Juan Mirò |
Avevo solo otto anni quando decisi di fare la mia prima domanda ragionata. Come interlocutore scelsi mio padre, dal colore dei capelli sembrava averne passate più di mia mamma. Il grigio è il colore che associavo alla sapienza, il preside della mia scuola elementare aveva i capelli di quel colore, anche il gatto che avevo a quei tempi era grigio e ricordo che mi sembrava davvero vecchio, nonostante fosse nato dopo di me. La mia mente mi mise per la prima volta di fronte ad un quesito grande, così imponente che ero arrivata a non dormirci la notte e anche i pranzi non andavano più tanto bene. “Perché quando cammino, mangio o sto seduta io sento i miei pensieri e non posso avere mai del silenzio a disposizione? E ancora peggio, perché mi è impossibile sentire quelli degli altri? Perché anche quando qualcuno parla con me i miei pensieri hanno un rumore più forte delle loro parole?” Giustamente ad un trittico del genere mio padre rispose con sintesi, alzando lo sguardo in cerca di una forchetta disponibile. “Credo che nessuno dovrebbe farsi questi problemi, anzi forse esisti solo tu al mondo in grado di pensarci. Ora mangia”. Quell'ammasso di parole non smisero mai di perseguitarmi. Da quel giorno ho creduto di avere un potere. Mi diedi del tempo per assimilare la notizia, vidi passare il primo stadio di paura nei confronti di una così grande responsabilità, una volta convinta dei miei doveri e anche della loro dignità ripresi a dormire e soprattutto a pranzare.
Vidi raddoppiati gli anni che mi dividevano da questa imponente scoperta quando iniziai ad appuntare piccole note su diari; a nessuno era data la possibilità di scorgere neppure un punto e virgola. Le mie idee crescevano insieme a me, più cose vivevo più il mio potere aumentava.
A volte mi capitava di non riuscire a prendere in tempo gli autobus a causa delle rughe del signore che mi sedeva di fronte. Mi immaginavo di percorrerle, di lasciarmi portare fino al principio della sua vita, al primo respiro o battito di cuore, poi l'autista di colpo inchiodava e io dovevo riprendere il filo della mia giornata di corsa. Ancora mi era ignoto il modo per controllare questa forza, canalizzarla, non farmi travolgere. Iniziai anche a leggere fumetti - presi in prestito i supereroi del mio migliore amico per cercare uno spunto - ma fu la cosa più goffa che potessi fare. A quel punto volevo un'uniforme da eroina anche io.
Serena Carollo
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