La prima volta che ho aperto Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana sono
rimasta senza parole. Forse perché Gadda le usava già tutte, forse
perché veramente non riuscivo a comprendere cosa mi stesse dicendo.
Dietro a quel cumulo di pensieri addensati, a quelle schiere di
aggettivi, a quelle accumulazioni caotiche, a quell'espressionismo
coatto, non riuscivo a cogliere il filo conduttore delle immagini.
Eppure qualcosa c'era, e ne ero consapevole. Gadda va analizzato
nelle viscere, va scavato nel profondo. Cercare di dare un quadro
completo di una figura così frammentata nel poco spazio che mi
concedo ogni volta, sarà senza dubbio una sfida ardua, ma vale la
pena provarci.
Quella
di Gadda è chiaramente una prosa che nasce da una prova poetica. Non
serve un genio né un esperto a comprenderlo, ma delle sue poesie non
si parla perché, appunto, furono prove. Nel 1954 affermò che già a
diciassette anni aveva una rima facilissima, come ricorda Giorgio
Patrizi in Carlo Emilio Gadda,
fu quello il terreno della sua sperimentazione. Nella poesia Gadda
crea un sistema di immagini, visioni, evocazioni che con l'ausilio di
un lessico aulico definiscono un rapporto ben definito tra soggetto,
storia e natura. Di poesie ne scrisse solo venticinque, dodici
rimasero inedite fino
alla sua morte. Una di esse, in fondo la più importante, fu inserita
dall'autore in chiusura alla Cognizione
del dolore,
Autunno.
Lo stesso Contini affermò che vi è una spinta tutta lirica a
muovere Gadda, la cifra primaria della sua scrittura.
Cercare
di comprendere complessità della prosa gaddiana senza averne letto
almeno qualche riga diventa un'impresa ancora più ardua. Vi offro un
estratto dalla Cognizione,
uno di quelli a cui sono più affezionata.
Ed
erano appunto in procinto di addivenire a quell’atto imprevisto, e
però curiosissimo, ch’era cosí instantemente evocato dalla
tensione delle circostanze.
Estraevano, con distratta noncuranza,
di tasca, il portasigarette d’argento: poi, dal portasigarette, una
sigaretta, piuttosto piena e massiccia, col bocchino di carta d’oro;
quella te la picchiettavano leggermente sul portasigarette, rinchiuso
nel frattempo dall’altra mano, con un tatràc; la mettevano ai
labbri; e allora, come infastiditi, mentre che una sottil ruga
orizzontale si delineava sulla lor frotte, onnubilata di cure
altissime, riponevano il trascurabile portasigarette. Passati alla
cerimonia dei fiammiferi, ne rinvenivano finalmente, dopo aver
cercato in due o tre tasche, una bustina a matrice: ma, apertala, si
constatava che n’erano già stati tutti spiccati, per il che, con
dispitto, la bustina veniva immantinenti estromessa dai confini
dell’Io. E derelitta, ecco, giaceva nel piatto, con bucce. Altra,
infine, soccorreva, stanata ultimamente dal 123° taschino.
Dissigillavano il francobollo-sigillo, ubiqua immagine del Fisco Uno
e Trino, fino a denudare in quella pettinetta miracolosa la Urmutter
di tutti gli spiritelli con capocchia. Ne spiccavano una unità,
strofinavano, accendevano; spianando a serenità nuova fronte, già
cosí sopraccaricata di pensiero: (ma pensiero fessissimo,
riguardante, per lo più, articoli di bigiutteria in celluloide).
Riponevano la non più necessaria cartina in una qualche altra tasca:
quale? oh! se ne scordano all’atto stesso; per aver motivo di
rinnovare (in occasione d’una contigua sigaretta) la
importantissima e fruttuosa ricerca.
Dopo
di che, oggetto di stupefatta ammirazione da parte degli “altri
tavoli”, aspiravano la prima boccata di quel fumo d’eccezione, di
Xanthia, o di Turmac; in una voluttà da sibariti in trentaduesimo,
che avrebbe fatto pena a un turco stitico.
E cosí rimanevano: il
gomito appoggiato sul tavolino, la sigaretta fra medio e indice,
emanando voluttuosi ghirigori; mescolati di miasmi, questo si sa, dei
bronchi e dei polmoni felici, mentre che lo stomaco era tutto messo
in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare
e a peptonizzare l’ossobuco. La peristalsi veniva via con un
andazzo trionfale, da parer canto e trionfo, e presagio lontano di
tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il toreador della
Carmen.
Cosí rimanevano. A guardare. Chi? Che cosa? Le donne? Ma
neanche. Forse a rimirare se stessi nello specchio delle pupille
altrui. In piena valorizzazione dei loro polsini, e dei loro gemelli
da polso. E della loro faccia di manichini ossibuchivori.
Alla
fine di un pranzotto borghese al ristorante, i commensali estraggono
una sigaretta dal taschino e la fumano. Tutto qui. Sintesi un po'
riduttiva senza dubbio, ma è ciò che accade. È questo il misero
plot di una delle narrazioni più
nobili di sempre. È l'attenzione al dettaglio il campo di forze che
dilata la prosa, moltiplica i piani, rende al lettore immagini
perfettamente confezionate, cesellate allo sfinimento. Per questo
Gadda fu definito barocco, per la sua moltitudine esatta, ma nel 1963
Gadda stesso rispose a quell'accusa nella sua apologia in apertura
alla Cognizione «barocco
è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine». Il
suo è uno spettacolo linguistico senza pari, così l'ha definito
Dambroski e così voglio definirlo anch'io. I piani espressivi si
aprono a una lingua che rende tutto proprio, dal passato più remoto
a un futuro che si manifesta nelle sue neoformazioni perché nelle sue vene di «bastardo è sangue ungaro e celtico, visigotico e
longobardico. E poi una congerie di modelli e una moltitudine di
maestri: e verso questi una mia diligenza, cioè quasi un amore. E
una disciplina, cioè quasi una guerra» (l'autore stesso così si
presenta). Voglio chiudere l'AsSaggio più breve di sempre senza
avervi detto troppo, né troppo poco. E se mai sarò riuscita nel mio
intento di stimolare in voi il desiderio di una lettura gaddiana,
sappiate che nessuna delle sue opere è stata portata a termine e che
per avvicinarsi a quel mondo la cui complessità è moltiplicata da
fondamenta filosofiche che spaziano da Spinoza, a Leibniz, a molto
altro ancora, ci sono una miriade di racconti pronti per essere
interpellati.
Serena Mauriello
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti piace il modo in cui parliamo del mondo... SHARE!
Alcune delle foto presenti su questo blog potrebbero esser prese da internet. In caso ne rivendicassi il copyright, invia una mail a tutumversi@gmail.com e saranno immediatamente rimosse :)
SI ai suggerimenti, NO agli insulti.
Buon viaggio lettore!