Se non sapete cosa fare stasera ve
lo dice Niccolò Ammaniti.
Era il febbraio del 1996, prima del
grande successo di Ti
prendo e ti porto via, quando è
andata alle stampe Fango,
una raccolta di otto racconti acuminati come la penna del loro
autore. Il primo della serie è quello che può darci consiglio –
consiglio che, forse, dovrebbe rimanere inascoltato – per il
veglione che ci aspetta stasera. L'ultimo capodanno
dell'umanità è la cronaca
allucinante di una notte allucinata in cui piccoli quadri di una
civiltà sbandata si incrociano senza mai incontrarsi. Nel
Comprensorio residenziale delle Isole, al dodicesimo chilometro della
Cassia, in quella che dovrebbe essere «un'oasi di esclusiva calma e
serenità», in personaggi di Ammaniti si animano tramite programmi
fin troppo belli per essere giusti. Minuto per minuto, l'ultimo
capodanno per una delle zone più lussuose di Roma: è la festa di
una morte collettiva che nell'unità del tempo e dello spazio si
frammenta in mille scenari, nelle mille sfaccettature della vita
reale.
Grottesco,
violento, pulp, crudo, non è la lettura per chi ha voglia di
rilassarsi comodamente ficcando il naso tra le pagine di un libro.
C'è l'avvocato feticista e fedifrago con la dominatrice ingaggiata
per iniziare il nuovo anno nel pieno della sottomissione; ci sono i
due adolescenti un po' sfigati che celebrano il veglione a suon di
marijuana e vernici; c'è la famigliola felice (ma non troppo); c'è
la moglie che scopre di esser tradita; c'è la borghesotta ninfomane
talmente eccitata da dimenticarsi il resto del mondo; c'è
l'aspirante suicida a cibarsi di medicinali in pillole. Ci sono le
disperazioni di un'(in-)umanità metropolitana malata e infelice.
È
un martedì, martedì trentuno dicembre di un anno degli anni Novanta
non altrimenti specificato,
la voce del Presidente della Repubblica profondamente inascoltata
risuona dalle televisioni di mille case in un'unica nenia. Poi inizia
la corsa, di casa in casa, a fiato sospeso per 137 pagine, fino a
quel botto, l'ultimo. E solo chi non vuole più vivere alla fine si
salva.
Direzione:
via Cassi 1043.
«E
ora come faccio?!» si disse disperato Enzo di Girolamo mezz'ora dopo
essere entrato in gabinetto.
Era
ancora seduto su quel cesso in cui si era cagato pure l'anima.
Era al
buio. Se ne era andata via la luce.
Senza
una ragione.
Ma non
era questo il problema.
Il
problema era che in quel cazzo di gabinetto mancava la carta
igienica. E siccome quella stronza di Giulia aveva letto su ''Gente
Casa'' che in Inghilterra nelle case chic il gabinetto è diviso dal
resto del fottuto bagno, in quello sgabuzzino del cazzo non c'era il
fottuto bidet, il fottuto lavandino dove pulirsi il culo. […]
«Giulia!
Giulia!» urlò piano.
Aspettò.
Niente. Non aveva sentito.
«Giuliaaa!
Giuliaaa!» urlò più forte.
Ancora
niente.
«Giuliaaaaa!
Giuliaaaaa!» urlò a squarciagola.
[…]
«Enzo mi dispiace moltissimo. Ho dimenticato di comprare la carta
igienica. Non ce n'è più...»
«E io
come cazzo faccio?» frignò lui.
«Non
ti preoccupare. Ti ho portato una risma di carta. Dei fogli A4. È
l'unica cosa che avevo in casa. Forse saranno un po' duri...»
[…]
«Ma che cazzo... Non ci posso credere!» ansimò con le mani davanti
la bocca.
Giulia
gli aveva dato la sua relazione per l'IRI e lui ci si era pulito il
culo.
Serena Mauriello