martedì 31 marzo 2015

[Itinerari Letterari] Le risse degli intellettuali #4: Futuristi e Vociani, non volano solo le parole


Nei primi anni del Novecento, Firenze accoglieva a Piazza Vittorio Emanuele – poi Piazza della Repubblica – la Birreria dei Fratelli Reninghaus, poi ribattezzata Caffè Giubbe Rosse per il colore delle giacche dei camerieri. Non era un bar come tanti in una città come tante, era un caffé letterario nella città più letteraria d'Italia. Tra i suoi tavolini passano Campana, Montale, Landolfi, Ungaretti, Gadda, Soffici, Marinetti e molti altri1. La varietà dei nomi mostra di riflesso la varietà degli approcci alla letteratura di chi passò per quel mondo animato di voci e profumato di caffé.

Accade che, tra i tanti, ci siano anche i vociani proprio negli anni in cui i futuristi prendono piede a Firenze. 
I primi sono caratterizzati da un modo critico irriverente, i secondi da una violenza inaudita.
Luglio 1911, sulla rivista «La Voce» appare un articolo di Ardengo Soffici dal titolo Arte Libera e pittura futurista2. È una recensione, stroncatura indemoniata di un'esposizione avvenuta al padiglione della fabbrica di Ricordi di Milano. Marinetti si sveglia la mattina, legge il giornale e probabilmente la colazione gli va di traverso. Parla con Boccioni, con Russolo e Carrà. I loro quadri sono stati distrutti dalle parole di un tale Soffici, di un vociano. Decidono un'immediata spedizione punitiva. Consapevoli che gli scrittori de «La Voce» spesso si riuniscono ai tavolini del caffè Giubbe Rosse, si mettono in marcia e, una volta entrati, dopo aver chiesto chi fosse Soffici è subito il putiferio. Soffici, consapevole di quanto aveva detto ma abituato a risposte di altro genere, è seduto a tavolino con Medardo Rosso ascoltando la banda militare. Qualcuno gli tocca la spalla, lui alza la testa e si ritrova a terra. Sono arrivati i futuristi. «Pronto per natura a reagire alle offese, specie di quel genere, mi rialzai di botto, impugnai un bastone di legno fortissimo, che mi era rimasto tra mano nella caduta, e con quello mi scagliai sull'aggressore, che ora vedevo spalleggiato da uno o due altri, menando bòtte a ramata nel mucchio»3: dopo un momento di sgomento Soffici risponde e in un attimo è il putiferio. Medardo Rosso cerca inutilmente di separarli, i tavolini si rovesciano, vicini che scappano gridando, camerieri che cercano di ristabilire l'ordine. Alla fine arriva anche la polizia e, come racconta Carrà stesso, gli uni e gli altri furono portati al commissariato ma solo per un ammonimento con la promessa che tutto sarebbe finito lì.
Ci si può fidare di un artista? Per la mattina dopo i futuristi avevano deciso il ritorno a Milano, facile immaginare chi incontrarono alla stazione. Questa volta per i vociani ci sono anche Prezzolini, Slataper e qualche altro ancora. «Giunti a breve distanza ci lanciammo gli uni contro gli altri, alla rinfusa, rabbia indicibile. Il parapiglia generale assunse aspetti drammatici; la gente accorreva per cercare di fermare quella ridda di indemoniati» racconta Carrà. Poi di nuovo in commissariato4.
Perché raccontare con tanta attenzione di nient'altro che una rissa?
Perché a quei tempi nella letteratura si credeva, era un amore vero e incontrastato. La letteratura era ideologia, sinonimo di un modo di approcciarsi alla vita stessa. La letteratura era l'orgoglio, per cui si fa a botte per strada e si passa una notte in questura.

Serena Mauriello


1 Cfr. Stefano Lanuzza, Firenze degli scrittori del Novecento, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2001.
2 Ardengo Soffici, Arte libera e pittura futurista, «La Voce», 22 Luglio 1911, 25.
3 Ardengo Soffici, Autoritratto d'artista nel quadro del suo tempo, Vallecchi, Firenze 1951-55; poi col titolo Al caffè, in Caffè letterari, II, a cura di Enrico Falqui, Canesi editore, Roma 1962, p. 498.
4 Cfr. Mario Scaffidi Abbate, I glorosi Caffè storici d'Italia. Fra storia, politica, arte letteratura, patriottismo e libertà, Tropea, Meligrana, 2014. 

lunedì 30 marzo 2015

[La Settimana Politica in Versi] - Ballata Macabra

Ballata Macabra -  in realtà si tratterebbe di cronaca, ma è, secondo me, "politico" che si nascondano le cause reali del disastro della Lufthansa (150 morti). E invece si dà la colpa ad un pilota che, se era "troppo depresso", non avrebbe dovuto volare ... ma è sicuramente meglio pagare 150 indennizzi, che riconoscere un guasto tecnico, o un errore di manutenzione (molto più probabili del suicidio). Senza contare che, se il pilota fosse stato invece "normalmente depresso", era ovviamente in grado di lavorare, come tutti i "normalmente depressi" ... e così, invece, si sta dando un alibi a centinaia di milioni di persone per non fare più i macchinisti (deraglieranno), i camionisti (si scontreranno), i cuochi e i camerieri (avveleneranno la gente). Sia come sia, ho trasformato il fatto di cronaca in qualcosa di fantastico e di macabro, basandomi su un'idea "cazzeggiante": quella di portare via con me, nella morte, non tanta povera gente incolpevole, ma personaggi famosi e molesti.


Defunge Bruno Vespa e la plastica Bruzzone,
già c'era del sintetico in ogni trasmissione;
si salva, però a stento / Gad Lerner il sarcastico,
s'intesta Porta a Porta / e forse pure il plastico.

E via il gioco dei pacchi, col canone tivvù,
sfigati i vostri soldi, non li vogliamo più,
Giletti, la Moretti, Staffelli coi tapiri,
le Coop create ad arte per fare dei raggiri.

E' andato Fabio Fazio / la D'Urso e la Bignardi,
la Perego non so ... avanti vuoi portarti?
Defungono Brunetta, i due Letta e Berlusconi,
s'aggiunge pure Renzi / per rompergli i coglioni;

i blog di Lipparini, Luisa Betti e Nadia Somma,
qualcuno che l'ha letti scomodava la Madonna,
poi tocca a Carlo Cracco / e tutto Master Chef,
Ferrara (troppo il carico), Sallusti e Santanché,

Defunge anche la Clerici con tutti i tenorini,
defungono Salvini, Landini e la Boldrini,
che splendide persone, ma chi l'avrebbe detto?,
adesso che son morti si rilassa anche il mio retto.

E via la Serracchiani, qualcuno fa la hola,
rimane la Ravetto / per far da nave scuola,
scompare anche Bersani, Schettino fa da sé,
ritardo nel check in, resta qui Roberto Re.

Sarebbe bello scegliere e portare nella tomba
qualcuno che ti rompa e gli facesti la macumba:
politici lecchini, magistrati disonesti,
da sempre l'hai infamati con parole e pure gesti.

Se ripulire il mondo costerà tanta fatica,
schiantarli dura un attimo, su un monte o su una diga.
Li abbiamo ormai sposati, non esiste Sacra Rota,
mi sento un po' depresso, faccio un corso da pilota.

Gianfranco Domizi

sabato 28 marzo 2015

[Guest Post - Salotto Erotico Italiano ] - Raphael Siboni e “Il N’y a Pas de Rapport Sexuel”

Riproponiamo questa interessante intervista uscita sul sito web del "Salotto Erotico Italiano"

Il giovane artista del video, Raphael Siboni, potendo attingere da un archivio di oltre 2000 ore di filmati del re del porno francese Hervé-Pierre Gustave (in arte HPG), ha realizzato un interessante e particolarissimo documentario che mostra il mondo del Porno nella sua cruda realtà, nella sua essenza più profonda e vera.

L. Chi vuoi catturare con questo film?
R. Questo documentario è nato per portare il porno fatto sul web direttamente nei cinema, in modo che il pubblico inizi a pensare ad un oggetto reale, non a pura finzione. Anche se il porno rappresenta più del 30% del traffico globale di internet, vi è una forte ipocrisia. La maggior parte delle persone si rifiuta di prendere in considerazione la tematica come qualcosa che faccia riflettere anche la mente (e non solo il corpo!). Il porno non è qualcosa che appartiene solo all’industria-porno. Credo che cambiare il luogo in cui vengono proiettate le immagini significhi anche cambiare il nostro rapporto con loro. Naturalmente, il porno-internet è fatto per uso privato, sugli schermi dei computer di piccole dimensioni. Il mio progetto voleva gestire la cosa su larga scala, ampliando gli orizzonti. Rendere il porno un’esperienza collettiva. E penso che fargli raggiungere le sale cinematografiche sia un modo per ri-cominciare a considerarlo come un qualcosa che dobbiamo affrontare, sia individualmente che collettivamente, senza troppi freni inibitori oggi insensati.

L. Cosa hai voluto provocare nella mente degli spettatori?
R. Mentre lavoravo al film, il mio progetto era quello di mostrare il porno da un punto di vista del “making of”, dall’interno, utilizzando direttamente il dietro le quinte degli addetti ai lavori che sono a contatto con quel mondo quasi tutti i giorni. Non ho voluto indurre moralità nella mente del pubblico, ma far loro sperimentare il porno al di là dei luoghi comuni morali e sociali, in genere ad esso collegati. Ho cercato di schiacciare l’acceleratore sulla sua complessità, come rappresentazione della sessualità contemporanea.

L. Perché questa scelta di mostrare il lato umano del porno e la sua “insicurezza”?
R. Ho cercato di rivelare il lato umano del porno, e di fare un documentario su chi ci lavora più che sulla pornografia. Poiché porno è l’espressione estrema del cinema come arte del controllo, ho voluto rappresentare ciò che accade nel porno su un altro livello. Forse i ragazzi e le ragazze che ne fanno parte sono solo la rappresentazione di corpi banali, ma vi assicuro che non lo sono sul set. Sono esseri umani che hanno a che fare con molti strati di realtà e rappresentazione, a volte in modo molto violento.


L. Ho trovato meraviglioso il fatto di voler mostrare l’altra verità, quella di un certo tipo di porno, ma non è rischiosa questa operazione? La maggior parte della gente forse preferisce limitarsi all’atto, in sé poco o per nulla intellettuale e molto emotivo, fisico…
R. Questo documentario è molto singolare e non è per tutti, ma credo che la sessualità sia un luogo per sperimentare quella che viene chiamata alterità (il contrario di identità, cioè la differenza tra due entità, nda). Ho cercato di rappresentare la complessità, e di fornire al pubblico materiale per riflettere. Non è un film porno, ma un film sul porno. Sulla base delle reazioni del pubblico, sono ormai convinto che la maggior parte delle persone abbiano la capacità di comprendere il filmato in tutta la sua forza estrema, che è la materia prima del mio documentario.

L. Che opinione ti sei fatto della gente che l’ha visto al cinema?
R. Le reazioni della gente sono state molto diverse da un paese all’altro. Per esempio, in Danimarca il pubblico è stato davvero coinvolto, probabilmente a causa della loro storia nazionale con il porno. In altri paesi, le proiezioni hanno incontrato qualche difficoltà in più, e lo capisco perfettamente. Credo che questo documentario sia in qualche modo inquietante, essendo allo stesso tempo molto violento e divertente. In primo luogo, quando si rilevano i “trucchi” dell’industria del porno, la gente inizia a ridere. Ma poi, il documentario si fa più cupo ed entra nell’oscurità. La gente smette di ridere, e magari si chiedono perché han riso poco, prima. Penso che sia un’esperienza molto forte, e qualunque sia la reazione del pubblico, al termine della proiezione ci sono sempre state un sacco di domande. Alla fine, questo è quello che conta per me: fare un film che inneschi domande nella mente delle persone, e fornire loro un modo per esprimere i pensieri liberamente.


L. Quali sono i tuoi punti di riferimento nella regia, nella sceneggiatura e così via…?
R. Per questo progetto in particolare direi Herzog con Grizzly Man e, naturalmente Impaled, diretto da Larry Clark, come parte del progetto Destricted. Dal mondo dell’arte contemporanea, vorrei aggiungere certi video artpieces come Mike Kelley e Fresh Acconci, e, probabilmente, Central Region di Michael Snow.

L. Cosa ti suscita il corpo nudo di una donna e di un uomo?
R. Per me, un corpo nudo esprime sempre il mistero di se stessi. Questo profondo sentimento di essere di fronte a qualcun altro. Come ho detto, non è semplicemente un corpo, o il solo oggetto del desiderio, ma qualcuno che appare come pura alterità.


Intervista di LaLux Joie, 

[Un  grazie sincero al suo presidente, Paolo Bianchi!]

venerdì 27 marzo 2015

[NarrAzioni ] - Nasce "Graphic News", e il fumetto si incrocia col giornalismo


 Il giornalista del ventunesimo secolo è costretto a fare i conti con un mondo vario, relativo, continuamente soggetto a narrazioni e veloce come mai lo è stato nella storia. Gli strumenti che può usare per raccontare la realtà che lo circonda, però, si sono a dir poco moltiplicati. Ed è da questa varietà che spesso nascono le vie più affascinanti e creative di fare newsmaking.

Su una scia che sembra prendere le mosse da Zerocalcare e in una forma di divulgazione che pare simile a quella adottata dall’eroina in hijab Qahera, un gruppo di giornalisti e disegnatori con sede a Bologna lancia oggi un modo di fare giornalismo del tutto nuovo in Italia. Intraprende una via che è frutto di un anno di lavoro, riflessioni, prove. Lancia ai milioni di possibili lettori del web un punto di partenza per storie che, a partire dal legame che hanno con i loro autori, proveranno a raccontare cultura, news, economia, scienze e sport attraverso l’arte del fumetto. Nasce Graphic News.

Gli autori con cui si comincia sono sei, e ognuno di loro ha realizzato per il lancio del sito una storia che lo coinvolgesse e appassionasse: “Da loro abbiamo ricevuto idee  -  spiegano gli ideatori – a loro abbiamo proposto idee. Gli abbiamo chiesto di recarsi sui posti che avrebbero poi disegnato, di parlare con le persone, di studiare a fondo un argomento o un personaggio. In poche parole insieme a loro abbiamo creato il nucleo di quella che pensiamo sia a tutti gli effetti una redazione”. 

Il lancio della piccola “testata” avviene oggi, e comincia il suo tragitto con ben nove storie che attraversano temi delicati, spesso poco affrontati. Che si prestano al disegno proprio per la prudenza di cui necessitano nell’essere riportati.

La prima, prodotta dalla fumettista Francesca Zoni, si chiama “Povere Veneri” e raccoglie le parole delle prostitute delle strade di Bologna. La disegnatrice si è letteralmente “infiltrata” nel loro mondo per raccoglierne criticità e caratteristiche, ed ha restituito ai lettori una storia trattata con “estrema delicatezza: senza mostrare i loro volti ma usando il disegno per raccontare la loro condizione”.
“Gli ultimi manicomi”, di Emanuele Racca, si apre invece come una sorta di introduzione al tema degli ospedali psichiatrici giudiziari: luoghi che si pongono in una posizione per così dire “ibrida” (tra il manicomio e il carcere) e che il governo ha promesso di chiudere entro la fine di questo mese. Il disegnatore ne ha sviscerato l’evoluzione nel tempo, e attraverso il disegno ha provato a raccontare il modo in qui questi sono nati e cambiati gettando anche un  occhio sulla campagna “Stop Opg”.

Poi la narrazione culturale: con “Ercolano, USA”, la fumettista Cristina Portolano si è cimentata nella prima trasferta redazionale per raggiungere i piedi del Vesuvio, dove gli scavi di Ercolano, ben mantenuti da una fondazione statunitense, non lasciano trasparire i problemi che vivono gli abitanti della zona.
Dall’underground, poi, si passa alla narrazione della realtà che ci circonda in maniera più trasparente: a ritrarla è Giulia Sagramola, che con la storia “Giovani, carini e tartassati” ha messo in luce il complesso tema del fisco e delle partite Iva per i giovani di oggi, raccontando le verità dell’associazione dei freelance Acta.

Le altre storie che appartengono al lancio di Graphic News si articolano tra il racconto di fatti per così dire scientifici, come i disturbi legati al sonno (raccontati da Pietro Scarnera); storie di Ultras che mettono su squadre di terza categoria (di Brochendors Brothers), e esperimenti come quello di Marco Garofalo, in cui si prova a metter su quella che potrebbe essere un’intervista a fumetti montando frasi e poesie di Charles Bukowski, “da cui secondo noi emerge tutta la disperata vitalità dello scrittore americano”. 
Infine, la prima rubrica che punta all’internazionalizzazione del lavoro di questa ancor piccola redazione: “Gaza Start”, introdotta da Gianluca Costantini con l’obiettivo di riportare su Graphic News alcuni disegni che nascono dal progetto “Political Comics”.

Secondo i realizzatori del progetto, queste nove storie rappresentano le varie direzioni su cui si muoverà la testata a partire dalle prossime pubblicazioni: l’esperimento vuole unire in questa rinnovata modalità di fare storytelling non solo reportage, “ma anche opinioni, rubriche, infografiche, tutte realizzate a partire dal linguaggio del fumetto”.
Graphic News nasce dalle menti di Pequod, cooperativa di 4 ragazzi tutti provenienti dal mondo del fumetto, del giornalismo e della comunicazione, e dall’Associazione Miranda di Ravenna, che da anni rappresenta un importante punto di snodo per i disegnatori da tutto il mondo. L’occasione per i ragazzi di realizzare quello che oggi è il sito, però, nasce dalla vittoria del bando “Culturability- fare insieme” della cooperativa della Fondazione Unipolis, destinato agli under 35 che vogliano sviluppare un’impresa nel settore culturale e creativo.
“L’obiettivo – spiega il fumettista Pietro Scarnera a Redattore Sociale – era quello di creare fumetti che fossero adatti a essere letti su web, attarverso tablet e smartphone. E abbiamo scelto due formati di lettura, le slide e lo scroll”.

In molti parlano di come il mondo di fare informazione stia cambiando e di come i suoi mezzi, soprattutto grazie ai nuovi formati del web, si stiano completamente rinnovando. Il punto di forza di Graphic News, a mio avviso, è la possibilità che questo apre anche ai più giovani e “disattenti” di conoscere temi delicati come quello della prostituzione, del sociale e della politica internazionale. Ma anche, allo stesso tempo, l’universalità del target a cui può essere rivolto.

L’obiettivo dei creatori è quello di metter su nel tempo un vero e proprio gruppo redazionale. Si cercano autori e collaboratori, ma anche persone che abbiano storie interessanti da raccontare. L’auspicio è quello di riuscire ad aggiornare il sito almeno una volta a settimana, e intanto si parte con le prime nove storie, con la prima dimostrazione di come questo “dialetto ibrido” del fare giornalismo possa agire e interagire con l’astratta figura del lettore del web.



Giulia Capozzi
@Giulscapozzi


giovedì 26 marzo 2015

Cinquantacinque, l'età della rottamazione generale #3


Senza neanche accorgercene, siamo giunti al #3 di Cinquantacinque... E stavolta il tema dell'autoriflessione e della ricerca della consapevolezza attraversa tutte e 5 le poesie. Per questo la foto "autobiografata" dell'autore




11 Filastrocca Filosofica

In ogni ragionare c'è lo sbreco,
l'epiteto che falsa cose ed attimo.
Heidegger ne descrisse e forse l'Eco 
risuona nell'estetica di Vattimo.

12 Parmenide

Sostai senza ragioni, né permesso,
nell'inutilità d'un cielo terso.
Non domandai chi fosse quel me stesso ...
… mi persi nell'uguale e fui diverso.

13 Puntini di Sospensione

Puntini sospesi ...
non è che li piazzi
per falsi imbarazzi ...
sticazzi ... l'ho spesi …

14 L'Errore 

Nel fare poemi
sui mandorli in fiore,
commisi l'errore
di crederli scemi.  

15 Donna Felicità (Canzonetta Vintage)

Chissà se finalmente poi si seppe 
chi ne vangò le membra d'adiposa … 
… però, per odorare la sua rosa, 
che io ne sappia ne son morti sette.


Gianfranco Domizi
Fotografie di Marzia Schenetti

[Gianfranco , nato a Roma nel 1959, ed attualmente esule poco paziente nella città di Bologna (essere marxista nella città del PD offre motivi di sofferenza quotidiana), è il tipico dilettante: studente fallito di una prestigiosa scuola di cinema, mediocre compositore ed arrangiatore musicale, poeta largamente opinabile. Adora scrivere di se stesso in prima persona nelle poesie, ma ancor più in terza persona,            in queste futili autopresentazioni.

Marzia , scrittrice, pittrice, fotografa, cantante, muratore ed imbianchina della provincia di Reggio Emilia, è autrice de: “Il Gentiluomo, una storia di stalking” (romanzo-testimonianza, Il Ciliegio, 2011); Parole Desti-Nate” (raccolta di poesie, Il Ciliegio, 2012); “L'Edile (raccolta di poesie, autoprodotta, 2014); “Evil, l'uomo del male” (prequel de Il Gentiluomo”, Il Ciliegio, 2013); da quest'ultimo libro, abbiamo tratto insieme i recital di parole e canzoni:“Evil” (2014), e poi “E … una storia di stalking” (fine 2014). ]


martedì 24 marzo 2015

[Itinerari Letterari] - Le risse degli intellettuali #3: Dante e Petrarca, le guerre postume

Un passato incombente è quello alle origini della nostra letteratura. Dante,Petrarca, Boccaccio: la triade perfetta.
Fossi stata una scrittrice nel Quattrocento, non avrei avuto il coraggio di prendere la penna in mano (non che io l'abbia adesso, d'altronde). Per quanto concerne la poesia, il ruolo di Dante e Petrarca rimarrà saldo nei secoli, ma in un continuo muoversi a favore dell'uno e dell'altro, o in un fondersi e saldarsi nei versi dei più grandi poeti a seguire.


Petrarca e Dante si incontrarono una sola volta, ma tempi e modi non erano di certo maturi per un confronto. A dir la verità, non abbiamo neanche l'assoluta
certezza che l'incontro del millennio sia avvenuto realmente. È il 1311, ser Petracco – padre, appunto, di Petrarca – è a Pisa1. Partiamo dal presupposto che Dante era coetaneo di Petracco e non del poeta del Canzoniere, con lui condivideva il triste destino dell'esilio. Tra i due poeti passa una generazione, trentanove anni. Insomma, nell'anno del probabile incontro Petrarca di anni ne ha sette e di certo non può cimentarsi in un dibattito sui grandi topoi della letteratura. Tutt'al più Dante gli avrà scompigliato i capelli con la mano o forse dato un pizzicotto alla guancia come si fa con i bambini. Ecco, in quel momento Dante e Petrarca non sapevano che i loro destini sarebbero stati intrecciati per sempre generando una dualità infinita. Chissà se... Potremmo ipotizzare mille storie invecchiando l'uno o ringiovanendo l'altro. Lo scontro – e l'incontro – tra Dante e Petrarca vive nelle parole di chi li legge.
Il Novecento è un secolo complesso e variabile, per i lettori dei due poeti si apre nel più acerrimo dei modi. È il 1910, Giovanni Papini – ex garibaldino, repubblicano ateo e anticlericale – pubblica un libro dal titolo eloquente che dichiara la sua volontà polemica. È tempo di schermaglie, terreno di scontro è ancora una volta una rivista: «La Voce», fiorentina, spregiudicata nelle battaglie culturali e di costume, accanita oppositrice del conformismo borghese dell'inizio del secolo scorso. Alle stampe è Maschilità. Papini non ha remore, porta la distinzioni sul piano sessuale. Nell'introduzione chiede al lettore di prepararsi in una battaglia a due: è «il contrapposto iroso tra Maschio e Femmina, tra maschilità e femminilità, tra letteratura-vita virile e letteratura-vita femminile, tra pietra e miele, tra genio e ingegno, tra campagna e città, tra Dante e Petrarca»2. In un colpo solo è la distruzione antropologica di Petrarca – amato, emulato, imitato ai limiti del plagio da schiere di poeti e aspiranti tali – ridotto a ometto mellifluo. Ma Papini non si ferma qua, come abbiamo detto non ha remore ed è pronto allo scontro. Distrutto Petrarca, è tempo di distruggere anche i suoi successori. La stirpe dantesca, nella quale annovera autori da Sacchetti a Carducci, è macigno, potenza, virilità; la casata del Petrarca è una gran calca di poco valore. Manco a dirlo, Papini si proclama apertamente per la prima.
Un colpo gobbo parte da d'Annunzio e arriva a Petrarca nel 1925. La rock star della letteratura italiana accusa l'aretino di scolasticità e limitatezza nell'uso della lingua latina3. E pensare che Petrarca voleva passare alla storia per le sue opere in lingua classica e non quelle volgari.
Se l'inizio del secolo è questo, cosa ci si può aspettare dagli anni che seguono? Fatto è che Petrarca con il Novecento – il secolo delle guerre, della resistenza, dell'impegno politico – non sembra essere combinabile. Proprio lui, passato alla storia per essere stato dalla parte dei potenti, per esser vissuto con naso fisso sui libri nella pacatezza della sua camera da letto (visione stereotipata questa, e quindi da non prendere per storicamente vera). Dante è tutt'altro, e senza dubbio più attraente. E se i figli di Petrarca non sembrano essere sfrontati come quelli di Dante, bisogna pure dire che la loro è resistenza passiva. Petrarca nel Novecento esiste in un «percorso abbastanza carsico, più nelle piaghe dei testi che sulla loro superficie vistosa»4.

Serena Mauriello

1 Cfr. Ernest Hatch Wilkins, Vita del Petrarca [1961], traduzione di Remo Ceserani, a cura di Luca Carlo Rossi, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 7.
2 Giovanni Papini, Il miele e la pietra, in «La Voce», 11 agosto 1910, in Id., Maschilità, Firenze, Libreria della voce, 1915, p. 12.
3 Cfr. Gabriele d'Annunzio, Il secondo amante di Lucrezia Buti, in Id., Le faville del maglio, vol. II, Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere inimitabile [1928]; ora in Id., Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, a cura di Egidio Bianchetti, Mondadori, Milano, 1956, vol. II, pp. 192-193.
4 Paolo Zublena, “Lingue petrarchesche” nel percorso poetico italiano, in Un'altra storia, cit., p. 91.

lunedì 23 marzo 2015

[La settimana politica in versi ] - Vado al bar...

Vado al bar perché ve potete rubbà tutti i cazzo di Rolex, di vestiti ed i biglietti d'aereo che ve pare ... Io, come tanti altri, non ho risorse, non beneficio di favori e non ho neanche diritti. Eccetto uno: che quando Santoro e Porro, in contemporanea, vi ripropongono, sapendo poi che ve rinfacciate come i peperoni *, me ne vado a blaterare con gli ubriachi al bar. Almeno sono creativi, e soprattutto vivi...




Non è che mi sorprendano gli sciami
dei servi di partito lerci e ladri,
ma chi gli affida i suoi orizzonti grami
credendoli potenti e son mezzadri.

Per regolare i conti è forse tardi,
l'iperbole perciò dovrà bastarmi,
del resto con inutili bastardi
non sprecherei dei bossoli nell'armi.

Allegri come un film di Kiarostami,
brillanti come Donadoni e il Parma,
non è che consegnandogli una salma,
si facciano prodigi in beauty farm.

Ma tu che riproponi questi infami,
gli dai del tempo ancora da rubarmi.
Potete star sereni e pure calmi,
ricerco gente vera e vado al bar.

Gianfranco Domizi

* Slang romano: Siete indigesti, "tornate su".

sabato 21 marzo 2015

[Giornata internazionale della #Poesia] - Pensieri, auspici e qualche verso

Nel 1999, la XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco decideva di dedicare una giornata del proprio calendario a qualcosa che potesse ricordare un’ancora possibile rinascita delle “primavere umane”. Voleva unire in un unico elemento la complessa questione del dialogo tra i popoli, dell’incontro tra le diverse forme della creatività e delle sfide che comunicazione e cultura stanno affontando negli ultimi decenni, e così decise di attribuire – ancora una volta! – quest’ardua impresa all’arte delle parole: la poesia.
La giornata, neanche a dirlo, venne celebrata il successivo 21 marzo,  primo giorno di quella folle stagione che è la primavera.

Non siamo un blog particolarmente devoto alle giornate internazionali. Anzi, spesso affermiamo di ritenerle effettivamente "inesistenti". Ma per noi questa potrebbe rappresentare una data importante: facciamo quotidianamente nostra l’idea che attorno alla poesia si possano sviluppare nuove forme di rinascita culturale, e proviamo a rendere la sua delicata complessità melodia centrale dei numerosi discorsi che costruiamo attorno ai - e all’interno dei - versi che esprimiamo!
“Gli dèi devono ringraziare la poesia se si trovano in cielo”, diceva Charles Simic. E “tra le diverse forme di espressione – ha se così vogliamo dire ‘parafrasato’ il Presidente della Commissione Nazionale italiana per l’Unesco Giovanni Puglisi – ogni società umana guarda all’antichissimo statuto dell’arte poetica come ad un luogo fondante della memoria, base di tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica”.

Sull’onda di un’idea di poesia che possa in qualche modo riconnettere le persone tra loro - e magari qualche volta ricollegarle anche a se stesse - invitiamo oggi tutti i lettori a lavorare sulla fantasia. A leggere le poesie soffermandosi a lungo sulle loro parole, a prestare attenzione al linguaggio e a cercarne significati sempre nuovi e creativi.
Invitiamo i lettori a superare i propri limiti (ri)prendendosi quel piacere di leggere poesia anche al di fuori dei testi scolastici pallosi. Ma soprattutto, visto che ci siamo, invitiamo le persone a guardare la realtà che le circonda come se stessero leggendo una poesia.

Non voglio essere retorica o banale: quando la gente mi fa i sermoni mi annoio da morire. Ma al di là dei bei discorsi che si fanno ai lettori nei blog, ritengo con umile sicurezza che ci sia effettivamente bisogno di una rinascita. Una rinascita che parta innanzitutto dalla giusta interpretazione delle cose che ci circondano, e che confini nella volontà di rifiutare l’istinto dell’euristica per coltivare quella che i sapienti più antichi chiamavano “arte dell’ascolto”. Solo il dialogo porta alla conoscenza, e solo la conoscenza potrebbe portare chissà forse un giorno a una nuova, melodiosamente umaneggiante primavera...

...Dopo aver letto una poesia cento volte e compreso il significato che porta sotto l’ermetico vestito, dunque, provate a leggere altrettante volte il linguaggio delle persone e delle cose: è la conoscenza sensibile spesso a prendersi la libera interpretazione del mondo che ci circonda. E noi che nel mondo proviamo a scavarci affondo lo sappiamo bene.
Sperando di aver interpretato nel modo migliore il senso che potrebbe assumere una giornata internazionale della poesia se esistesse al di là del sottile immaginario istituzionale, vi lascio con alcuni versi nelle mani di qualcosa che esiste davvero: la pioggerellina di marzo... la primavera!

Giulia C. 
@Giulscapozzi

Pioggerellina di marzo
Di Angiolo Silvio Novaro

 

 

Che dice la pioggerellina di marzo,
che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gèmmule d’oro?


Passata è l’uggiosa invernata,
passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
di fuor dalla nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscira’ Primavera
guernita di gemme e di gale,
di lucido sole,
di fresche viole,
di primule rosse, di battiti d’ale,
di nidi,
di gridi,
di rondini ed anche
di stelle di mandorlo, bianche…


Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gèmmule d’oro?


Ciò canta, ciò dice:
e il cuor che l’ascolta è felice.
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto.



venerdì 20 marzo 2015

[Il punto su...] San Camillo di Roma: tra repartini e primari confessionali... che ne sarà della 194?

Lo scorso venerdì 13 marzo, le attiviste romane della rete per i diritti delle donne #Iodecido si sono riunite in protesta presso il reparto di Maternità e Ostetricia dell’Ospedale San Camillo di Roma, e dichiarandosi in forte stato di “rabbia e preoccupazione” hanno lanciato un duro appello al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. A loro si sono poi allineate altre numerose associazioni, come Laiga (Libera Associazione Ginecologi per l’applicazione della 194) e Vita di Donna Onlus, fondata dalla ginecologa e attivista Lisa Canitano. Quest’ultima, in una petizione lanciata su Change.org, ha chiesto esplicitamente a Zingaretti di “rispettare la laicità dello Stato” consentendo agli operatori pubblici di applicare liberamente le sue leggi. L’allarme che ha alimentato le proteste sembra infatti portare notizie piuttosto preoccupanti per lo stato della – già precaria – legge sull’aborto 194, ed è stato inaugurato poco più di una settimana fa da alcune ginecologhe che operano sul territorio romano e laziale: al San Camillo, hanno spiegato,  si stanno tenendo i colloqui che porteranno alla nomina del prossimo primario del reparto di Maternità, e nella lista dei sette candidati appaiono curricula di esponenti di policlinici universitari cattolici, come il Gemelli (Università Cattolica del Sacro Cuore) e il Campus Biomedico (ispirata al fondatore dell’Opus Dei S. Josémaria). L’effettiva nomina di uno di loro comporterebbe la presenza nella struttura di un primario non semplicemente obiettore di coscienza, ma confessionale, che viene dunque da un’università in cui ai futuri medici è richiesta la completa adesione alla morale cattolica e secondo cui l’aborto volontario è un omicidio, in quanto l’embrione è una vera e propria persona.


Il padiglione del San Camillo è il primo reparto in assoluto nel Lazio per numero di Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), e rappresenta il cuore del coordinamento per l’applicazione della legge 194 del 1978 (messa già abbastanza in crisi dal tasso di medici italiani obiettori di coscienza, che secondo l’Associazione “Laiga” raggiunge addirittura il 91%): dopo la chiusura dei reparti IVG di Monterotondo, Sora, Frosinone e Gaeta, infatti, gli unici Ospedali nella regione che permettono questa operazione oltre a quello in questione sono il Grassi,  il Sant’Eugenio e il San Filippo Neri. Un numero nettamente in discesa, proprio come l’effettiva libertà di scelta di una donna sul suo corpo e sulla sua maternità (o di una coppia sul suo futuro).

Ma c’è bisogno di fare ulteriore chiarezza. La maggior parte delle informazioni che circolano sulla questione, infatti, non ne mettono bene in luce un aspetto fondamentale: quello riguardante la separazione del reparto dedicato alle IVG da Ostetricia e Maternità.
Sono stati chiesti alla Regione – ma ancora non stanziati –  ben 3 milioni di euro per la ristrutturazione e lo spostamento del reparto dal padiglione ad un altro. E secondo voci che vanno via via confermandosi, questo implicherebbe la completa separazione del “repartino” IVG dal resto della struttura: “Mentre prima le donne erano ricoverate tutte insieme sia che dovessero levare l’utero sia che dovessero partorire – spiega Canitano – attualmente si pensa che le donne che devono essere ricoverate debbano stare in un reparto, e le gestanti in un altro. Il problema, però, è che mettere le interruzioni di gravidanza in un reparto completamente a sé va a provocare una serie di importanti problemi”.

Il primo riguarda l’aspetto  gestionale: Per il repartino, infatti, sarebbe prevista una U.O.D., e lavorerebbe dunque in completa autonomia rispetto ad Ostetricia e Maternità; in questo caso, il punto di riferimento per le IVG non sarebbe più il primario di ginecologia, ma il Dipartimento. E se una donna dovesse avere complicazioni durante un’operazione, un eventuale ricovero ne comporterebbe il difficile trasferimento da un reparto all’altro: “Questa tanto sbandierata separazione è una tragedia – continua la dottoressa – perché un reparto ospedaliero di ostetricia deve farsi carico anche degli aborti, mentre in questo caso se una donna si sente davvero male in un repartino di IVG la devi trasferire. Ed è difficile”.
Inoltre, una struttura del genere sarebbe aperta solo 12 ore al giorno, dalle 8 alle 20, “ma un repartino chiuso la notte trova molta più difficoltà nel praticare aborti terapeutici, e chiariamoci: un primario obiettore di coscienza, nella sua struttura, non li fa. In tutti gli ospedali del Lazio in cui vi sono primari confessionali gli aborti terapeutici non si fanno”.
Poi la terza questione, quella riguardante la stigmatizzazione dei medici non obiettori: “Se avvenisse questa separazione, i medici degli aborti resterebbero per tutta la vita medici per gli aborti, mentre ostetricia diverrebbe una ‘ostetricia unificata’. Si permetterebbe al primario religioso di avere un reparto limpido, che fa solo ‘il lavoro di dio’, e i medici che fanno la 194 non andrebbero neanche più in maternità”.

La nomina del prossimo primario si sarebbe dovuta tenere lo scorso 17 marzo, ma i colloqui, viste le numerose proteste, sono stati rimandati alla fine del mese.
E’ una questione ancora aperta dunque, che coinvolge una delle strutture più importanti della Regione (se non d’Italia) e il corpo di ogni donna che voglia mantenere viva la caparbietà di fare proprio – e non dello Stato – il diritto alla gestione del corpo e della maternità.
Ma il messaggio più significativo in questo caso deve raggiungere ancora una volta un uomo: Nicola Zingaretti. Quando ancora candidato a Presidente di Regione, infatti, aveva dedicato molte parole della sua campagna elettorale al tema della laicità e della sanità. Parole che hanno costruito linee guida, ma che poi non sono state rispettate: “Ha fatto le linee guida in cui stabilisce che nei consultori medici devono certificare l’obiezione di coscienza – ha spiegato Canitano ad Aborto Inchiesta – ma sugli ospedali in cui il servizio di 194 non è garantito Zingaretti non ha mai messo parola”.





Giulia Capozzi
@Giulscapozzi

martedì 17 marzo 2015

[Itinerari Letterari] - Le risse degli intellettuali #2: Gadda VS Moravia sul corpo di Manzoni


 Una piccola premessa è necessaria: se Gadda amava un autore, quell'autore era Manzoni. Con i Promessi Sposi aveva un legame particolare, gli ultimi giorni prima della sua morte chiese ai suoi più cari amici – Arbasino, Citati, Roscioni – di leggerne alcuni passi al suo capezzale. Manzoni era per Gadda qualcosa di più di una semplice passione letteraria, era un
modello interpretativo del mondo, la figura di Don Abbondio era a lui più cara di quei suoi amici, profondamente vicina a se stesso. «Se si ripercorrono le numerosissime volte che Manzoni viene citato nelle pagine gaddiane – nei saggi, nei diari, nelle narrazioni – si comprende a fondo la presenza costante nella cultura e nell'immaginario dell'Ingegnere»1, letto e riletto durante tutto il corso della vita, il tratto del mondo di un uomo che parla agli uomini è, per l'autore del Pasticciaccio, imperniato intorno a un pensiero caldamente sociale, un messaggio profondo e necessario. Si assiste a quella che Contini definì una «gaddizzazione di Manzoni»2. Detto questo, è ben facile comprendere come per Gadda una critica al Manzoni, superiore a ogni grande maestro della letteratura italiana, era colta con lo stesso risentimento di una critica a se stesso.  
Terminata la prima premessa, siamo pronti per farne un'altra. Gadda e Moravia hanno quattordici anni di differenza. Nonostante la differenza d'età, bisogna ricordarsi che il debutto del primo avvenne piuttosto tardivamente. Nel 1929 – dopo mille peripezie – Moravia debutta con Gli indifferenti con l'editore Alpes, passano due anni e il primo pubblica La Madonna dei filosofi sulla rivista fiorentina «Solaria». Letterariamente parlando, Gadda e Moravia hanno la stessa età. Ed entrambi descrivono Roma dopo aver letto Belli con una linea interpretativa di un realismo che non sia neorealismo.
Ultima postilla: è il 1952, Gadda scrive a Contini una lettera in cui parlando di Moravia afferma: «bisogna dire che il suo cervello è quello di un autentico deficiente: e che la spondilite e l'erdolue gli è arrivata all'ipòfisi, o pituita». Delicatissimo come sempre, Carlo Emilio. 
Arriviamo al dunque. Nel 1960, Moravia cura l'introduzione all'edizione dei Promessi Sposi di Einaudi per la collana «Millenni» con un saggio dal titolo Alessandro Manzoni o l'ipotesi di un realismo cattolico. Secondo Moravia, il romanzo manzoniano ha un impianto edificante accomunabile alla narrativa del realismo socialista poiché legato a un intento propagandistico e ideologico, «una tale letteratura, sia a ideologia religiosa che a ideologia comunista, è sempre conservatrice sul piano politico, sociale e culturale. La dimostrazione dell'impianto propagandistico di Manzoni è data prima di tutto dalla scelta, secondo Moravia per nulla neutrale, del XVII secolo come ambientazione storica del suo romanzo, perché il Seicento controriformista è il periodo in cui il cattolicesimo ha maggiormente permeato le istituzioni e la società italiana»3. Insomma, sembra che per Moravia ci sia ben poco da salvare. Il realismo di Manzoni è un realismo fittizio e mediato da un interesse, Manzoni è prono alle esigenze concettuali del cattolicesimo romano ottocentesco4.
Gadda rabbrividisce, sgrana gli occhi e prende la penna in mano. È un oltraggio inaudito. Così non si lascia scappare l'occasione quando comincia la sua – sporadica – collaborazione per «Il Giorno» e il 25 luglio dello stesso anno dell'edizione einaudiana esordisce con Manzoni diviso in tre dal bisturi di Moravia. Finemente, Gadda distrugge Moravia, lo deride con misura per il suo approccio razionalistico, quello di un giudice «sicuro della propria direzione, non altrettanto della validità delle prove addotte». Insomma, Moravia sa dove deve andare, ma non sa quel che dice. È accusato di antistoricismo. Per ultimo obietta: non è un romanzo decadente, è drammatico.
Moravia ne esce più a pezzi di quel Manzoni che aveva operato con tanta acribia, Gadda, dall'alto del suo ruolo nell'ambiente letterario italiano in quegli anni, più saldo che mai. Quella che si va a delineare, però, è una doppia linea di approccio al romanzo manzoniano che avrebbe diviso i suoi fruitori nei decenni a venire, fino ad oggi.

Serena Mauriello

1 Giorgio Patrizi, Gadda, Roma, Salerno Editrice, 2014, p. 76.
2 Gianfranco Contini, Quarant'anni di amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-88), Torino, Einaudi, 1989, p. 70.
3 Mauro Bersani, Gadda contro Moravia: la polemica sui Promessi Sposi, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, vol. III, p. 828.
4 Cfr. Giancarlo Alfano, Rughe, lame e tenebre nel cuore. Gadda legge Moravia (1945-1950), «The Edinburgh Journal of Gadda Studies» 7, 2011.

Tags

#Museumweek (1) 1800 (1) 2014 (1) 2016 (1) aborto (2) alda merini (3) ALEComics (1) alessandra racca (2) alessandria (1) alessandro da soller (2) alfonso gatto (1) Amsterdam (1) animali (1) anna frank (1) anni settanta (1) appuntamento con l'arte (2) archivi storici (1) Ariosto (1) arno minkkinen (1) arrigo boito (1) arte (27) arte di strada (1) articoli (10) AsSaggi (26) attualità (17) BCM15 (1) big data (1) Boccaccio (2) BookCity (1) Boucar Wade (2) brecht (1) bucarest (1) Burkina Faso (1) california (1) calligrafia (1) Calvino (1) Capuana (1) carla lonzi (1) chris morri (1) Cile (1) Cilento (1) cindy sherman (1) cinquantacinque (8) circo (1) colore (1) congo (1) Corbaccio (1) Corrado Govoni (1) Cortazar (1) cyberazzismo (1) d'annunzianesimo (1) dante corneli (1) data journalism (1) dialetti (2) dialetto in versi (1) diane arbus (1) Dino Buzzati (1) disegno (3) editoria (1) editoriale (2) elisa pocetta (1) eric pickersgill (1) eugenio montale (2) eventi (8) fede zeta art (2) Federico Garcia Lorca (1) festival (2) festival del fumetto (1) festival Internazionale (1) Festivaletteratura (1) fiore flex ranauro (3) flex (2) fotogiornalismo (2) Fotografia (26) francesca woodman (1) freak (1) fumetto (7) furto (1) gabriela mistral (1) Gabriele d'Annunzio (1) Gadda (1) Gesuino Curreli (1) gianfranco domizi (31) giornalismo (4) Giovanni Della Casa (1) giveaway (1) golan haji (1) graffiti (1) guillermo mordillo (1) hugh holland (1) il venerdì (33) incivil metrica d'amore (3) interviste (7) islam (1) Itinerari Culturali (3) Itinerari Letterari (8) Jacopo Naddeo (9) jacques prévert (1) kurt arrigo (1) la marcia scalza (1) LaLux Joie (1) lavoro minorile (1) Letteratura (19) liberia (1) maestra poesia (23) mafia (1) manifestazioni (1) Mantova (1) mare (1) marta cortese (1) martina capozzi (4) Marzia Schenetti (6) mcmafia (1) medioriente (1) migranti (2) milano (1) mostra del cinema di venezia (1) mostre (6) narrativa scelta (1) New York (1) NoExpo (2) nohatespeech (1) NoTriv (1) palermo (1) paolo bianchi (1) parlarte (1) Pasolini (1) peaceforparis (1) Pietro Bembo (1) pillole d'Africa (2) Pinocchio (1) playmen (1) pocci (1) poesia (31) poesia femminista (2) poesia nera (1) poesiarte (3) poesie contro la guerra (1) poesie nuove (1) poeti in pillole (5) poeticamente viaggian (1) politica (5) pop (1) porn to be free (1) pornografia (2) Pratt (1) primavera (2) Qahera (1) quasimodo (1) Quintessenza (1) racconto (2) raffaele pisani (2) recensioni (4) Reportage (2) restart roma (1) ringraziamenti (1) Ritratti (1) rivoluzione della rete (1) roma (2) rosalba cutrano (1) Saba (2) sailing (1) salone editoria sociale (1) salotto erotico italiano (1) Sandro Penna (1) sartoria utopia (1) satira (2) self-portrait (2) serena mauriello (4) Sergio Etere (1) settimana maestra (5) settimana politica (17) sharing economy (1) silvia grav (1) siria (2) skateboarding (1) social (1) speciale feste (7) speciale natale (9) stalking (1) steve mccurry (1) street art (3) teatro (2) Trilussa (2) Turchia (2) tutte (172) tutti (74) tutùm narrativa (10) Tutùm teatro (4) underwater photography (1) urban exploration (1) urbex (1) varese (1) verona (1) Viaggi estivi (3) viaggiare (2) vignette (7) writing (1) Yener Torun (1) Zanzotto (1)