Nel 1884 lo scrittore francese Karl Huysmans narrava, tra le
pagine del romanzo Controcorrente,
quella che Guy de Maupassant ha poi definito la “storia di una nevrosi”: il protagonista è Jean Floressas Des
Esseintes, un ricco parigino rimasto orfano in giovane età che, dopo una dura
educazione gesuita e qualche anno passato tra i salotti aristocratici, resta
deluso dalla vuota e frivola mondanità della vita di Parigi. Così, sempre più alienato
dai propri desideri, decide di chiudere ogni contatto con la società per
rifugiarsi in una villa di campagna, teatro di un ritiro che diverrà poi fatale:
arreda il suo spazio con una cura maniacale, con la scelta meticolosa di
colori, materiali, abbinamenti; acquista una tartaruga che fa poi imbellettare
di diamanti per seguire la linea domestica e, oltre ad allestire una biblioteca
contenente i volumi da lui preferiti, si dedica alla composizione di profumi e
alla cura di piante, tutto in nome dell’artificialità. Il suo diviene un piccolo
pianeta in cui tutto è su misura e completamente estraneo al divenire del mondo
esterno…
“Volevo una casa da sogno. Un luogo nel quale fosse possibile lavorare
e anche divertirsi, senza i problemi e i conflitti del mondo esterno. Un ambiente
che un uomo potesse gestire da solo. Lì sarebbe stato possibile trasformare la
notte in giorno, vedere un film a mezzanotte e chiedere che mi venisse servita
la cena a mezzogiorno, partecipare a riunioni di lavoro in piena notte e avere
incontri romantici la sera.
Sarebbe stato un rifugio e un santurario…..”
Le righe che avete appena letto non sono un passo di
Controcorrente. A parlare non è un
maniacale aristocratico dall’animo decadentista della Parigi di fin de siècle, ma Hugh Hefner, il
fautore di Playboy, l’impero mediatico e immobiliare che, nel bel mezzo della
guerra fredda, ha segnato inderogabilmente la storia dell’immaginario
collettivo architettonico e sessuale che domina tutt’oggi la cultura mediatica
e di massa contemporanea.
Hugh Hefner |
“…Mentre il resto del mondo rimaneva fuori dal mio controllo, nella Playboy
Mansion tutto sarebbe stato perfetto. Questo era il mio piano. Sono cresciuto
in un ambiente molto repressivo e conformista, per questo cercavo di creare il
mio proprio universo, nel quale sentirmi libero di vivere e amare in un modo
che la maggior parte della gente si azzarda appena a sognare”.
A parlare di lui e del mondo a cui ha dato vita è la
filosofa spagnola Beatriz Preciado, che nel libro Pornotopia, edito da Fandango Edizioni e vincitore del premio “Miglior
saggio dell’anno di Anagrama”, ha svolto una
vera e propria inchiesta
conoscitiva tra le pagine patinate – e le mura –dell’universo delle conigliette,
quello che mi vedevo in televisione a dodici anni e che mai avrei immaginato
essere un punto nevralgico fondamentale nell'evoluzione del nostro universo simbolico.
La cultura di genere statunitense del secondo dopoguerra
vedeva contrapposti due spazi: quello urbano, a completo uso e consumo del
maschio di famiglia lavoratore, e quello suburbano, teatro di una domesticità
dominata dal mondo femminile, dalla donna di casa, dalla madre di famiglia;
cellula riproduttiva e specchio dell’immaginario nazionalista americano. Una divisione
rigida, frutto di usi e costumi ormai anziani, destinati ad estinguersi presto.
E un elemento che contribuisce fortemente questa estinzione, ci spiega la Preciado, è rappresentato dal coniglio rosa, il simbolo di Playboy: la figura sagomata rappresentante l’ingenuo
musetto di bunny
non vuole rimandare alle modelle della mansion – che appariranno ‘armate’ d’orecchie solo dieci anni dopo –, ma al destinatario principale della rivista: lo scapolo, il divorziato, l’uomo che, in contrapposizione alla figura del “soldato fisico e primitivo" della Seconda guerra mondiale, sceglie di prender parte a quella che l’autrice definisce una “rivoluzione maschilista”, una riappropriazione maschile dello spazio domestico fino a quel momento “sequestrato” dalle mogli: “Mettendo in discussione la relazione politica storicamente stabilita tra spazio domestico e femminilità – sottolinea Preciado – Playboy inizia un processo di denaturalizzazione della domesticità parallelo, anche se in un certo senso opposto, a quello che il femminismo mette in moto negli stessi anni”.
non vuole rimandare alle modelle della mansion – che appariranno ‘armate’ d’orecchie solo dieci anni dopo –, ma al destinatario principale della rivista: lo scapolo, il divorziato, l’uomo che, in contrapposizione alla figura del “soldato fisico e primitivo" della Seconda guerra mondiale, sceglie di prender parte a quella che l’autrice definisce una “rivoluzione maschilista”, una riappropriazione maschile dello spazio domestico fino a quel momento “sequestrato” dalle mogli: “Mettendo in discussione la relazione politica storicamente stabilita tra spazio domestico e femminilità – sottolinea Preciado – Playboy inizia un processo di denaturalizzazione della domesticità parallelo, anche se in un certo senso opposto, a quello che il femminismo mette in moto negli stessi anni”.
Marylin Monroe sulla prima copertina di Playboy, 1953 |
L’uomo diventa coniglio cacciatore, frivolo adolescente alla
ricerca della giovane preda che per una notte esaudirà i suoi desideri,
fortemente proibiti dal moralismo americano. E l’oggetto principale di questa
nuova cultura farmacopornografica, a
partire dalla prima uscita della rivista (1953), è la “ragazza della porta
accanto”. La prima copertina di Playboy è a colori – una novità per l’editoria
di quegli anni – e ritrae la Marylin Monroe languida e sorridente che farà da
linea guida a tutte le altre conigliette. Il fruitore, tra articoli di
architettura e riflessioni sul ruolo del
nuovo maschio eterosessuale e consumista, ha a disposizione al centro degli issue un poster pieghevole contenente le immagini della coniglietta del mese. Immagini
che, per mezzo di una pubblicizzazione dello spazio domestico in cui è ritratta
la ragazza, apriranno le porte sia al mondo pornografico che a quello degli ormai noti reality show. È un’ intimità pieghevole, quella inaugurata
da Hefner e collaboratori. Un’intimità che più avanti, con il completamento del
primo impero immobiliare Playboy fatto di mansion e club, secondo Preciado segnerà
la rivoluzione non solo dell’architettura moderna, ma anche dei simboli culturali
– nonché mediatici – ad essa collegati: la donna diventa oggetto voluttuoso della masturbazione maschile, la casa del coniglio non vuole la femmina se non come mero complemento d'arredo: nascono la cucina senza cucina, il
letto girevole (a cui l'autrice dedica un lungo paragrafo), le grotte tropicali
artificiali, le suddivisioni domestiche tra padrone di casa e conigliette che l’autrice affronta in chiave
foucaultiana; la mansion di Hefner, rifugio artificiale e continuamente
connesso ai media (stampa e televisione) che l'abitante non abbandona mai (Hefner
non uscirà dal suo mondo per ben quaranta anni!), diventa il primo bordello
multimediale della storia ispirato alle utopie sessuali del marchese De Sade e dell’architetto
francese Ledoux.
Stanza della Chicago Playboy Mansion |
Il mio è un sunto molto magro, perché Preciado in questo
saggio ha svolto un’analisi tanto minuziosa e ampia che ovviamente non basta un
articolo a rinchiuderla tutta. Ma io fin da subito sono stata colpita da un
parallelismo che mi è sorto spontaneo e che si trova proprio alla radice: Hefner, come il Des Esseintes di Controcorrente, è annoiato dall’educazione
oppressiva e borghese che domina l’universo moralista in cui vive. E quella che,
parafrasando Foucault, nel caso di Huysmans può forse essere considerata una
sorta di “eterotopia” al servizio del
singolo, quasi un secolo dopo sembra cambiare forma e ampliare il suo pubblico: diventa quella che Preciado chiama la
“pornotopia” mediatica dell’universo Playboy, al servizio di un’intera società
consumistica:“Quello che è moderno nell’architettura moderna - scrive l'autrice citando la storica Beatriz Colomina - non è il funzionalismo
né l’uso dei materiali, bensì la sua relazione con i mezzi di comunicazione di
massa”.
“Credo che Playboy sia per la filosofia politica
contemporanea quello che la locomotiva a vapore fu per Marx, un modello di
produzione economica e culturale imprescindibile per comprendere le mutazioni
che hanno avuto luogo durante la seconda metà del ventesimo secolo.” (Beatriz Preciado)
Giulia Capozzi
(@giulscapozzi)
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