martedì 22 settembre 2015

[Percorsi Fotografici] - Diane Arbus: troppo freak per l'America

"Non scattare la foto finché l'esperienza non ti fa sentire in imbarazzo"
Lisette Model




Nel 1960, tra le pagine della rivista Esquire appaiono per la prima volta i sei scatti della pubblicazione fotografica “The Vertical Journey: six Movements of a Moment within the Heart of the City”; le immagini destano non poco scalpore tra critica e lettori, è una rottura piuttosto brusca per gli occhi dell’immaginario americano. 
Circa un anno dopo, la preziosa rivista di moda Harper’s Bazaar pubblica il servizio “The Full Circle”. Soggetto e tema sono inconsueti e bizzarri esattamente come la pubblicazione dell’anno prima, e questa volta la reazione dei lettori si manifesta attraverso la disdetta di numerosi abbonamenti. 
La redattrice capo, Nancy White, va su tutte le furie: era stata sempre assolutamente contraria alla pubblicazione di roba così inquietante e freak, e responsabile del disastro è il direttore artistico della rivista, Marvin Israel, amico intimo – forse amante – della fotografa che ha realizzato il servizio: Diane Arbus. 
Arbus è conosciuta soprattutto per esser stata la fotografa dei Freak,
i fenomeni da baraccone dei piccoli locali dimenticati nel cuore della caotica Manhattan degli anni Cinquanta e Sessanta. È considerata oggi come una delle più emblematiche fotografe della diversità e dell’inconsueto, ma il suo percorso è stato lento, complesso, ricco di incontri e consapevolezze eccezionali. 

Nata sotto il nome di Nemerov da una ricca famiglia ebrea di New York, si sposa a soli diciotto anni e inizia ad approcciarsi alla fotografia all’ombra della carriera del marito, con il quale aveva aperto all’inizio degli anni Quaranta il piccolo studio “Diane&Alan Arbus”: i primi lavori, realizzati per riviste come Glamour, Vogue e Seventeen, si limitano a coinvolgerla soprattutto nella veste di timida assistente, ma la sua formazione evolve a un ritmo straordinariamente rapido: alla fine degli anni Quaranta studia con Berenice Abbotte e nel 1955 con Alexy Brodovitch, allora art director di Harper’s Bazaar; sul finire degli anni Cinquanta, dopo un lungo viaggio in Europa e l’incontro di personaggi come Kubrik, Steichen e Robert Frank, raggiunge finalmente la tappa che darà una radicale svolta alla sua prospettiva fotografica: è l’incontro con la celebre street photographer Lisette Model a permettere ad Arbus di superare la sua timidezza e trovare il coraggio di immortalare i soggetti che desidera: “Finchè studiai con Lisette – dichiarerà in un’intervista al Newsweek - sognavo di far fotografie, ma non le facevo davvero. Lisette mi disse che dovevo divertirmi nel farlo”. Inizia così la fioritura e scatta l’appassionata esplorazione delle zone più cupe e misconosciute di Manhattan, giungla e ombra di quella società conservatrice che fin dalla nascita l’aveva circondata. Diane si approccia lentamente a una serie di personaggi, instaura con loro rapporti di amicizia talvolta anche profondi, si cala pazientemente negli ambienti in cui vivono. 










 Mete predilette delle sue escursioni, oltre alle strade, diventano il Club82, locale frequentato da una serie di personaggi piuttosto particolari, e l’Hubert’s Museum, il baraccone situato all’angolo tra la 42esima strada e Broadway. Soggetto indiscusso della sua fotografia è il “diverso” ritratto nella naturalezza della propria quotidianità: il nano messicano “Cha-Cha” viene immortalato più e più volte semi-nudo sul letto; il volto di Miss Stormé Delarverie, la donna che si veste da uomo, si presenta allo scatto spontaneo, incorniciato da disordinati bigodini; ogni personaggio dei suoi ritratti, benché anomalo, è colto dall’obbiettivo nella sua sconcertante normalità. È per questo, forse, che molte delle sue fotografie esposte saranno più e più volte oggetto di sputi e insulti da parte di visitatori indignati: Diane Arbus diventa la “fotografa di mostri”, quella che cattura piccole essenze di umanità attraverso personaggi che dall’umanità sono stigmatizzati, obliati, disprezzati. E questo è troppo crudo, troppo freak per il conservatorismo statunitense. 









Diane Arbus è stata a lungo stigmatizzata, criticata e sminuita da una vastissima porzione di pubblico  e ci sono voluti anni dal suo suicidio prima che fosse eletta tra le file dei grandi. Il suo approccio, rivalutato postumo e ricco di complesse sfumature, non è stato un voyeuristico “fotografare mostri”: i suoi soggetti sono consapevoli e ben disposti nei confronti della propria diversità, è lo spettatore ad esser messo a disagio, a veder spezzati i propri parametri.
Secondo il fotografo e cineasta Pino Bertelli, la figura della fotografa statunitense si colloca in uno snodo cruciale della consapevolezza artistica contemporanea: quello della critica ai processi identitari e della creazione visiva di un’interferenza al loro compimento.




A cura di Julia C.




Sitografia:


Erik Kim Photography Blog, "10 Lessons Diane Arbus Can Teach You About Street Photography"

Kalashnikov Collective Headquarter, "Free books for punx.
Pino Bertelli - Della fotografia trasgressiva. Dall'estetica dei freaks all'etica della ribellione - Saggio su Diane Arbus (2006). "

The New York Times, "Genuine Wonders From the Flea Circus: Photos by Arbus"

Wikipedia, Diane Arbus





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