Dagli
anni Sessanta agli anni Settanta, passando per il fulcro del ’68, i
giovani avevano cominciato a far sentire veementemente la propria
voce. Dai giovani francesi della Sorbonne, che avevano reso
l’università una «fortezza assediata», Calvino rimane folgorato.
Quella violenza d’espressione non aveva tardato a tramutarsi nella
violenza espressiva delle arti. Tutto questo investe la poesia, e - non
troppo lentamente - qualcosa muta. È una cesura radicale.
«Finalmente
la poesia è uscita dalla pagina scritta. Ciò che è accaduto al
Beat 72 è senza precedenti. Molto pubblico. Molta aggressività.
Discussioni feroci. La poesia ha rilevato una carica insospettata,
una capacità di suscitare eventi travolgente e imprevedibile.[…] è
finito il rituale triste dell’autore che legge in una saletta
poesie ad un pubblico genericamente mondano, è finito l’uso
sdegnato di poesie politiche lette tra un concerto pop e uno
spettacolo teatrale per la “giusta causa”»1.
È la Beat generation che
vuole ridefinire il ruolo stesso del poeta. Ci sono Elio Pagliarani,
Amelia Rosselli, Valentino Zeichen. Ci sono i nomi che faranno la
storia della letteratura contemporanea. L'atmosfera è febbrile, una
notte chiassosa e anarchica, è la perfetta rappresentazione degli
anni Settanta. Due anni prima, in uno scantinato di Via Gioacchino
Belli, un happening di sei mesi aveva animato la vita culturale non
istituzionale romana, tutto viene prontamente documentato da Vicenzo
Cardarelli in Il poeta postumo.
È un precedente di vitale importanza per l'evento di Castelporziano,
si mette in atto la tendenza all'ibridazione dei generi,
l'ispirazione viene dal dadaismo, dall'esperienza di Fluxus2.
Cordelli
lo disse: quello sulla spiaggia del litorale non fu un festival
della poesia, fu il festival dei poeti.
Al centro di
quella grande impresa visionaria, c'era la volontà di restituire il
corpo del poeta al pubblico. Di distruggere la distanza tra la poesia
e i suoi fruitori. Quella sera a Castelporziano, il pubblico
impazzava, volevano salire sul palco, prendere in mano i microfono e
parlare. Prendere un posto non più passivo nella fruizione dei
versi. Ma non basta avere in mano un microfono per essere poeta, come
non basta tenere una penna in mano per essere uno scrittore. Qui lo
spazio perde la sua neutralità, come affermavano Berardinelli e
Cordelli in quegli anni il pubblico per la poesia è anzitutto quello
dei poeti3.
Ma sono poeti postumi, quegli
stessi poeti escono da sé per osservare il loro cadavere, per
guardarsi dall'esterno con occhi nuovi e scrivere con la libertà che
solo la morte conferisce. Si riparte dal corpo del poeta stesso, è
costretto a mostrarsi nella sua individualità e lo devo fare per
costrizione con la sua dose di erotia4.
Il
termine di quella serata è emblematico per il futuro della Beat
72. Il palco
sul mare crolla in acqua: è l'inizio della fine. Quel fervore
naturale non potrà essere riproposto: la replica del 1980 a piazza
Siena, sempre nella capitale, è fallita in partenza. Quello spirito
aggressivo e distruttore ormai si è spento, di quei poeti
postumi ormai
rimane solo un'onoranza funebre.
Serena Mauriello
1Tomaso
Kemeny, Cesare Viviani, Il movimento della poesia italiana negli
anni Settanta, Bari, Dedalo Libri, 1989, p.194
2
Cfr. Stefano Chiodi, La spiaggia dei poeti postumi,
in Atlante della letteratura italiana,
vol. 1, a cura di Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, Torino, Giulio
Einaudi, 2012, pp. 964 - 968.
3
Cfr. Alfonso Berardinelli, Vincenzo Cordelli, Il pubblico della
poesia, Cosenza, Lerici, 1975.
4
Cfr. Vincenzo Cordelli, Proprietà perduta,
Guanda, 1983. Il
libro di Cordelli va inteso come resoconto del festival di
Castelporziano, ovvero esperienza di distanziamento e deriva della
poesia italiana negli anni '70.
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