mercoledì 22 aprile 2015

[Tutùm Teatro] - "Lucciole di Mago": Cotrone e Pirandello


COTRONE: «La contessa ha una voce che incanta...Io credo che, se volesse entrare un po’ nella villa, si sentirebbe subito riconfortata...»


Se dovessi scegliere di andare da qualche parte e in compagnia di qualcuno io troverei le coordinate tutte nell’incipit de I Giganti della Montagna: Villa, detta “La Scalogna” dove abita Cotrone coi suoi Scalognati.
Una volta arrivata alla Villa, passando per il ponticello, incontrerei Cotrone e lui, senza indugio, mi inviterebbe a restare.
Sederei a piedi scalzi nel prato e gli chiederei di mostrarmi le sue lucciole di mago, per sognare nel fresco della sera.
Non riesco a ricordare più il volto di Cotrone come lo conoscevo prima, quando per me era un personaggio uscito dalla carta e dalla mia stessa fantasia. Ora Cotrone, per me, ha il volto e la voce di Franco Graziosi , ma non ha perso il suo fascino; molte cose sono mutate nel mio immaginario dopo aver visto quella regia televisiva de “I Giganti” di Strehler. Penso spesso alla voce e ai piedini de La Sgricia di Giulia Lazzarini e la penso come si pensa una nonna o una vecchia amica.

I Giganti è per me la favola delle favole come era per Pirandello quella del figlio cambiato.
Incompleta e romantica, in un posto lontano chissà quanto, dove rifugiarsi se il mondo sprofonda. Quando il futuro è alla deriva Cotrone riunisce gli Scalognati in un paradiso di illusioni che son vere tanto quanto la realtà, dove il necessario è fabbricato dal sogno. Raccogliersi per salvarsi, come nel Decameron: Fuori impervia la peste? noi chiudiamoci in una villa a vivere di storie. Qualcosa di non troppo lontano da questo dice Cotrone e tenta di convincere la povera Contessa dilaniata dal dolore che non c’è motivo alcuno per ripartire, che la novella potrà essere raccontata lì: Nella magica villa. Partire o rimanere? Continuare a sguazzare nel dolore o trovare pace e ristoro? Secondo la testimonianza di Stefano Pirandello la compagnia teatrale avrebbe poi rappresentato la novella davanti ai servi dei giganti che incapaci di comprenderla, inferociti, avrebbero straziato il corpo della prima attrice in simbolo de «la tragedia della Poesia in questo brutale mondo moderno», come scrive lo stesso Pirandello in una lettera a Marta Abba. Ma chi può
dire quale porta si sarebbe spalancata grazie all’incontro delle due realtà? Secondo me Pirandello non l’ha mai scoperto, neanche nell’ultima notte di vita, il 10 dicembre 1936.
Siamo nella prima metà degli anni 90 e l’alta letteratura italiana è in crisi: non c’è più Carducci, Pascoli, Verga e altrettanto in crisi è il teatro borghese dell’epoca. E’ necessaria un ventata d’aria nuova ed è qui che Pirandello entra in scena, più come un orologiaio o un cuoco che come un letterato.
Nonostante non riuscisse agli alti letterati di includerlo nei loro ranghi, persino Gramsci si era accorto dell’impulso rivoluzionario di Pirandello. Egli fu mago, per se stesso e per gli altri: operò facendo incantesimi sulle trame mutandole di natura, mostrando un mondo poi spogliandolo e mostrandone un altro ancora.
Delitti, tormenti, bugie, segreti, tradimenti e passati fantasmi infestano ovunque e silenziosamente le trame delle sue opere. Il suo sapiente operato avviene attraverso la comprensione delle fonti, riprendere le trame del teatro borghese e poi manometterle. Pirandello cerca di capire come funzionano e poi le intriga e le incastra lasciando la maggior parte delle volte il lettore/spettatore con l’amaro in bocca: L’intreccio complicato che non va a finire.
I Giganti della montagna è il perfetto esempio dell’intrigata macchina pirandelliana,
così perfetto da non potersi sbrogliare ed io, con Cotrone, continuo a cullarmi in una magica illusione.

COTRONE: «Lucciole. Le mie. Di mago. Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orgli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile : vaporano i fantasmi. E’ cosa naturale. Avviene, ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore... tutto l’infinito ch’è negli uomini, lei lo troverà dentro e intorno a questa villa.»

Dafne Rubini

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