«In
aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre
dalla testa dell'aviatore, io sentii l'inanità ridicola della
vecchia sintassi ereditata da Omero.
Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione
del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una
testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non
avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un
momento e fermarsi quasi subito sbuffando!»
Così
si apre ill Manifesto
della letteratura Futurista
pubblicato l'11 maggio 1912, accluso nella prima antologia dei Poeti
futuristi pubblicata dalle Edizioni di «Poesia», la rivista fondata
dallo stesso Marinetti, assieme a Sem Benelli e Vitaliano Ponti,
sette anni prima. Liberarsi di Omero è liberarsi dalle origini della
letteratura stessa, costretta dalla prigione classica, incatenata da
un periodare stantio che mai potrà librarsi in volo. Marinetti vuole
liberarsi da tutto ciò che è alle sue spalle, con il fare
distruttivo apertamente esplicitato nel primo manifesto pubblicato
poco più di tre anni prima. Da quell'iniziale dichiarazione il
futurismo era cresciuto, si era diffuso e le sue parole avevano
echeggiato in tutta Italia e oltre, con la violenza espressiva che le
caratterizzava. Si erano diffusi i manifesti tecnici per le varie
arti e le varie scienze, linee guida per affrontare ogni disciplina
alla maniera di chi guarda solo verso il futuro. Dopo l'introduzione,
il primo punto emblematico e fondamentale per un nuovo approccio alla
poesia «bisogna
abolire la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono»:
liberare le parole nello spazio, senza locazioni fisse, senza una
disposizione obbligata da chi, prima di noi, la poesia l'ha ideata.
«Quia, ut
dictum est, cantio est coniugatio stantiarum»,
così
si apre il capitolo IX del De Vulgari Eloquentia: «si è detto
dunque che la canzone è un'unione organica di stanze». Si parla di
Canzone come genere poetico, le sue microstrutture sono le stanze, o
strofe come siamo soliti intenderle. Strofe intese come uno spazio
fisico da riempire, ogni parola le ammobilia. All'origine della
poesia è l'idea del componimento come uno spazio da occupare,
mediatrice tra il poeta e la lirica è la metrica. E se il De
Vulgari è
un testo latino, siamo
comunque alle origini della letteratura italiana, ai fondamenti di
ciò che il futurismo distrugge, è il passato più remoto e
recondito.
Se
c'è una sicurezza nella poesia è il verso.
Marinetti se ne libera, rende franco ogni lemma e la poesia esplode
nelle tavole
parolibere
in cui il senso della parola è rafforzato dalla sua disposizione
grafica nello spazio. Destrutturando la lirica Marinetti compie un
gesto di una forza molto più grande rispetto a ogni dichiarazione o
manifesto che sia: mina il significa della prima istanza poetica.
Etimologicamente il termine “verso“ deriva dal latino vertere,
nonché inclinarsi verso, volgersi verso... Andare a capo.
Sostanzialmente ciò che ci si aspetta da una poesia è che essa vada
a capo, si estenda verticalmente lungo la pagina. È una certezza
insita nelle parole stesse della poesia, perché se il verso è ciò
che la compone il metro, una semplice unità di misura lineare (e
quindi orizzontale), la comanda. La bidimensionalità si distrugge. È
il trauma della pagina bianca, la rivoluzione delle parole.
Serena Mauriello
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