Secondo la legge sul diritto d’autore vigente in molti Paesi, un’opera diventa di pubblico dominio - e dunque viene sciolta da qualsiasi vincolo di sfruttamento economico da parte di privati - 70 anni dopo la morte di chi l’ha realizzata. A gennaio 2016 sarebbe dovuto essere il turno del “Diario di Anna Frank”, una delle più importanti testimonianze della storia sull’occupazione nazista e sulle persecuzioni antisemite, ma sembra che gli eredi dell'opera abbiano avuto la meglio sull'incombente scadenza. "Giù le mani dal Diario di Anna Frank", ha gridato al mondo il Fondo che dal 1947 ha ereditato i diritti di più di 30 milioni di copie del libro: le memorie non saranno rese di pubblico dominio almeno per i prossimi venticinque anni.
Il diario di Anna Frank, testimonianza della giovane ebrea tedesca rifugiata tra il 1942 e il 1944 con la sua famiglia in un sottotetto di Amsterdam, è stato stampato per la prima volta nel 1947, a due anni dalla morte dell'adolescente nel campo di concentramento tedesco di Bergen Belsen. La versione è stata rivisitata più e più volte nel corso degli anni, e sarebbe proprio questo a rappresentare il "freno" che ha decretato la vittoria degli eredi della famiglia Frank.
L'edizione andata alle stampe, infatti, è frutto di un lungo lavoro di cernita e sistemazione da parte del padre dell'autrice, Otto Frank, e ciò secondo la Fondazione lo renderebbe un vero e proprio co-autore dell'opera. Lui è morto nel 1980, e dunque il testo non diventerà di pubblico dominio prima del 2030. Inoltre, la Fondazione afferma che la versione integrale dell'opera è andata alle stampe solo nel 1980, e ciò potrebbe apportare ulteriori clausole alla scadenza prevista per gennaio prossimo, prolungando il ritardo della caduta dei diritti addirittura fino al 2050.
La notizia è stata diffusa dalla "Fondazione Anna Frank" di Basilea attraverso un comunicato trasmesso alla rivista francese "Livres Hebdo", e le reazioni negative di lettori e studiosi non hanno tardato a farsi sentire.
Secondo molti oppositori, infatti, il Fondo avrebbe il dovere di dimostrare che le modifiche effettuate da Otto Frank rappresentino un "apporto creativo al testo" tale da renderlo oggetto di tutela giuridica; sembra però che queste consistano esclusivamente in tagli e censure sulla vita intima della ragazza, e "trattare il censore di un opera alla stregua di un suo co-autore sarebbe indubbiamente una mossa azzardata" se non, addirittura, vistosamente forzata.
Non è difficile, a un primo sguardo, comprendere le motivazioni alla base della presa di posizione del Fondo di Basilea: negli ultimi trent'anni il bestseller è diventato il punto di riferimento di intere generazioni, fruttando oltre 30 milioni di copie vendute dall'anno della sua prima pubblicazione. Ma le preoccupazioni esplicitate sono altre, e riguardano una delle questioni più delicate che investono il discorso sulle testimonianze storiche: le memorie della Frank, se liberamente in circolo, potrebbero finire col tempo nelle mani sbagliate, diventando oggetto di manipolazioni revisioniste o negazioniste.
Alcuni ritengono che quelli degli eredi dell'opera siano inutili allarmismi: un testo può essere criticato e commentato indipendentemente dal suo essere fuori diritti; altri, invece, hanno deciso di sposare la causa, perché ritengono che la proposta sia finalizzata a preservare la natura del documento e la memoria della sua autrice.
La situazione è piuttosto controversa e il dibattito è destinato a prolungarsi. Ma una cosa resta certa: la vittoria, al momento, è della Fondazione. Allo scoccare del prossimo anno le memorie di Anna Frank non diventeranno di pubblico dominio.
A cura di Julia C.
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