mercoledì 19 novembre 2014

AsSaggi di Letteratura di S. Mauriello: Marinetti, il trauma della pagina bianca



«In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell'aviatore, io sentii l'inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!»
Così si apre ill Manifesto della letteratura Futurista pubblicato l'11 maggio 1912, accluso nella prima antologia dei Poeti futuristi pubblicata dalle Edizioni di «Poesia», la rivista fondata dallo stesso Marinetti, assieme a Sem Benelli e Vitaliano Ponti, sette anni prima. Liberarsi di Omero è liberarsi dalle origini della letteratura stessa, costretta dalla prigione classica, incatenata da un periodare stantio che mai potrà librarsi in volo. Marinetti vuole liberarsi da tutto ciò che è alle sue spalle, con il fare distruttivo apertamente esplicitato nel primo manifesto pubblicato poco più di tre anni prima. Da quell'iniziale dichiarazione il futurismo era cresciuto, si era diffuso e le sue parole avevano echeggiato in tutta Italia e oltre, con la violenza espressiva che le caratterizzava. Si erano diffusi i manifesti tecnici per le varie arti e le varie scienze, linee guida per affrontare ogni disciplina alla maniera di chi guarda solo verso il futuro. Dopo l'introduzione, il primo punto emblematico e fondamentale per un nuovo approccio alla poesia «bisogna abolire la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono»: liberare le parole nello spazio, senza locazioni fisse, senza una disposizione obbligata da chi, prima di noi, la poesia l'ha ideata.
«Quia, ut dictum est, cantio est coniugatio stantiarum», così si apre il capitolo IX del De Vulgari Eloquentia: «si è detto dunque che la canzone è un'unione organica di stanze». Si parla di Canzone come genere poetico, le sue microstrutture sono le stanze, o strofe come siamo soliti intenderle. Strofe intese come uno spazio fisico da riempire, ogni parola le ammobilia. All'origine della poesia è l'idea del componimento come uno spazio da occupare, mediatrice tra il poeta e la lirica è la metrica. E se il De Vulgari è un testo latino, siamo comunque alle origini della letteratura italiana, ai fondamenti di ciò che il futurismo distrugge, è il passato più remoto e recondito.
Se c'è una sicurezza nella poesia è il verso. Marinetti se ne libera, rende franco ogni lemma e la poesia esplode nelle tavole parolibere in cui il senso della parola è rafforzato dalla sua disposizione grafica nello spazio. Destrutturando la lirica Marinetti compie un gesto di una forza molto più grande rispetto a ogni dichiarazione o manifesto che sia: mina il significa della prima istanza poetica. Etimologicamente il termine “verso“ deriva dal latino vertere, nonché inclinarsi verso, volgersi verso... Andare a capo. Sostanzialmente ciò che ci si aspetta da una poesia è che essa vada a capo, si estenda verticalmente lungo la pagina. È una certezza insita nelle parole stesse della poesia, perché se il verso è ciò che la compone il metro, una semplice unità di misura lineare (e quindi orizzontale), la comanda. La bidimensionalità si distrugge. È il trauma della pagina bianca, la rivoluzione delle parole.


Serena Mauriello



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