«Ma
Sereni ci ha insegnato che si può, anzi si deve, convivere coi morti
altrettanto e più che coi vivi. Trafitto dal rimpianto, il colloqui
con lui continuerà, continuerà.»
Pier
Vincenzo Mengaldo
Era il luglio del 1943 quando Vittorio Sereni, richiamato alle armi prima in Grecia e poi in Sicilia, fu catturato
dagli Alleati. Trascorse
due anni di prigionia in Algeria e in Marocco, furono mesi di attesa
in cui i pensieri del poeta presero forma nella raccolta Diario
d'Algeria (1947)
in cui sono evidenti i richiami strutturali all'altro grande diario di guerra,
l'Allegria
di
Ungaretti, ma con uno sviluppo tutto segnato dalla propria
individualità. La forma diaristica prende il sopravvento di verso in
verso e nell'ultima parte le rime lasciano spazio alle prose di
memoria in cui l'io del poeta prende si rivela.
La
parola chiave è prigionia nel suo senso letterale e allegorico. Non
solo un aspetto del reale, ma anche una condizione psicologica: come
un morto che non sa di esserlo il prigioniero vive in un'illusione
dura a cessare tramite cui «tenta di resuscitare o ripetere la vera
vita»1
ma alla fine «si rovescia necessariamente nel disdegnoso gusto con
cui egli accetta la prigionia come unica dimensione del reale»2
da cui non sembra possibile liberarsi. In un quella dimensione di
attesa ogni riferimento si perde, i ricordi del passato si proiettano
davanti ai suoi occhi come fantasmi o apparizioni e i loro
protagonisti sembrano aver attraversato la vita oniricamente. Se
ogni componimento viene seguito dalla data e dal luogo di creazione,
la dimensione poetica rimane connotata comunque da un forte senso di
colpevole astoricità in cui l'io, conseguentemente, rimane impotente agli
avvenimenti che si profilano davanti i suoi occhi3.
Tra isolamento e volontà di partecipare alle vicende di un mondo dal
sapore apocalittico, l'io di Sereni è scisso in un dramma che sa
essere condizione esemplare e individualità.
Dimitrios4
A
mia figlia
Alla
tenda s'accosta
il
piccolo nemico
Dimitrios
e mi sorprende,
d'uccello
tenue strido
sul
vetro del meriggio.
Non
torce la bocca pura
la
grazia che chiede pane,
non
si vela di pianto
lo
sguardo che fame e paura
stempera
nel cielo d'infanzia.
E'
già lontano,
arguto
mulinello
che
s'annulla nell'afa,
Dimitrios
- su lande avare
appena
credibile, appena
vivo
sussulto
di
me, della mia vita
esitante
sul mare.
Pireo,
agosto 1942
***
Ahimè
come ritorna
sulla
frondosa a mezzo luglio
collina
d'Algeria
di
te nell'alta erba riversa
non
ingenua la voce
e
nemmeno perversa
che
l'afa lamenta
e
la bocca feroce
ma
rauce un poco e tenera soltanto...
Saint
Cloud, luglio 1944
***
Spesso
per viottoli tortuosi
quelque
part en Algérie
del
luogo incerto
che
il vento morde,
la
tua pioggia il tuo sole
tutti
in un punto
tra
sterpi amari del più amaro filo
di
ferro, spina senza rosa...
ma
già un anno è passato,
è
appena un sogno:
siamo
tutti sommessi a ricordarlo.
Ride
una larva chiara
dov'era
la sentinella
e
la collina
dei
nostri spiriti assenti
deserta
e immemorabile si vela.
Sidi-Chami,
novembre 1944
Serena
Mauriello
Bibliografia
1Pier
Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento,
Milano, Mondadoti, 1978, p. 748.
2Ibidem.
3Cfr.
Laura Neri, Le forme del tempo nel Diario
d'Algeria, in Vittorio Sereni, un altro compleanno,
a cura di Edoardo Esposito, Milano, Ledipublishing, 2014.
4Per
le poesie si fa riferimento a Vittorio Sereni, Diario d'Algeria,
Milano, Mondadori, 1998.
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