«Il muro è la pubblicità che si
sottrasse sempre alla censura» affermava Carlo Dossi nella n°
1766 delle sue Note Azzurre.
Perché i muri sono carta bianca per esprimere il proprio dissenso,
sono il baricentro dell'umore politico, tela da riempire per gli
spiriti d'opposizione. Se ci si può sottrarre alla lettura di un
libro, una scritta sui muri non può essere non letta. È lì per
catturare gli occhi di chi non vuol guardare, ma per il suo carattere
etereo sa di non poter essere eternamente.
Qual
è la percentuale dei muri scritti in Italia me lo sono spesso
domandata,
allungando lo sguardo per strada fatichi a trovare candore sulle
pareti in mattone.
Dietro quegli ACAB che firmano come un inciso i graffiti dei writer
metropolitani di turno qualcosa
dovrà pur esserci. Non sono qui per disquisire sulla correttezza di
un gesto che potrebbe da alcuni esser definito improprio, ma quanto
il suo uso sia stato fondamentale per la storia del costume e non
solo. A illuminarmi, un saggio di Anna Scannapieco, Patriota
chi legge. Tutto quel
turpiloquio, quel non voler riscattare alcuna catarsi estetica di un
AI TEDESCHI UNA MERDA IN BOCCA oltre alle grasse risate e alle
boccucce storte di qualche ben pensante oltre che di qualche lettore
di origine germanica (e qua mi scuso con gli eventuali permalosi)
assume ben altro significato se si pensa che campeggiava sui muri
della Milano del 1847, la Milano risorgimentale che in sé mesceva il
desiderio di farsi indipendente. L'intelligenza popolare è
sintetica, diceva Montanelli, con un viva o
un giù può
riassumere grandi insegnamenti. Solinas l'ha confermato in
Verona e il Veneto nel Risorgimento,
i muri «sono
un'infallibile barometro politico poiché con i loro abbasso
ed evviva segnano
per i governanti il bello e il cattivo tempo». Eppure quello che può
essere uno strumento del popolo è stato più volte manovrato da chi
ci aveva visto lungo. Dell'uso che il fascismo ha fatto della
letteratura murale ne restavano i segni nelle campagne di Viterbo. Il
Regime ne fece ampio uso, come ricorda Cordona nel saggio Culture
dell'oralità e cultura della scrittura,
«graficamente c'era un canale largamente funzionante, quello degli
slogan mussoliniani epigrafati con solennità grafica su edifici
pubblici e privati». Apparivano improvvisamente soprattutto in
aziende agricole dove lavoravano permanentemente un ampio numero di
lavoratori della terra, menti che più di tutte erano terreno fertile
e facilmente manipolabile per la propaganda. Quello che all'apparenza
era un gesto dettato dalla spontaneità popolare, era il primo
mass-media manipolato
dalla dittatura fascista. Paradossalmente, si fingeva libertà di
espressione popolare nel momento in cui la si reprimeva. Tuttavia
un'arma troppo usata finisce per sbeccarsi: come ricorda la già
citata Scannapieco «proprio la martellante esuberanza della
letteratura murale fascista dovette, con effetto boomerang,
incentivare la rieducazione degli italiani all'uso contestativo delle
scritte».
Ma
che sui muri non ci sia censura è una verità profondamente
relativa, se non una mezza verità. La
storia della letteratura murale è segnata di scritte incise e poi
rimosse. Non sono solo i writer
del
duemila a scappare dalla polizia in palpitanti corse notturne. Eppure
la letteratura murale deve la sua permanenza nella storia proprio
grazie al suo più acerrimo nemico. È dagli archivi della polizia
che arrivano le testimonianze di quelle parole non concesse alla
pubblica stampa. Quelle stesse parole prima rimosse e poi prontamente
registrate in faldoni poi ricoperti di polvere. Lo sapeva bene
Montale quando l'11 settembre 1943 scriveva una poesia pubblicata poi
il 16 ottobre 1944 sul quotidiano fiorentino «Nazione del Popolo».
Quel baffo buco –
e scusatemi la volgarità necessaria – è quel frocio di Hitler.
Sugella,
Herma, con nastri e ceralacca
la
speranza che vana
si
svela, appena schiusa ai tuoi mattini.
Sul
muro dove si leggeva MORTE
A
BAFFO BUCO passano una mano
di
biacca. Un vagabondo di lassù
scioglie
manifestini sulla corte
annuvolata.
E il rombo s'allontana.
Serena Mauriello
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