venerdì 6 marzo 2015

[Per leggere un po’] - “Sulla pelle dei Rom”: il libro nudo e crudo che racconta i nomadi e Alemanno

La storia dell’antiziganismo è vecchia. Per quanto ne sappiamo, affonda le sue radici addirittura 600 anni fa, ma le cronache più note che la riguardano risalgono alla pre-modernità; nel 1773, nel Regno Austro Ungarico, è infatti l’imperatrice Maria Teresa ad emanare le prime leggi relative all’istruzione e all’educazione dei bambini appartenenti a questa etnia: decisa a dare loro una “buona educazione all’ungherese”, li toglie ai genitori per rinchiuderli in appositi istituti. “Le famiglie rom, esasperate dalla durezza dei provvedimenti, ridotte in miseria, senza tende, cavalli né carri, senza vestiti né cibo, si danno al brigantaggio”. 

“Sulla pelle dei rom” (Alegre edizioni, 2012) è un libro piccolo, di circa 120 pagine. La copertina, che ritrae un giovane rom di fronte a una catasta di macerie in legno, pare sintetizzare in maniera cruda e chiara ciò che le pagine a seguire avranno da raccontare. E quella che il suo autore descrive a serrato – e inaspettatamente dettagliato – ritmo di cronaca, è una storia da un lato a noi estremamente vicina, dall’altro – per logica di stampa mainstream – ancora troppo lontana.

E se gli assolutismi del XVIII secolo vedevano le radici della discriminazione in quello che senza mezzi termini può esser definito “puro nazionalismo”, questo piccolo volume di Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione “21 Luglio” e attivista contro la discriminazione delle minoranze rom da ben 14 anni, ci fa comprendere come i moventi contemporanei delle grandi politiche discriminatorie nei confronti della popolazione rom e sinti siano date prevalentemente da quella che potremmo definire mera “indifferenza elettorale” delle odierne amministrazioni.
Il volume si occupa di riportare la dettagliata cronistoria di contorni e contenuti che hanno caratterizzato il Piano Nomadi della giunta Alemanno, presentato dall’ex sindaco della Capitale nell’estate del 2009 come una vera e propria “rivoluzione copernicana a livello europeo”, e conclusosi in maniera drammaticamente inutile tanto per la popolazione (rom e non-rom che sia) quanto per le casse pubbliche. Il Piano, che promise a suo tempo la chiusura dei 101 insediamenti “tollerati” della Capitale e il trasferimento di ben 6000 rom prima all’interno di una “struttura di transito”  e poi in tredici nuovi “villaggi attrezzati” che avrebbero garantito lo sviluppo di autonomia e intregrazione, si è tradotto in una miriade di sgomberi – spesso anche sanguinosi – volti unicamente a garantire consenso pubblico. Capaci di indebolire ulteriormente le possibilità di pacificare la storica spaccatura “rom- non rom”.

I numeri parlano chiaro: nel 2012, il gran finale del Piano Nomadi lascia le sue tracce con 60 milioni di euro investiti per 8000 rom; infiniti sgomberi con il risultato di 4 insediamenti chiusi, decine di insediamenti organizzati dall’Amministrazione e situati completamente al di fuori del contesto urbano (e dunque fuori dalla civiltà, dalla possibilità di integrazione); morte di decine di persone a causa dell’inefficienza igienica, di sicurezza e sanitaria dei campi, e nessun visibile miglioramento né in tema di integrazione, né in tema di sicurezza. Tutto ciò, ovviamente, coadiuvato da una stampa sempre attenta ad essere “oggettiva” rispetto alla comunicazione politica – una stampa che dunque non si occupa di sviscerare gli eventi e comprenderli, ma che si limita ad incollare su pagina comunicati stampa e sterili dichiarazioni dell’Amministrazione.
Ma il punto di Stasolla non è solo questo. Non ci si limita a raccontare le vicende che hanno “riempito” e concluso le azioni de Piano Alemanno. Dove nasce il piano nomadi? Quali sono i fatti che lo precedono e legittimano?
Contornando dettagliatamente il nucleo del reportage, Stasolla ricorda come l’humus di questa grande azione discriminatoria sia stato il Piano d’Emergenza Rom emanato dal governo Berlusconi nel maggio del 2008 e preceduto da quello che si ritiene essere un vero e proprio lavoro sull’opinione pubblica – anche qui protagonista la stampa locale e nazionale – volto a “criminalizzare” e stereotipizzare l’etnia rom e sinti. 

Quel che mi è piaciuto di questo libro è l’onestà di cronaca mai abbandonata durante tutto il corso della narrazione: lasciando poco spazio alla retorica, “Sulla pelle dei rom” documenta la triste storia dell’operazione Alemanno (e non solo!) citando le fonti in maniera precisa e dettagliata e aprendo continuamente finestre e spunti di riflessione. A mio avviso però – e sulla base di quelle che potrei definire le mie personali ‘esigenze cognitive’ -, un lettore che volesse comprendere meglio le radici storiche e sociali di questa irrisolvibile storia di discriminazione e incomprensione, non troverebbe qui dentro le risposte che cerca. In altre parole, questo piccolo volume riesce a ben soddisfare solo una piccola parte dei quesiti oggi aperti di fronte a questa problematica.

Invitando dunque il lettore a leggere il volume ed approfondire le proprie ricerche, chiudo con una piccola riflessione: lo scorso gennaio, in vista della shoah, l’Associazione 21 luglio ha pubblicato una interessante ricerca antropologica volta ad indagare le ragioni principali della discriminazione nei confronti dei rom, facendo partire la sua analisi dall’ipotesi secondo cui sarebbe possibile fare un parallelismo tra la discriminazione di oggi nei confronti dei rom e  quella di “ieri” contro la comunità ebraica. L’ipotesi, a mio avviso,  è stata però immediatamente “stroncata” da molti dei personaggi intervistati –soprattutto quelli di provenienza ebraica-  che hanno ricordato come vi sia una enorme differenza tra le due culture: una colta, attenta a perpetrare la propria memoria in maniera “scritta” e di provenienza assolutamente borghese. L’altra prettamente legata a pratiche orali, di provenienza tanto bassa da superare anche la classe del sottoproletariato: i nomadi, come è stato ben segnalato da Michela Procaccia, sono del tutto improduttivi in senso capitalistico ed è questo a rendere assolutamente definitiva la stigmatizzazione di cui sono oggetto. 
Ma fino a che punto un essere umano può esser “punito” per la propria improduttività? È legittimo, da parte nostra, stabilire che il destino di queste persone debba essere quello dell’eterna emarginazione? Ed è realmente produttivo assumere le nostre posizioni sulla base di quella che è un’opinione dominante troppo spesso trainata una politica e un sistema stampa del tutto “euristici”?  
Alla ricerca l'ardua sentenza.






Giulia Capozzi
@Giulscapozzi

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