Un passato incombente è quello alle
origini della nostra letteratura. Dante,Petrarca, Boccaccio: la
triade perfetta.
Fossi stata una scrittrice nel Quattrocento, non avrei avuto il coraggio di prendere la penna in mano (non che io l'abbia adesso, d'altronde). Per quanto concerne la poesia, il ruolo di Dante e Petrarca rimarrà saldo nei secoli, ma in un continuo muoversi a favore dell'uno e dell'altro, o in un fondersi e saldarsi nei versi dei più grandi poeti a seguire.
Fossi stata una scrittrice nel Quattrocento, non avrei avuto il coraggio di prendere la penna in mano (non che io l'abbia adesso, d'altronde). Per quanto concerne la poesia, il ruolo di Dante e Petrarca rimarrà saldo nei secoli, ma in un continuo muoversi a favore dell'uno e dell'altro, o in un fondersi e saldarsi nei versi dei più grandi poeti a seguire.
Petrarca
e Dante si incontrarono una sola volta, ma tempi e modi non erano di
certo maturi per un confronto. A dir la verità, non abbiamo neanche
l'assoluta
certezza che l'incontro del millennio sia avvenuto
realmente. È il 1311, ser Petracco – padre, appunto, di Petrarca –
è a Pisa1.
Partiamo dal presupposto che Dante era coetaneo di Petracco e non del
poeta del Canzoniere, con lui condivideva il triste destino
dell'esilio. Tra i due poeti passa una generazione, trentanove anni.
Insomma, nell'anno del probabile incontro Petrarca di anni ne ha
sette e di certo non può cimentarsi in un dibattito sui grandi topoi
della letteratura. Tutt'al più Dante gli avrà scompigliato i
capelli con la mano o forse dato un pizzicotto alla guancia come si
fa con i bambini. Ecco, in quel momento Dante e Petrarca non sapevano
che i loro destini sarebbero stati intrecciati per sempre generando
una dualità infinita. Chissà se... Potremmo ipotizzare mille storie
invecchiando l'uno o ringiovanendo l'altro. Lo scontro – e
l'incontro – tra Dante e Petrarca vive nelle parole di chi li
legge.
Il Novecento è un secolo complesso e
variabile, per i lettori dei due poeti si apre nel più acerrimo dei
modi. È
il 1910, Giovanni Papini – ex garibaldino, repubblicano ateo e
anticlericale – pubblica un libro dal titolo eloquente che dichiara
la sua volontà polemica. È tempo di schermaglie, terreno di scontro
è ancora una volta una rivista: «La Voce», fiorentina,
spregiudicata nelle battaglie culturali e di costume, accanita
oppositrice del conformismo borghese dell'inizio del secolo scorso.
Alle stampe è Maschilità.
Papini non ha remore, porta la distinzioni sul piano sessuale.
Nell'introduzione chiede al lettore di prepararsi in una battaglia a
due: è «il contrapposto iroso tra Maschio e Femmina, tra maschilità
e femminilità, tra letteratura-vita virile e letteratura-vita
femminile, tra pietra e miele, tra genio e ingegno, tra campagna e
città, tra Dante e Petrarca»2.
In un colpo solo è la distruzione antropologica di Petrarca –
amato, emulato, imitato ai limiti del plagio da schiere di poeti e
aspiranti tali – ridotto a ometto mellifluo. Ma Papini non si
ferma qua, come abbiamo detto non ha remore ed è pronto allo
scontro. Distrutto Petrarca, è tempo di distruggere anche i suoi
successori. La stirpe dantesca, nella quale annovera autori da
Sacchetti a Carducci, è macigno, potenza, virilità; la casata del
Petrarca è una gran calca di poco valore. Manco a dirlo, Papini si
proclama apertamente per la prima.
Un
colpo gobbo parte da d'Annunzio e arriva a Petrarca nel 1925. La rock
star della letteratura italiana accusa l'aretino di scolasticità e
limitatezza nell'uso della lingua latina3.
E pensare che Petrarca voleva passare alla storia per le sue opere in
lingua classica e non quelle volgari.
Se
l'inizio del secolo è questo, cosa ci si può aspettare dagli anni
che seguono? Fatto è che Petrarca con il Novecento – il secolo
delle guerre, della resistenza, dell'impegno politico – non sembra
essere combinabile. Proprio lui, passato alla storia per essere
stato dalla parte dei potenti, per esser vissuto con naso fisso sui
libri nella pacatezza della sua camera da letto (visione stereotipata
questa, e quindi da non prendere per storicamente vera). Dante è
tutt'altro, e senza dubbio più attraente. E se i figli di Petrarca
non sembrano essere sfrontati come quelli di Dante, bisogna pure dire
che la loro è resistenza passiva. Petrarca
nel Novecento esiste in un «percorso abbastanza carsico, più nelle
piaghe dei testi che sulla loro superficie vistosa»4.
Serena Mauriello
1 Cfr. Ernest
Hatch Wilkins, Vita
del Petrarca [1961],
traduzione di Remo Ceserani, a cura di Luca Carlo Rossi, Milano,
Feltrinelli, 2003, p. 7.
2
Giovanni
Papini, Il
miele e la pietra,
in «La Voce», 11 agosto 1910, in Id., Maschilità,
Firenze,
Libreria della voce, 1915, p. 12.
3
Cfr.
Gabriele d'Annunzio, Il
secondo amante di Lucrezia Buti,
in Id., Le
faville del maglio,
vol. II, Il
compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere
inimitabile [1928];
ora in Id., Prose
di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento,
d’indovinamento, di rinnovamento,
a cura di Egidio Bianchetti, Mondadori, Milano, 1956, vol. II, pp.
192-193.
4
Paolo
Zublena, “Lingue
petrarchesche” nel percorso poetico italiano,
in Un'altra
storia,
cit., p. 91.
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