domenica 29 novembre 2015

[Arte] - Furto di Verona: sublime apatia


Verona, nella sera del 19 Novembre il Museo di Castelvecchio subisce un grave colpo: 17 opere trafugate. Tra queste troviamo nomi importanti: Mantegna, Tintoretto, Bellini, Pisanello, Rubens e altri.
I tre ladri sarebbero entrati dalla porta sul retro poco prima delle 20.00, orario di chiusura del museo, e armati avrebbero immobilizzato e imbavagliato guardia e cassiera. Una volta prese opere, sarebbero scappati sull’auto della vigilanza privata sparendo nel nulla.


Jacopo Tintoretto, Madonna allattante
Jacopo Bellini, San Girolamo penitente

Antonio Pisano, Madonna col bambino
Peter Paul Rubens, Dama con il cnidi 
Andrea Mantegna, Sagra famiglia


Tralasciando pianti e lamenti di appassionati e storici dell’arte, la notizia, benché presente su diversi giornali sembra non aver toccato particolarmente gli estranei al settore.
Il motivo?
Una semplice categoria estetica: il sublime.
Che cos’è in sentimento del sublime? Per dirla con le parole di Burke è “il piacere del pianto”, quel sentimento misto di diletto e paura che ci dà i brividi.
Il vero collante tra il sublime e il furto di Verona? Prima di tutto la condizione spettatoriale.
Questa sorta di autopreservazione ci consente di provare due impulsi: disapprovare eticamente l’evento e insieme fruirne esteticamente, ma rimanendone comunque al di fuori, distaccati.
Veniamo turbati dal lato oggettivo: sapere che sono state rubate 17 opere in un importante museo del nostro paese.
E insieme assaporiamo il lato soggettivo, fisiologico: proviamo simpatia (nel senso originario del termine patire insieme/sentire con l’altro) verso questi tre ladruncoli, più che per il museo stesso. Questo accade perché leggiamo la notizia dal nostro divano e senza poter conoscere il valore storico della refurtiva, che sulle principali testate giornalistiche appare come un’astratta cifra monetaria (10/15 milioni di euro) o peggio con definizioni assai vaghe (valore immeso/ferita incolmabile).

Quest’analisi – che lunge dal giustificare il furto – vuole sottolineare due mancanze fondamentali su cui è necessario riflettere: la disorganizzazione museale e la mancanza di fondi che mettono costantemente a repentaglio il nostro patrimonio culturale, e la più triste assenza di partecipazione e immedesimazione del pubblico comune con la parte lesa in questione, la pittura italiana.
Intendo chiudere la finestra delle inutili discussioni su ciò che abbiamo perso per aprire quella su ciò che abbiamo guadagnato, o perlomeno imparato.
Tre uomini hanno rischiato la vita per rubare una serie di quadri che sul mercato sono invendibili.
La pista seguita dalle indagini è quella di un furto su commissione, i ladri possedevano con tutta probabilità una lista precisa di cosa prendere e come prenderlo (alcune opere sono state scorniciate, altre no).
Questo presuppone che esistano persone che desiderano possedere un’opera d’arte così ardentemente da organizzarne nei minimi dettagli un furto – fino a ora – perfetto. Non sto parlando dei tre ladri armati, pagati per compiere un’azione illegale, ma dei loro possibili mandanti.
Nei tempi che corrono, in cui il solo denaro permette a un magnate qualunque di aggiudicarsi un’opera d’arte italiana dotata anch’essa di un valore immenso, che troppo spesso dimentichiamo non essere quello monetario (Nu cuché di Modigliani venduto per 170.425.000 di dollari), forse i nostri uomini dietro il colpo di Verona, non ci sembreranno più dei malviventi senza cuore, ma i meritati antagonisti per un sistema ipocrita e paradossalmente – proprio come il popolo italiano – molto meno legato alla propria cultura di quanto si dichiari essere.

Modigliani, Nu couché

Greta Plaitano

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