"D'Annunzio è stato una creazione masmediatica del sistema di allora, non sarebbe mai esistito al di fuori dell'apparato del potere del momento, e infatti, caduto il sistema, caduta la fortuna di D'Annunzio, che nessuno legge più, malgrado le volte che si è tentato di farlo resuscitare. "
Aldo Busi
Sembra
un dettaglio secondario quello della veste, eppure ci rimanda in un
attimo a un altro ritratto d'annunziano.
Era il 1906 quando un Umberto Saba ventitreenne arrivò alla Versiliana pronto ad incontrare per la prima volta uno dei grandi nomi della letteratura e non solo, perché in fondo d'Annunzio poteva un po' tutto. Ad accoglierlo quella volta non fu subito il vate, ma il figlio Gabriellino che aveva ereditato dal padre, oltre il nome e il cognome, quei modi da dandy nostrano o semplicemente da maestro di cerimonie. Dopo un'attesa che potrà esser sembrata infinita,
un po' per l'emozione e un po' per l'ansia della consapevolezza di dover far leggere i propri versi a qualcuno che conta, finalmente eccolo arrivare: inappuntabilmente vestito di bianco. Ecco non sono momenti che si dimenticano facilmente, questi. Saba ritornerà spesso con i pensieri a quel tempo speso insieme a d'Annunzio2. Tuttavia, quella chiacchierata non sortì l'effetto voluto3. A quei tempi Saba era ancora involto dalla nuvola evanescente di ego che il caro Gabriele sembrava far fluire da tutti i pori. Quarant'anni più tardi, Saba racconterà di nuovo di quell'evento, ma ormai libero dalla fascinazione carismatica, con lo spirito di chi ha compreso dai propri errori giovanili e ripensa al passato con gli occhi di chi ha una vita alle spalle. È così che prende vita il racconto Il bianco immacolato signore (1946), squisita rappresentazione di un mito vestito, appunto di bianco.
Era il 1906 quando un Umberto Saba ventitreenne arrivò alla Versiliana pronto ad incontrare per la prima volta uno dei grandi nomi della letteratura e non solo, perché in fondo d'Annunzio poteva un po' tutto. Ad accoglierlo quella volta non fu subito il vate, ma il figlio Gabriellino che aveva ereditato dal padre, oltre il nome e il cognome, quei modi da dandy nostrano o semplicemente da maestro di cerimonie. Dopo un'attesa che potrà esser sembrata infinita,
un po' per l'emozione e un po' per l'ansia della consapevolezza di dover far leggere i propri versi a qualcuno che conta, finalmente eccolo arrivare: inappuntabilmente vestito di bianco. Ecco non sono momenti che si dimenticano facilmente, questi. Saba ritornerà spesso con i pensieri a quel tempo speso insieme a d'Annunzio2. Tuttavia, quella chiacchierata non sortì l'effetto voluto3. A quei tempi Saba era ancora involto dalla nuvola evanescente di ego che il caro Gabriele sembrava far fluire da tutti i pori. Quarant'anni più tardi, Saba racconterà di nuovo di quell'evento, ma ormai libero dalla fascinazione carismatica, con lo spirito di chi ha compreso dai propri errori giovanili e ripensa al passato con gli occhi di chi ha una vita alle spalle. È così che prende vita il racconto Il bianco immacolato signore (1946), squisita rappresentazione di un mito vestito, appunto di bianco.
L'aneddoto
sabbiano ci spinge a fare una considerazione più
ampia, sostanzialmente se c'è caduto con tutte le scarpe
uno con il cervello di Saba, figurarsi gli altri. Come disse una volta un mio professore, d'Annunzio è stata la prima rock star della letteratura italiana (forse l'ultima?) e il suo fascino aveva conquistato una miriade di modernissimi fans. C'era chi voleva perdere i capelli per godere della stessa lucentezza del cranio del proprio idolo, chi desiderava perdere diottrie solo da un occhio per poter calzare il sensualissimo monocolo, chi invece si limitava a farsi crescere i baffi sperando che bastassero solo quelli a far colpo sulle donne. Sì, perché d'Annunzio, con tutte le dicerie degne di una rivista di Alfonso Signorini che lo circondavano, non era solo un modello da imitare per i giovani italiani per lo più fascisti, ma anche il sogno notturno delle donne di ogni età. E adesso ve lo faccio raccontare ancor meglio da un abile anti-dannunziano quale Vitaliano Brancati, che tra le righe di Singolare avventura di Francesco Maria (1945) mette in scena la follia idolatrante degli aspiranti esteti di quegli anni.
Andò in giro per le strade di Catania con i propositi più neri sulla brava gente che incontrava, e specialmente quelli che s'appoggiavano al bastone e mostravano la catena dell'orologio sul giubbetto rosso o verde pistacchio. Sognò di vestirli tutti allo stesso modo, metterli in fila, dare un calcio sul didietro dell'ultimo della fila e "farli marcire". E siccome gli tornavano continuamente alla memoria i versi di D'Annunzio, concluse in questo modo: "Ho la testa piena d squilli! ".
In albergo, trovò una lettera di Maria Sapuppo: "Sono una piccola donna debole! Tu sei un Forte. Va per la tua strada segnata dal destino. Ma io ne morirò. Capisco, capisco, ma perdonami: ne morirò!".
La sera, più stanco che mai, con le valigie piene di versi e prose di Gabriele D'Annunzio, rientrò a Pachino, mangiò in fretta, narrò malamente fra gli sbadigli il suo soggiorno catanese al padre, alla madre e alla sorella, tacendo naturalmente parecchie cose e infine si buttò come morto sul letto.
I volumi di D'Annunzio si sparsero nelle case dei legittimi possessori e degli amici e parenti. Cominciò, in parecchie famiglie, la lettura di sera; il solito quotidiano bicchiere di petrolio per il lume non bastò; dai balconcini aperti volarono versi. Lo zio di Francesco Maria, una mattina ch'era solo in casa, udito bussare alla porta andò ad aprire in ciabatte, masticando le parole: "Sciogli la prora e salpa verso il mondo!". Visto che dietro la porta, c'era un mendicante piegato in due e alto la metà del bastone cui s'appoggiava, figura così poco simile a un navigatore, sbatté l'imposta con ira, maledicendo alla mediocrità della vita.
ampia, sostanzialmente se c'è caduto con tutte le scarpe
uno con il cervello di Saba, figurarsi gli altri. Come disse una volta un mio professore, d'Annunzio è stata la prima rock star della letteratura italiana (forse l'ultima?) e il suo fascino aveva conquistato una miriade di modernissimi fans. C'era chi voleva perdere i capelli per godere della stessa lucentezza del cranio del proprio idolo, chi desiderava perdere diottrie solo da un occhio per poter calzare il sensualissimo monocolo, chi invece si limitava a farsi crescere i baffi sperando che bastassero solo quelli a far colpo sulle donne. Sì, perché d'Annunzio, con tutte le dicerie degne di una rivista di Alfonso Signorini che lo circondavano, non era solo un modello da imitare per i giovani italiani per lo più fascisti, ma anche il sogno notturno delle donne di ogni età. E adesso ve lo faccio raccontare ancor meglio da un abile anti-dannunziano quale Vitaliano Brancati, che tra le righe di Singolare avventura di Francesco Maria (1945) mette in scena la follia idolatrante degli aspiranti esteti di quegli anni.
Andò in giro per le strade di Catania con i propositi più neri sulla brava gente che incontrava, e specialmente quelli che s'appoggiavano al bastone e mostravano la catena dell'orologio sul giubbetto rosso o verde pistacchio. Sognò di vestirli tutti allo stesso modo, metterli in fila, dare un calcio sul didietro dell'ultimo della fila e "farli marcire". E siccome gli tornavano continuamente alla memoria i versi di D'Annunzio, concluse in questo modo: "Ho la testa piena d squilli! ".
In albergo, trovò una lettera di Maria Sapuppo: "Sono una piccola donna debole! Tu sei un Forte. Va per la tua strada segnata dal destino. Ma io ne morirò. Capisco, capisco, ma perdonami: ne morirò!".
La sera, più stanco che mai, con le valigie piene di versi e prose di Gabriele D'Annunzio, rientrò a Pachino, mangiò in fretta, narrò malamente fra gli sbadigli il suo soggiorno catanese al padre, alla madre e alla sorella, tacendo naturalmente parecchie cose e infine si buttò come morto sul letto.
I volumi di D'Annunzio si sparsero nelle case dei legittimi possessori e degli amici e parenti. Cominciò, in parecchie famiglie, la lettura di sera; il solito quotidiano bicchiere di petrolio per il lume non bastò; dai balconcini aperti volarono versi. Lo zio di Francesco Maria, una mattina ch'era solo in casa, udito bussare alla porta andò ad aprire in ciabatte, masticando le parole: "Sciogli la prora e salpa verso il mondo!". Visto che dietro la porta, c'era un mendicante piegato in due e alto la metà del bastone cui s'appoggiava, figura così poco simile a un navigatore, sbatté l'imposta con ira, maledicendo alla mediocrità della vita.
Serena Mauriello
1Cfr.
Katherine Rondou, Gabriele d'Annunzio, personaggio immaginario
nel fumetto europeo, in
D'Annunzio come personaggio nell'immaginario italiano ed
europeo (1938-2008), a cura di
Luciano Curreri, Bruxelles, P.i.e. Peter Lang, 2008, pp. 180-198.
2Pietro
Benzoni, L'immacolato d'Annunzio,
in Atlante della letteratura italiana,
a cura di Sergio Luzzato, Gabriele Pedullà, Torino Einaudi, 2012,
pp. 380-386.
3Saba
nel decimo sonetto della sua Autobiografia
(1923) afferma: «Gabriele d'Annunzio alla Versiglia/ vidi e
conobbi; all'ospite fu assai/ egli cortese, altro per me non fece».
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