sabato 14 marzo 2015

[Tutùm Teatro] - Teatro, relatività e passione



Riccardo Calisti ph.
Mettiamo che il fine di questa rubrica sia quello di definire il teatro. Mettiamo che il definire sia in me una capacità parzialmente assente e conseguentemente io abbia bisogno di navigare tra le definizioni altrui per intravedere, come dall’oceano, il faro della mia propria.
Questo è il motivo per cui ho chiesto a un gruppo di persone di raccontarmi la propria definizione di teatro.
Di cosa parliamo quando diciamo la parola teatro? Qual è il nostro teatro, quello che abbiamo in mente?
«Ok, chiudete gli occhi e ditemi qual è la prima cosa a cui pensate se dico la parola TEATRO.»
Intuitivamente per molti la prima associazione riconduce allo spazio teatrale: Il palcoscenico.
«Quando le luci si spengono, ecco l’ingresso nella dimensione parallela»,
mi dice Gabriella.
Il luogo è come un etimologia: introduce alle radici del territorio dello spettacolo dal vivo.
Teàtro dal latino Theatrum e dal greco Thea - tron . luogo destinato agli spettacoli. Da Thea: il guardare, vista.
Tutte queste voci fanno capo a Thayma: ammirazione, meraviglia.
Subito mi accorgo che la parola teatro non è, però, sufficiente per delineare il perimetro della mia indagine. Così smetto di utilizzare la parola Teatro, sostituendolo con Spettacolo dal Vivo.
Sì, perché Tutùm teatro non si limiterà a parlare di ciò che avviene nell’edificio teatrale, ciò che ci interessa è un analisi continua dal macro al micro cosmo della performance.
L’indagine si avvale delle navi delle tradizioni teatrali per soffermarsi, però, sui detriti dei loro naufragi, intesi come aperture e possibilità di scoperta dei relitti. Mi piacerebbe poter dire che questa metafora sia stata partorita dalla mia mente, ma forse è ancora più dolce poter dire che Franco Ruffini l’ha utilizzata pochi giorni fa in una conversazione con un’aula di studenti al DAMS di Roma Tre. La nave naufraga permette a chi vuole esplorare di scoprire nel fondo del mare detriti e tesori. La scoperta, d’altronde, è storicamente legata al rigenerarsi del teatro da se stesso.
Ma vi stavo parlando di un sondaggio, è che mi capita di dilungarmi... So che voi sarete clementi. Dicevo: emerge dal sondaggio quanto è facile avvicinarsi allo spettacolo dal vivo tramite la pratica. Ma non mi stupisce: il teatro è parte integrante dei percorsi formativi istituzionali che ci circondano. Vedi la scuola, la chiesa, ma anche nel gruppo di coetanei. I nostri giochi tra bambini: facciamo finta che.
«Te lo ricordi il tuo primo contatto, la prima esperienza, con lo spettacolo dal vivo?»
«Certo! io e mia sorella mettevamo su degli spettacoli in balcone. Con tanto di prove e tutto il resto. Pensa che invitavamo tutta la via.»
La performance è una pratica molto più diffusa di quel che pensiamo e come tale è fortemente differenziata dalle esperienze e percezioni individuali. Diviene difficile, quindi, scrivere un articolo d’apertura sul teatro “in generale”. La prima differenziazione che mi viene in mente è quella generazionale. Nel 1931 viene introdotta in Italia la televisione.
Nel ’35, mia nonna, da sposata, compra la sua prima televisione da mettere in casa.
Mi racconta che sua nonna la portava a vedere il teatro dei burattini a Livorno, dopo queste prime esperienza le era capitato spesso di frequentare i teatri. Chi appartiene a quella generazione ha conosciuto prima il palcoscenico, e, successivamente, il tubo catodico. Per noi è diverso, ma lo è stato anche per i nostri genitori. Nasciamo e cresciamo con una televisione in casa, la domenica si va al multisala e il teatro si incontra per grazia divina nelle gite istituzionali. Il rapporto con il teatro cambia negli anni, ovviamente, anche in rapporto ai media e se ci pensate, anche se sembra assurdo (vista la cronologia storica degli “agenti” dello spettacolo), gli individui della generazione dagli anni Quaranta in giù hanno vissuto l’avvento del teatro, piuttosto dei nuovi media.
Per concludere ho voluto chiedere ai poveri mal capitati:
«Cos’è che ti aspetti di vedere quando vai a teatro?»
Questa volta uso sapientemente la parola teatro per indirizzarli a un certo tipo di fruizione commerciale dello spettacolo dal vivo. Le risposte che ricevo sono varie, differenziate e vario pinte.
«Il teatro per me è evasione nel senso che preferisco andare a vedere uno spettacolo che abbia un senso manifesto. Non dico che debba essere comico o di bassa qualità, intendo che preferisco capire quello che vedo.» (Giorgio)
Molti mi parlano del teatro dei grandi: Eduardo, Manfredi, Gassman. Altri mi dicono che si aspettano di credere a quel che vedono e altri pretendono di essere toccati, emozionati, trasportati, coinvolti. Qualcuno mi ha risposto che si aspetta di vedere qualcosa di artistico, di estetico.
Penso ad Artaud che si rivolta nella tomba.
L’obiettivo di questo sondaggio era marcare una linea retta da percorrere per scoprire entroterra e confini dello spettacolo dal vivo.
Ma il risultato è stato ancora più interessante. Il punto è che non esiste un’univoca faccia del teatro. Ognuno di noi ne ha un' immagine ben precisa e distinta. Oppure confusa, ma comunque individualmente differenziata. Ognuno di noi è un occidente per l’oriente dell’altro. Dal macro al micro.
Bene, con questo voglio dirvi che qui vi parlerò di tutto il teatro. Il teatro come luogo, pratica, tradizione, mezzo. Scritto, praticato, immaginato, sognato, distrutto, agognato. Così che possiate qui ritrovare le tracce del teatro come lo vedete voi e del teatro come mai l’avreste immaginato.



Voglio ringraziare Giulia per avermi dato fiducia e avermi affidato la rubrica
senza mai avermi effettivamente letta (o anche solo incontrata)
e Serena per avermi spronato
aiutato
e velatamente costretto a superare i miei limiti.

Dafne Rubini



Partecipate inoltre al nostro perpetuo sondaggio scrivendoci a tutùmteatro@gmail.com





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