Da Omero al Futurismo, le Muse tra poesia e religione come unica costante
della storia della conoscenza umana.
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Henri Matisse, Danza, 1909 |
Leggendo la
poesia di ogni tempo e ogni spazio, la costante è solo una: la Musa. Entità suprema ed eterea,
nell’antica Grecia era la divinità preposta all’arte. Insieme dio, parola, e
dio della parola[1],
la Musa è una divinità trina in grado di operare prepotentemente nella realtà
umana: svelandosi rivela, rivelando concede «il sacro potere di dar forma»[2].
Per quanto il lettore moderno possa associare ad essa solo una visione
puramente estetizzante, le sue origini sono ben altre: figlie di una
religiosità genuina, abitanti di una Natura, con la N maiuscola panica e incontaminata (e quindi sorelle delle Ninfe), le Muse sono state definite da
Otto come
l’essenza dell’antica religione e della visione del mondo greche.
l’essenza dell’antica religione e della visione del mondo greche.
Seppure vari nel
tempo, Esiodo ha fissato il numero delle Muse a nove dando loro un nome. Ognuna
di esse assumerà poi una specializzazione differente legata a un campo
artistico di riferimento: Calliope, Musa della poesia epica e lirica; Clio,
ispiratrice per opere storiche; Erato, dedita al canto corale e ai versi
amorosi; Euterpe, dea della musica; Melpomene, amante dei tragediografi;
Polimnia, dettatrice d’inni religiosi; Talia, dall’animo gaio, generatrice di
poesie rustiche e commedie; Tersicore, amante della danza; Urania, Musa dell’astronomia
e della geometria. Omero ricorda come le Muse siano nate sull’Olimpo, rimasto
poi la loro dimora. A riprova dell’importanza cultuale delle prime invocazioni
alla Muse vi sono tutte le antiche testimonianze che mettono l’accento sul loro
stretto legame con Zeus.
Le Muse, quindi,
come divina origine di tutta la
parola scritta, della poesia e della prosa, di ogni forma di conoscenza. Può l’Origine invecchiare? Può divenire arcaico?
Era l’11 maggio
1912 quando Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il Manifesto tecnico della letteratura Futurista accluso alla prima
antologia futurista pubblicata dalle Edizioni di «Poesia»[3]: un grido distruttivo nei confronti del passato, dei canoni ereditati, del
preesistente, all’insegna del nuovo. Marinetti non sa volgersi indietro, perché
l’unica direzione è verso il domani, è il futuro[4]. Atomico, Marinetti vuole liberare la parola da ogni metro, dalla
prigione classica: «io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi
ereditata da Omero». Le certezze di tutti i secoli passati si distruggono così,
in un solo elenco programmatico di idee. O forse ancora di più: tolte le
fondamenta, negata l’origine, tutto deperisce in una sola frase.
Eppure, qualcosa di quel
passato lontano Marinetti non è riuscito a rinnegarlo. Facciamo un altro
pindarico salto cronologico e arriviamo al 1991. È il 16 novembre, al Museo del
Genio di Roma Leonardo Clerici allestisce una mostra che a noi interessa anche
solo fermandoci al titolo: La MusaMetallica di F.T. Marinetti: visioni futuriste d’avanguardia. Aerei, macchine,strumenti del primo Novecento[5].
Come in un
sillogismo, in un attimo arriviamo alle nostre conclusioni. Marinetti arde,
brucia, incendia, ma qualcosa rimane ignifuga alle sue fiamme e riemerge dalle ceneri
del passato. Anche quando ogni certezza è dissolta, le Muse, eterna indissolubile variabile voce della conoscenza, rimangono
e la poesia con esse cambia volto
senza mai divenire silente.
Serena Mauriello
[1] Cfr. Walter Friederich Otto, Le Muse e l’origine divina della parola e
del canto, a cura di Susanna Mati, Roma, Fazi, 2005.
[2] Ivi,
p. I.
[3] Si tratta di una rivista fondata nel
1905 a Milano dallo stesso Marinetti con Sem Benelli e Vitaliano Ponti.
[4] Sabrina Carollo, I futuristi. La storia – Gli artisti – Le opere, Firenze, Giunti,
2004.
[5] Leonardo Clerici, Testo didascalico e critico per La Musa Metallica di F. T. Marinetti:
poetica e visioni dell’avanguardia, Roma, Editioni Anastatike, 1991.
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