Io credo – e i fatti confermano – che non ci sia miglior modo
per far felice una persona di prenderla “per la gola”. E far felici le persone,
soprattutto in una situazione di degrado, può significare molto per la qualità
della vita di un territorio. Questo, Emma Ferulano dell’associazione di Scampia “Chi
Rom e Chi no” lo sa bene.
Giorni fa, da qualche parte sul web, avevo letto che nella
periferia napoletana, nei pressi del quartiere di Scampia, è da poco nato un
ristorante di cucina italo-rom. Incuriosita e gradevolmente stupita, soprattutto
visti gli ultimi eventi verificatisi tra nord e centro Italia, mi sono chiesta
in che modo, in un contesto come quello di Scampia, possa “sopravvivere” un ristorante
in cui protagonista sia la tanto discussa minoranza rom.
Così ho chiamato Elena, una delle fautrici dell’attività, e
ho scoperto che dietro a quella che può apparire come un’originale startup, si
nasconde un’opera di riappropriazione degli spazi che ha svolto un lavoro
enorme. Da molti tutt’ora considerato utopia.
“Noi proponiamo un modello in controtendenza che, al
contrario di quanto possa apparire, è estremamente semplice – mi spiega – non abbiamo
fatto nulla di che, ma solo lavorato per l’integrazione. Mentre l’astio e gli
scontri nascono dalle strumentalizzazioni , noi ci siamo adattati alle
necessità, e ci siamo uniti”.
Chikù non è solo un ristorante, ma il prodotto – tutt’ora in
evoluzione - di un decennio di
militanza, cultura, narrazione e riscoperta di un territorio. Di un’azione
caparbia e determinata di pedagogia continua sui cittadini, volta a generare
consapevolezza e introdurre alla multiculturalità.
Ma allora, qual è l’origine
reale di questa idea?
La vera culla di Chikù è l’associazione “Chi Rom e Chi no”. Il
nostro lavoro, da sempre, è quello di svolgere un’azione culturale tesa a
difendere i diritti di rom e non rom e diffondere il concetto di
interculturalità. Scampia dieci anni fa non era com’è ora: le discriminazioni
nei confronti dell’etnia Rom rappresentavano, forse, un problema. Noi,
attraverso un lavoro d’inchiesta sulle bellezze del quartiere e la creazione di
una sua narrazione in cui si si creasse un collegamento tra differenti
culture, abbiamo rivoluzionato un
territorio partendo completamente dal basso. Siamo sempre riusciti a lavorare con
tutti indiscriminatamente verso una vera e propria politica di partecipazione.
Quando si parla di
riappropriazione di un territorio, inevitabilmente, si parla di spazi. Quali sono
i vostri?
Abbiamo una visione radicale della trasformazione degli
spazi dal basso. Il nostro primo, importante “approdo” è stata la costruzione
di una baracca all’interno del campo rom del quartiere. Sempre in
collaborazione con la comunità, ovvio. E in maniera pressoché inaspettata,
quella piccola costruzione è diventato un luogo fortemente simbolico per tutto
il territorio: ha ospitato doposcuola, convegni,
seminari, carnevali di quartiere, spettacoli teatrali di alto livello e
addirittura, una volta, la visita della prefettura.
In un contesto abusivo!
Spettacoli teatrali?
Si, sono circa dieci anni che mandiamo avanti un progetto teatrale
con attori rom e non rom; e la compagnia è un calderone culturale: composta da
ragazzi di Napoli centro, del periurbano e delle comunità nomadi, è arrivata a
contare 100 persone che, tutte insieme, hanno creato un contesto di coesione
sociale che ruota attorno ad una produzione artistica di qualità. Possiamo vantare
le sceneggiature di Maurizio Braucci e siamo riusciti a mettere insieme
intellighenzia e pedagogia.
Da qui, poi, la seconda tappa spaziale del nostro viaggio: l’auditorium
di Scampia. La struttura, mai veramente compiuta né resa fruibile, è stata occupata
dieci anni fa, diventando da quel momento un altro punto di ritrovo per la
cittadinanza e la società civile.
E poi l’idea di Chikù…
All’interno di tutto questo grande melting pot, ogni tanto
si finiva per ritrovarsi a cucinare nel campo dopo gli spettacoli teatrali. La
gente era contentissima dei grandi buffet di cucina rom che organizzavamo. Quando
venivano a farci visita scuole e licei e offrivamo dolci tipici, anche le
maestre con la puzza sotto il naso cambiavano espressione. Quello del prendere
le persone per la gola non è un luogo comune.
Così, spronati da varie opportunità, abbiamo riunito un
gruppo di donne rom e non rom del quartiere e scritto un progetto, che ha
finito per vincere il bando pubblico finanziato da Unar e Presidenza dei ministri
per la formazione professionale e la vendita di prodotti.
Da qui il servizio di catering: cucina rom e italiana
insieme. Dalle polpette al sugo all’insalata di verza e dalle polpettine alle
melanzane alle sarme (involtini di verza ripieni di riso).
E da qui altri bandi, altri premi: uno internazionale per l’innovazione
sociale e poi un altro, che ha portato UniCredit a chiederci un business plan
per la creazione del ristorante vero e proprio.
Un lavorone!
Due anni solo per il piano economico, lavori burocratici e
di militanza per l’acquisizione in comodato d’uso gratuito lo spazio sopra all’auditorium
di Scampia e la lotta che, non dimentichiamo, continua a rivendicare il
mantenimento stesso dello spazio. Abbiamo messo a disposizione l’area sia come
punto ristoro che come zona ricreativa.
Con quanti soldi
avete realizzato tutto ciò?
Quelli erogati dai bandi sono sempre stati piccoli fondi e
la maggior parte delle nostre attività è autofinanziata. Chikù, poi, sarà anche
finalizzato a fare fondo cassa, oltre che a dar lavoro ai collaboratori, che
sono 9 persone. E’ uno spazio in continuo fermento, facciamo workshop con
università e altre realtà, siamo in tanti, ora ci sta aiutando anche un amico
chef.
E l’esito sociale?
Beh, intanto si è superata l’idea stereotipata di rom e
zingari. Poi, considerando che spesso ci siamo presi a carico nella compagnia
ragazzi “borderline” che neanche andavano a scuola, si è dato vita ad un lavoro
di arricchimento artistico. I rapporti tra i
cittadini sono cambiati: il concetto di integrazione, da noi, è diventato implicito.
È una situazione in
netta controtendenza rispetto a quelle che si vedono nel resto del Paese. Ma siamo
sicuri che questo progetto piaccia proprio a tutti?
No, stiamo subendo piccoli attacchi, anche sui social
network, sia collettivi che singoli. E poi, ieri, il presidente della
municipalità di Scampia ha affermato di voler fare una “marcia” sul campo. Forse
in vista delle elezioni, chi lo sa. Ma secondo me lo fa solo per raccogliere un
po’ di consenso, e intanto noi – che ti assicuro, siamo molti – tenteremo di
bloccare questa cosa pacificamente, testimoniando che queste persone non sono “invasori”.
Ci siamo mobilitati tutti in maniera estremamente pacifica: non succederà
nulla.
Una considerazione sulle
ultime vicende messe in luce dalla cronaca?
Quando il tessuto sociale è debole e dietro di lui regna il
vuoto, la gente può finire per dilagare nei peggiori istinti. È necessario
partire dal basso, e per dare ordine a questi spazi così complessi ci vuole una cosa, che è fondamentale: la spinta culturale, la volontà pratica - e non retorica - di
fare consapevolezza e cultura tra la gente.
Intervista di Giulia Capozzi
(@giulscapozzi)
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