Sette appuntamenti, sette giornate in cui incontrarsi e scontrarsi sotto il segno dell'arte. Con la regia del direttore artistico Sergio Etere, Salerno si anima nel complesso
altre in una commistione di forme e colori «alla ricerca dei significati universali e metafisici dell'intima essenza delle cose nonché degli atti creativi che scandiscono i momenti dell'essenza umana» (Annette Armoise).
Entrando nel complesso monumentale, l'osservatore non sa dove guardare. O meglio, lo sa, ma vorrebbe guardare in troppi luoghi contemporaneamente. La chiesa risale al XVII secolo e candidamente accoglie lungo tutto il corso della navata fino all'altare, fin sul tabernacolo, le opere degli artisti, ognuno diverso dall'altro: in una dimensione collettiva ogni artista mantiene la propria individualità, la propria intimità. Tutti insieme espongono e tutti insieme creano. Perché quella di Sergio Etere e della sua cerchia, se così la
vogliamo chiamare, è una mostra innanzitutto dinamica in cui tutto è pronto a nascere e rinascere. Durante il corso della settimana i vari appuntamenti sono segnati da un action, una performance in cui non solo l'arte viene messa in mostra, ma generata davanti agli occhi del suo fruitore in una collaborazione continua tra i vari artisti, una commistione di generi, suoni, colori, forme, parole.
L'idea viene dal passato per rincontrarsi e ritrovarsi sotto il segno dell'arte, coinvolgendo le nuove generazioni. Sergio Etere ha vissuto il sogno degli anni '70, della rivoluzione artistica americana, dell'attivismo vero, dell'arte che non si chiude in un mondo stantio.«In Italia ho partecipato ai festival negli anni Settanta» racconta «ero amico di Battiato. Il nostro sogno era fare quello che fanno in
casa e dicevo Io ho già dato. Quarant'anni dopo pensavo che il mondo era cambiato, invece il look è cambiato ma la gente è sempre la stessa. Così nasce tutto, abbiamo messo insieme tutto questo. Voglio anche dimostrare all'amministrazione comunale che possiamo fare Cultura senza un centesimo, aggratis come dite a Roma, non come fanno loro, spendono tanti soldi per fare un evento. La nostra è l'altra Cultura. Ci siamo rincontrati tutti, è bello rinnovarsi». I contatti con le nuove figure dell'arte di ogni generazione hanno dato vita alla voglia di creare un evento che mettesse insieme il fermento che li animava. Dai primi di settembre, con la fedele collaborazione del fotografo Jacopo Naddeo, che si è occupato anche di documentare il backstage con i suoi scatti, sono incominciati i primi incontri
e le prime selezioni. Insieme sono andati a visitare i vari atelier per conoscere meglio gli artisti e le loro opere. «A volte Sergio ha lavorato con gli artisti per creare un qualcosa da esporre in mostra, come con la ceramica», racconta Jacopo Naddeo, «inizialmente voleva inserire solo persone che facevano parte della sua vita artistica e personale presente e passata, ma poi il progetto si è ingrandito in nuove conoscenze. A Salerno è stata inaugurata la biennale d'arte contemporanea in cui l'importanza monetaria è altissima. Noi, invece, abbiamo fatto arte di tutti e per tutti. Tutti quelli che hanno partecipato l'hanno voluto senza nulla in cambio». Quella di Quintessenza in Action è l'altra Cultura, la Cultura fruibile a tutti, senza doppi scopi o volontà di guadagno. È la Cultura che persegue il suo unico interesse: comunicare, condividere.
Gli artisti erano tanti, le opere diverse. In connubio di stili, colori e materiali differenti, nell'aria si è materializzato il filo rosso capace di legare più generazioni in un solo spazio. In una palpitante mixtio di vita, la musica ha fatto dell'atmosfera quel che della tela hanno fatto i pittori.
Il cuore di ogni appuntamento è la performance, il momento in cui artisti e pubblico si incontrano per dar vita all'opera, all'atmosfera: alla serata inaugurale, sei mani immerse nei suoni bollenti del complesso musicale Le Zampogne Daltrocanto e votate a tele vuote e barattoli di acrilico, hanno dato vita a due dipinti, prodotto di quello che secondo Sergio Etere è il significato fondamentale della performance: «non è contestazione, il senso di tutto è la liberazione». Contemporaneamente, all'esterno del complesso monumentale, un gruppo di writer ha potuto
di Quintessenza in Action è stata una grande possibilità per esprimersi senza costrizioni, per essere accettati in un ambiente riconosciuto: «Ci è capitato di non essere accettati a manifestazioni culturali. Dai Madonnari, ad esempio, sono stati i giudici ad aprire la mente alle persone, a far capire che quello che facciamo non è sporcare ma decorare, fare arte. Il writing, per me, è un modo per esprimere dei sentimenti, delle emozioni, delle visioni difficili da tirar fuori con le parole. Quando dipingo in una manifestazione cerco di portare sul muro quello che provo, lo faccio
soprattutto tramite i figurativi. A livello illegale il writing è tutt'altro: è adrenalina, è il brivido di vivere al di fuori dalla realtà, come essere in un film.»
«Ho cercato di raccontare quale fosse la quintessenza delle cose» ha raccontato Valeriano Forte «il colore, soprattutto nelle azioni quotidiane. E' nella routine che cerco di creare un solco ben visibile. […] Io l'ho guardata attentamente la tela che è nata da questo connubio, e devo dirti la verità: mi ha emozionato molto l'uso del blu, parlavo del mare, ci vorrebbe più di uno sguardo per capirlo. C'è stato molto di più di me che non ho trovato di me in quel
gesto pittorico, credo che sia possibile ritrovarsi. Certo, è più complesso quando si parla di astrattismo».
Ciò che conta in questi incontri è l'armonia, l'armonia che nasce dal saper condividere i propri significati, riuscire a «mettere» i «cuori in empatia», sentire le stesse «vibrazioni».
Serena Mauriello, Giulia Capozzi
Fotografie di Jacopo Naddeo