Apriamo la seconda puntata di Tutùm Narrativa con un brano tratto da qualcosa di realmente esistito. Qualcosa che, in parte, esiste ancora oggi. Per voi, la storia romanzata di come Eric Clapton scrisse una delle sue canzoni più belle...
WAAAAAAAA
Il
lamento del feedback, schizzato dall’amplificatore, si stampò sul muro di
fronte. Eric stancamente guardò l’orologio e, accomodatosi meglio, poggiò la Stratocaster
sul consunto ma comodissimo divano di pelle.
“Possibile
che tutte le volte debba essere così lenta” si disse, inspirando compostamente.
Poi, come sopraffatto da un gesto inconsulto, cercò nel taschino della camicia,
sapendo di non trovare quello che non
voleva assumere.
La
frustrazione lo avviluppò, costringendolo a cercare più velocemente. Essere un
idolo delle folle non lo aiutava di certo. Sapere di essere stato definito
addirittura Dio, ancor meno. E a peggiorare tutto, quella voglia di eroina che
ti catapulta nel tunnel degli oppiacei, immergendoti in una dimensione che ti
accompagnerà per tutto il tempo che l’assumerai e anche dopo, quando sarai
convinto di aver superato il problema.
La
voglia di droga, si mischiava alla depressione, e la depressione, come una
coperta di ghiaccio pesante decine di tonnellate, lo avvolgeva schiacciandolo a
terra, incapace in certi casi di imbracciare addirittura la sua amata chitarra.
Erano diversi mesi che non riusciva a comporre nulla. Chiuse gli occhi, in
attesa che il cuore si fermasse, o almeno rallentasse la brusca accelerazione
che aveva preso.
Tutum
tutum tutum tutum
Inspirò
nuovamente cercando sollievo, ma il muscolo cardiaco sembrava vivesse un
contrasto di cui lui non era stato assolutamente informato. Si infastidì molto
che il suo cuore non gli avesse comunicato quell’irrefrenabile voglia di
galoppare. Come si era permesso di lanciarlo a sua insaputa in quella corsa
sfrenata? Era sera, e a lui tutto andava, meno che di correre.
-
Fermati! - si disse, alzandosi in piedi.
-
Non ti ho fatto niente - biascicò ricadendo sul divano.
Flassshhh
Un
lampo e vide gli occhi di Patti. La dolce e amata Patti, con i suoi sguardi da
cerbiatta, i capelli biondi sempre pettinati e quel meraviglioso e abbondante
seno materno.
Quanto
amava il suo seno. Ogni volta che aveva voglia di piangere, di farsi una pera
di eroina, o di attaccarsi alla bottiglia, correva da lei e l’abbracciava,
nascondendovisi in mezzo.
La
sentì armeggiare di sopra, tutta intenta a superare un limite che si era
imposta ogni santo giorno. Essere sempre più bella. Se c’era una cosa che le
riusciva perfettamente, rifletté, mentre il cuore, come se avesse ascoltato la
sua supplica decelerò leggermente, era quello di dedicarsi con passione alla
sua bellezza. Patti amava conquistare gli sguardi degli uomini anche nelle più
banali situazioni. Differentemente da lui che invece era schivo, riservato e
impacciato. Completamente diverso dall’eroe della sei corde che ogni sera
sapeva incantare le folle di mezzo mondo.
Tutum
tutum tutum tutum
L’animale
accelerò di nuovo, sopraffacendolo. Il respiro si fece affannoso, mentre un rivolo
di sudore colò dalla fronte e cadde come un diamante, pazzo e luminoso,
sull’indice della mano destra. Il suo sguardo si fece per un attimo vigile centrando
quel piccolo seme che brillava come una gemma. Lo guardò esterrefatto senza
capire dove si trovasse, attratto dalla forma curvilinea e da quella
trasparenza astratta. Gli sembrò di vedere il grembo di una madre, poi il fuoco
di un camino e infine gli occhi di Patti. Subito dopo, l’immagine svanì,
contrastata da una cascata di note. Alcune acute, altre gravi. Un Re basso gli diede l’avvio per inserire subito dopo un Si naturale, un Do e nuovamente il Si.
Poi
gli occhi di Patti, che scomparvero dietro un velo di acqua. E di nuovo il Re, ma stavolta non come prima. Strinse
i pugni canticchiando il motivo di quelle sole quattro note, e distese le gambe
in cerca di risposo, mentre la goccia di sudore proseguì la sua lenta corsa
cadendo sul cuscino.
“Patti…perché
vuoi diventare sempre più bella? Non ti basta quello che la natura ti ha dato?”
si disse spostandosi di lato.
Tutum
tutum tutum
Distese
le spalle e si rese conto di stare meglio. Una sensazione leggermente più
rilassata. Il cuore camminava ancora troppo veloce per come la vedeva lui, ma fu
felice. Si sedette e rifletté sui concerti degli ultimi tempi. Era stato bello
il tour negli Stati Uniti. Specialmente l’ultima data, quella a Los Angeles.
A
lui piaceva molto la città degli angeli, crocevia e crogiuolo dei più blasfemi sogni
umani. Un misto di razze, desideri reconditi, vizi e virtù di una società che
sembrava sempre in cerca di qualcosa. Ogni città aveva la sua peculiarità e
quella di Los Angeles era sicuramente la continua ricerca del futuro. La
tensione emotiva di un tour era una delle cose più eccitanti che si potesse
provare. Il backstage, con le fanzine sempre pronte a darsi a uno qualunque dei
componenti della band, nella speranza di mettere le mani prima o poi sul
leader, era uno stimolo a soddisfare le proprie irrequiete pazzie.
Prese
dolcemente la chitarra dal manico, come stesse toccando il braccio di un
bambino. Se la poggiò sulla coscia destra e accese il Marshall.
Che
belle, le feste post concerto. Veri e propri baccanali sfrenati, a cui partecipavano decine di persone in preda a
un delirio collettivo.
Tum
tum tum
Il
cuore, si rese conto, era tornato stabile, quasi a riposo. Era così che lui lo
voleva, non come quando correva impazzito quasi fosse un treno senza controllo.
Re…Si Do Si…
Bello
il giro, si disse, spostando lo sguardo
sulla mano sinistra come gli veniva naturalmente. Dove lo aveva sentito? E
perché ce lo aveva in testa? Non riuscì a capire perché quelle semplici note
fossero eruttate dalla mente sulle sue mani. Le aveva forse sognate? Gli erano
state dettate da un’intelligenza aliena?
Non
se lo seppe spiegare, mentre le dita corsero sulle corde, comprimendole dove
sapevano.
Re… Si Do Si…
Un…
Re Si Do Si…
Uhm…
gli piacque molto più di prima. Quella leggera pausa d’ottavo dava al motivetto
tutta un’altra sensazione.
Si
accese una sigaretta e per caso l’occhio cadde sul quadrante dell’orologio.
“Ommiodio…”
blaterò infastidito.
“Siamo
in ritardo mostruoso…”
Poggiò
la Fender come se fosse una reliquia e prese a salire le scale. Pochi secondi e
fu nella camera da letto. Patti era lì, immersa in un tripudio di magliette,
collant, abiti da sera, top e cappelli di ogni colore e foggia. Con l’occhio
vacuo, sembrava in preda a un delirio trascendentale. Si muoveva al rallenty e
non si accorse nemmeno che lui gli fosse davanti. Lo scavalcò con lo sguardo,
andando a raccogliere un abitino di chiffon che probabilmente le era scappato
durante la ricerca.
-
Sei meravigliosa, okay? Per favore non cambiarti più. Dobbiamo andare o faremo
troppo tardi - le disse Eric, sopraffatto dalle sue stesse parole.
Frustrato,
scese nuovamente le scale, sapendo che avrebbe dovuto attendere ancora diverso
tempo.
Il
ronzio dell’amplificatore lo distrasse dai pensieri, costringendolo con piacere
a sedersi nuovamente vicino alla sua chitarra.
Un…
Re Si Do Si…
C’era
qualcosa che ancora mancava. “Ma cosa?” si disse.
Tutum
tutum tutum
La
bestia si riaccese per un attimo, consapevole del suo dramma. Lui si spaventò e
strinse i denti abbracciando con forza lo strumento. Dieci pompate come se
stesse morendo e poi si acquietò di nuovo.
Che
bastardo infame il suo cuore. Partiva all’impazzata per poi frenare come
un’auto da Formula Uno prima di una curva a gomito.
Un…Re Si Do Si… il motivetto andava bene,
ma aveva bisogno di un finalino. Si concentrò, provando diverse soluzioni.
Niente, le note che sperimentava non gli davano soddisfazione. Non sapeva
nemmeno lui cosa volesse, però quello che sentiva non gli piaceva. Lui, che era
abituato a strapazzare le scale inserendo spesso la terza minore e subito dopo
una quarta aumentata, si stava facendo ammaliare da un semplice accordo
maggiore. Una cosetta da poppanti, eppure gli piaceva molto.
“Patti…ancora
sei lì?” si chiese, inserendo il pensiero nella concentrazione musicale, come
farebbe un falegname con un tassello di legno.
Tutum
tutum tutum
Un’esplosione
di sangue schizzò violenta in tutto il corpo e verso l’ipotalamo, irrorandolo
come una begonia assetata in una giornata estiva.
La…Reeeeee
Un
sorriso gli riempì il viso contratto. La mano si mosse, aiutata
dall’avambraccio. I polpastrelli scesero leggermente, toccando la nota di un
tono più bassa per poi salire tre toni più in alto. Eccolo il finalino, si
disse quasi soddisfatto. Non come prima, quando si ostinava a scendere
solamente di un semitono e risalire di soli due toni.
Laaaaa…Reeeee…
Eccola
la lunghezza. Una doppia croma e una semiminima puntata.
Chiuse
gli occhi e canticchiò il motivetto
mente lo suonava alla chitarra.
Poi,
come toccato da un vento caldo, si destò e vide lei. Splendida nel suo
vestitino, lo attendeva in piedi con uno sguardo da monella dispiaciuta.
Strinse
gli occhi mentre il cuore diede le ultime pompate feroci, ma stavolta d’amore.
A
quel punto, gli fu tutto comprensibile. Le note che sarebbero servite per
completare il motivetto e il brano nella sua interezza.
Mancava
solo il titolo.
Ma
quello fu semplicissimo.
La
guardò un attimo prima di alzarsi e, naturalmente, come gli veniva quando
suonava la chitarra, si disse:
Wonderful
Tonight…
Alessandro Da Soller
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