È inutile negare, il panorama artistico in cui viviamo ci costringe all’adorazione di un’arte contemporanea
spesso incomprensibile e strettamente dipendente dal mercato.
Il pubblico fatica a una prima occhiata
a comprendere cosa si trova davanti e perché.
Il museo, che dovrebbe aiutarci a
capire - almeno in parte - i meccanismi dell’oggi, al contrario, con le sue
mostre temporanee su singoli artisti o movimenti (Andy Warhol, Monet, Munch,
Impressionismo, Espressionismo, Futurismo…) contribuisce a creare nella testa
dell’ignaro visitatore, inutili confini e compartimenti stagni, spesso a
braccetto con l’idealizzazione del ‘900, un secolo che per quanto importante,
non è stato forse così centrale.
Mi spiego meglio, non intendo
svalutare un’intera storiografia, solo sottolineare che l’arte non è fatta di categorie,
né tanto meno di nomi.
Anzi è bene ricordare che gli
appellativi di numerosi movimenti artistici sono stati cuciti addosso da
critici e studiosi solo a posteriori, spesso con intenti non proprio adulatori.
Come mi sembra corretto portare alla luce una domanda interessante:
Immagini e parole schizzano a
caso nella testa. Rivoluzione industriale. Fotografia. Cinema.
Impressionismo….e poi?
Possiamo dire che l’Ottocento è
un secolo largamente studiato, ma non altrettanto “mostrato”.
Eppure l’età della borghesia e
del capitalismo industriale trasformò società e cultura non solo attraverso la
parola, ma anche e soprattutto attraverso le immagini, costruendo un serrato
modello familiare mononucleare che condizionerà per sempre la nostra visione
dei rapporti uomo-donna e soprattutto la posizione del sesso femminile.
Approfondiamo.
L’Ottocento eredita dal secolo precedente
un’apertura di costumi nuova e inattesa, che cerca di domare creando una netta
sessualizzazione degli spazi.
Designate ‘Angeli del focolare’,
le donne vengono costrette padrone della casa, educatrici, amministratrici, in
opposizione alla naturale libertà che viene conferita all’uomo, unico soggetto
razionale e universale che si muove nella città nascente. Le donne vengono
descritte come esseri istintuali, incapaci di autodeterminazione, bisognosi di
tutela, necessari solo in quanto potenziali madri e custodi dei futuri
cittadini della patria.
L’ideale di bellezza gioca un
ruolo chiave in questa forma dissimulata di oppressione fisica e mentale,
spingendo la donna verso una grazia forzata, che legittima l’artificio ed
esorta alla civetteria. Fisionomia e anatomia vengono sollecitate con subdola
attenzione, attraverso moda, pubblicità e ginnastiche correttive che
indirizzano verso una postura corretta, un abbigliamento conveniente, uno stato
d’animo equilibrato. Principale strumento di contegno è il corsetto, che seppur
criticato si diffonde velocemente.
Deformazione da corsetto |
Pubblicità del corsetto, 1800 |
In questo contesto sociale
fortemente connotato sessualmente, emergono nuove figure femminili
(omosessuali, travestite, intellettuali, pittrici, ballerine, attrici,
prostitute, cantanti...) dotate di caratteri considerati prerogativa maschile,
che si espongono come figure in grado di sfidare il sistema.
G. Courbet, Le dormeuseus, 1866 |
H. T. Lautrec, L'abandon ou les deus amies, 1895 |
F. Von Stuck, Il peccato, 1893 |
Distante dal modello di donna
borghese della prima metà del secolo, queste donne rifiutano l’assoggettamento
a loro imposto e si muovono liberamente nello spazio pubblico, denigrando con
la loro emancipazione lo sguardo maschile.
Spesso sono artiste, scrittrici,
sportive, donne che entrano con forza nella pittura dell’epoca, che rompono con
il tradizionale ambito sociale ed erotico a loro assegnato, esplorando nuove
fantasie, credendosi e mostrandosi esseri desideranti.
O.Zwitschrer, Oro e madreperla, 1909 |
Nell’ultimo decennio del secolo,
all’immagine di un universo maschile degradato, fragile ed essenzialmente
passivo e narcisistica (ideale sostenuto dagli stessi dandy, primi tra tutti i
romanzieri Huysmans e Wilde e l’illustratore Beardsley), la cultura pittorica decadente
contrappone un modello di donna che sembra possedere, nel bene e nel male,
quell’energia ormai sconosciuta agli uomini.
Nascono immaginari che offrono
personaggi femminili ossessivi e dominanti, sui quali la cultura vigente -
consciamente e inconsciamente - carica tutte le repressioni di un’epoca ormai
disillusa.
Testimonianza di questo periodo
sono la raffigurazione della donna virilizzata (barbuta, androgina, travestita,
lesbica...), la donna vampiro o cannibale (incantatrice e assassina di uomini)
e la donna fatale (autoreferenziale e sublime).
La diffusa misoginia del 1800 si rivela
dunque paura e incapacità di elaborare una gestione della pulsionalità
femminile, che si fa per la prima volta nella storia autonoma (e prima spinta
verso l’emancipazione che avverrà nel’900), eversiva e pertanto minacciosa agli
occhi dell’uomo-artista, abituato a un’indiscussa priorità in campo sociale,
artistico e sessuale.
E. Schiele, Nudo femminile, 1914 |
Greta Plaitano
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