uno schiaffo al passato per rivolgersi a tutto ciò che non è mai stato. Marino dal petrarchismo è lontano anni luce e lo afferma esplicitamente presentandosi come padre della nuova poesia. Come ricordano Cudini e Conrieri nel loro Manuale non scolastico di letteratura italiana il processo moltiplicativo investe anche l'aerea erotica: l'immagine di una giovane dalle fattezze perfettamente equilibrate, dal volto divinamente simmetrico incorniciato con in una chioma aurea, si diffrange in una serie di belle dalla differente figura.
Differente, tuttavia, è dir poco.
Il campionario della bellezza marinista accoglie ogni tipo di donna, senza indiscrezioni.
E finalmente le donne non sono più bionde.
Eccole, una dopo l'altra, la bella pidocchiosa, la bella zoppa, la bella con gli occhiali (sarà nato proprio nel Seicento il fascino della segretaria?), la bella nana, la bella gobba, la bella mendica, la bella spiritata, la bella a cui manca un dente, e la più sensuale di tutte: la bella con la pulce sulle poppe. L'elenco potrebbe continuare ancora, ma fermiamoci qui per il momento. I marinisti le amano tutte, e senza farsi troppi problemi godono di ogni loro difetto perché è proprio esso a rendere la loro bellezza unica e diversa dalle altre.
Io ora vi lascio in compagnia di due bellezze seicentesche, e già che ci sono posso posticipare l'appuntamento dal parrucchiere di una settimana.
Giuseppe Artale, Pulce sulle poppe di bella donna
Picciola instabil macchia, ecco, vivente
in sen d'argento alimentare e grato;
e posa ove il sol fisso è geminato
brieve un'ombra palpabile' e pungente.
Lieve d'ebeno star fera mordente
fra nevosi sentier veggio in aguato,
e un antipodo nero abbreviato
d'un picciol mondo, e quasi niente un ente.
Pulce, volatil neo d'almo candore,
che indivisibil corpo hai per ischermo,
fatto etïopo un atomo d'amore;
tu sei, di questo cor basso ed infermo
per far prolisso il duol, lungo il languore,
de' periodi miei punto non fermo.
in sen d'argento alimentare e grato;
e posa ove il sol fisso è geminato
brieve un'ombra palpabile' e pungente.
Lieve d'ebeno star fera mordente
fra nevosi sentier veggio in aguato,
e un antipodo nero abbreviato
d'un picciol mondo, e quasi niente un ente.
Pulce, volatil neo d'almo candore,
che indivisibil corpo hai per ischermo,
fatto etïopo un atomo d'amore;
tu sei, di questo cor basso ed infermo
per far prolisso il duol, lungo il languore,
de' periodi miei punto non fermo.
Giovan Leone Sempronio, La bella zoppa
Move zoppa gentil piede ineguale,
cui ogn’altra è ineguale in esser bella;
e così zoppa ancor del dio che ha l’ale
sa le alate fuggir auree quadrella.
Tal forse era Euridice, e forse tale
era Venere a l’hor che a questa e a quella
morse il candido pie’ serpe mortale,
punse il candido pie’ spina ribella.
Consolisi Vulcan; ché se talora
mosse il suo zoppicar Venere a riso,
oggi sa zoppicar Venere ancora.
E certo questa dea, se il ver m’avviso,
solo il tenero pie’ si torse a l’ora
ch’ella precipitò dal paradiso.
Serena Mauriello
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