Verona,
nella sera del 19 Novembre il Museo di Castelvecchio subisce un grave
colpo: 17 opere trafugate. Tra queste troviamo nomi importanti:
Mantegna, Tintoretto, Bellini, Pisanello, Rubens e altri.
I
tre ladri sarebbero entrati dalla porta sul retro poco prima delle
20.00, orario di chiusura del museo, e armati avrebbero immobilizzato
e imbavagliato guardia e cassiera. Una volta prese opere, sarebbero
scappati sull’auto della vigilanza privata sparendo nel nulla.
Jacopo Tintoretto, Madonna allattante |
Jacopo Bellini, San Girolamo penitente |
Antonio Pisano, Madonna col bambino |
Peter Paul Rubens, Dama con il cnidi |
Andrea Mantegna, Sagra famiglia |
Tralasciando
pianti e lamenti di appassionati e storici dell’arte, la notizia,
benché presente su diversi giornali sembra non aver toccato
particolarmente gli estranei al settore.
Il
motivo?
Una
semplice categoria estetica: il sublime.
Che
cos’è in sentimento del sublime? Per dirla con le parole di Burke
è “il piacere del pianto”, quel sentimento misto di diletto e
paura che ci dà i brividi.
Il
vero collante tra il sublime e il furto di Verona? Prima di tutto la
condizione spettatoriale.
Questa
sorta di autopreservazione ci consente di provare due impulsi:
disapprovare eticamente l’evento e insieme fruirne esteticamente,
ma rimanendone comunque al di fuori, distaccati.
Veniamo
turbati dal lato oggettivo: sapere che sono state rubate 17 opere in
un importante museo del nostro paese.
E
insieme assaporiamo il lato soggettivo, fisiologico: proviamo
simpatia (nel senso originario del termine patire insieme/sentire con
l’altro) verso questi tre ladruncoli, più che per il museo stesso.
Questo accade perché leggiamo la notizia dal nostro divano e senza
poter conoscere il valore storico della refurtiva, che sulle
principali testate giornalistiche appare come un’astratta cifra
monetaria (10/15 milioni di euro) o peggio con definizioni assai
vaghe (valore immeso/ferita incolmabile).
Quest’analisi
– che lunge dal giustificare il furto – vuole sottolineare due
mancanze fondamentali su cui è necessario riflettere: la
disorganizzazione museale e la mancanza di fondi che mettono
costantemente a repentaglio il nostro patrimonio culturale, e la più
triste assenza di partecipazione e immedesimazione del pubblico
comune con la parte lesa in questione, la pittura italiana.
Intendo
chiudere la finestra delle inutili discussioni su ciò che abbiamo
perso per aprire quella su ciò che abbiamo guadagnato, o perlomeno
imparato.
Tre
uomini hanno rischiato la vita per rubare una serie di quadri che sul
mercato sono invendibili.
La
pista seguita dalle indagini è quella di un furto su commissione, i
ladri possedevano con tutta probabilità una lista precisa di cosa
prendere e come prenderlo (alcune opere sono state scorniciate, altre
no).
Questo
presuppone che esistano persone che desiderano possedere un’opera
d’arte così ardentemente da organizzarne nei minimi dettagli un
furto – fino a ora – perfetto. Non sto parlando dei tre ladri
armati, pagati per compiere un’azione illegale, ma dei loro
possibili mandanti.
Nei
tempi che corrono, in cui il solo denaro permette a un magnate
qualunque di aggiudicarsi un’opera d’arte italiana dotata
anch’essa di un valore immenso, che troppo spesso dimentichiamo non
essere quello monetario (Nu
cuché di Modigliani
venduto per 170.425.000 di dollari), forse i nostri uomini dietro il
colpo di Verona, non ci sembreranno più dei malviventi senza cuore,
ma i meritati antagonisti per un sistema ipocrita e paradossalmente –
proprio come il popolo italiano – molto meno legato alla propria
cultura di quanto si dichiari essere.
Modigliani, Nu couché |
Greta Plaitano
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