lunedì 16 novembre 2015

[DocuPoesia] - L'Enfant du paradis: Playmen intervista Jacques Prévert (1973)





E il 1973 quando lo scrittore André Pozner, commissionato dalla rivista italiana Playmen, viene accolto  con non poca riluttanza nell’appartamento parigino del poeta e sceneggiatore Jacques Prévert.
Tra un quadro di Picasso, uno di Breton e il grande tavolo in noce dello studio che dà sul tetto del Moulin Rouge,  Pozner capisce subito che sarà un colloquio difficile da gestire: il poeta gli spiega che «in genere rifiuta tutte le interviste» e che gli rincresce di non poterlo aiutare, malgrado sia amico di suo padre e lui si trovi al primo tentativo del genere.
Il colloquio intraprende così un itinerario che non lascia spazio alle domande del giornalista; o meglio, che non vuole lasciare spazio a tutto quel mondo adulto a cui Prévert si rifiutò sempre di appartenere.  
Ad accogliere l’intervistatore è un vero e proprio “fiume di parole che va a raggiungere il mare di quelle che ha già scritto: non si ferma mai”,  e ciò che viene fuori con prepotenza e ilarità tra le righe di quello che verrà poi definito colloquio antigiornalistico, è proprio l'irruenza bambina, semplice e gioiosa del poeta ribelle.

Playmen è stato un celebre magazine erotico e culturale fondato nel 1967 da Adelina Tattilo. Di seguito, per voi, alcuni passi dal pezzo sul vivace colloquio tra Pozner e Prévert, uscito nel numero di luglio del 1973, che abbiamo scelto di associare alle immagini dell'articolo e ad alcune poesie scelte.





"A quindici anni Prévert è stato impiegato in un bazar in Rues Des Rennes. Ha prestato servizio militare nell'Est, dove ha incontrato Yves Tangui, che non era ancora un pittore, e a Costantinopoli dove ha fatto conoscenza con Marchel Duhamel. Nel 1924 si è legato al gruppo surrealista. Ha fatto dei collages con delle immagini. Ma anche con delle citazioni letterarie e giornalistiche. Il suo stesso linguaggio è un enorme collage. E così di seguito."


Il linguaggio insensato:
Il linguaggio insensato smentisce il linguaggio saggio
Il linguaggio saggio vende idee


Rigattieri di idee 
ricettatori di idee
Quando l'arte è di rigore
l'arte è negata.
  
 
"Ascoltandolo mi sento come un ragazzino davanti alle gerla di papà Natale, un bambino che non è forse molto diverso da quello di cui mi sta parlando lui: «Quando ero ragazzo», mi dice «facevo sempre domande alle persone adulte. Da me, a casa mia, ero libero: i miei genitori non badavano ai punti interrogativi. Ma fuori, a scuola, al catechismo, per esempio, dove ho imparato tante cose, quando facevo una domanda generalmente non piaceva. Mi dicevano: "fuori di qui!". Io uscivo, ma loro non mi rispondevano». [...]

Vengo a sapere che una volta Prévert accettò di scrivere la sua autobiografia, ma che nei suoi ricordi non ha mai superato l'età di sette anni. Ha fatto bene: è l'età della ragione. Non l'ha mai abbandonata.  "


Un mondo pazzo:
Niente affatto
Un mondo ragionante di ragionabilità
un mondo razionato
E tutte le vecchie retroguardie all'avanguardia delle idee
Il mondo della terra
la Terra che essi dimenticano
E le grandi voce del mare in collera
che urla incessantemente: Indietro Paese!



"Lo studio [di Prévert] dà sul tetto del Moulin Rouge. In lungo un tavolo di noce carico di scatole, vasetti, penne, pennarelli, matite colorate che Prévert usa per tracciare delle dediche fiorite, costellate. Forbici, scalpelli, tubi di colla, pastelli, foto ritagliate, alcuni gatti, mani tagliate su dei cromos: il materiale necessario per confezionare collages [...]

Prévert si alza per dirigersi verso una biblioteca a vetri, la cui parte inferiore è costituita da un piccolo comò sul quale è ammassata una pila di dossier... Ne estrae un giornale e mi legge: «Jacques Prévert è rimasto scandalizzato dinanzi...». Poi sgranando gli occhi: «Lo scandalo», mi dice «suscita l'indignazione. E siccome la dignità mi fa ridere, l'indignazione mi è sempre stata estranea.» [...]
  
Da una pila tira fuori una cartella, l'apre sulla tavola, ne fa uscire parecchi giornali che allinea davanti a sé, dicendo: «Dato che siamo in tema di domande, si può notare che certe domande poste al lettore, voglio dire a quello che legge la domanda, sembrano non aspettarsi nemmeno una risposta. Per esempio quelle di Francois Mauriac nel vecchio Expresse o su Le Figaro litterarie: "Chi non è stato Don Giovanni in questa interminabile storia che ciascuno racconta a se stesso?". Perché non rispondere: "io non sono mai stato Don Giovanni nella interminabile storia che avrei raccontato a me stesso?"»


Mio malgrado...
Assunto mio malgrado nella fabbrica delle idee
mi sono rifiutato di timbrare il cartellino
Mobilitato altresì nell'esercito delle idee
ho disertato
Non ho mai capito granché
né piccolo che
C'è altro.

Altro
vuol dire che amo chi mi piace
e ciò che faccio.


"Apre un dossier, fuga tra i ritagli che vi trova dentro, ne prende uno a caso. E' una pagina dell'Express. Legge: «M. Lichnerowicz: contrariamente a quello che pensa molta gente, io credo che un matematico sia innanzitutto un umile artigiano della vita quotidiana. Diciamo un operaio specializzato. In questa società, la scienza è inquinata di magia. Siamo essenzialmente delle persone che demagificano le cose».
«Demagificare!» Esclama Prévert. «Un matematico inventa delle parole, dei verbi. E poichè è un umile artigiano della matematica, è come dire che anche un umile artigiano delle lettere - più o meno letterarie - può inventare dei numeri, delle cifre, o modificarli a suo piacimento»
Un foglietto dattilografato è spillato sul ritaglio. Un testo che lui ha scritto. Lo legge: Condotta d'0 è il titolo:


Da bambino, spesso avevo 0 in condotta
ma se sorridendo dicevo
Ah, ho preso 0 in condotta!
Loro si arrabbiavano e gridavano
Non è 0, è zero!
Comunque ciò che era scritto era scritto
e sarà ben permesso
prendere tutto alla lettera.
Esempio: se si prende tutto a 0, rimane sempre 0.
E andiamo! "

Si sa mai?
Loro dicono di sapere sempre
Dicono la terra la luna il cosmo l'infinito il bene
il male e le origini della vita
Dicono come se nulla fosse
ma quando li prende l'appresione dell'incomprensione
prendono paura
e questa paura inverte il locomotore delle loro idee
Allora si fermano alla prima stazione
alla prima stazione standard
Ed è sempre lo stesso orario lo stesso orrore
quello del vuoto
Allora fanno il pieno di benzina divina
partono di nuovo
e se ne partono sempre più in fretta
per arrivare sempre meno lontano.


" Anche se resta solo, si potrebbe credere che gli tengano compagnia tutti i suoi enfant du paradis, con i suoi animali di peluche, di caucciù, di plastica, di vetro di ceramica, con i suoi libri, i suoi quadri, i collages, le foto, con il suo telefono, le sigarette, le matite, la catenina alla caviglia e che si chiama schiava [...]

Tutti i personaggi dei suoi film e dei suoi libri sono là, e lui ride con loro come con i suoi ospiti, i suoi familiari.«Quando ero bambino, dice, non vedevo dei morti. Più tardi ne ho visti; era divertente. Ma più si va avanti, più la vita dura, e più se ne vedono, e questo non è più divertente».
Po ricomincia la sua chiacchierata. Sembra che per lui sia come una forma di educazione elementare, un quotidiano e indispensabile buon gusto, il fatto di ridere in mezzo alle angustie della vita, di far sorgere da esse il calore conservato sotto la cenere del tempo. Prévert parla pro e contro tutto. Contro molte cose e per molte altre ancora.
Non capita tanto spesso d'incontrare un uomo che parla a libro aperto, un libro che si legge con piacere."


Bibliografia:


"L'enfant du paradis, colloquio antigiornalistico con Jacques Prévert", uscito a p. 58-64 su Playmen, anno VII n.7, luglio 1973, Tattilo Editrice Spa

Poesie d'amore e di contestazione, Jacques Prévert, Newton Compton Italiana, 1973

La copertina del numero di luglio 1973 di Playmen















A cura di Julia C.



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