COTRONE:
«La contessa ha una voce che incanta...Io credo che, se volesse
entrare un po’ nella villa, si sentirebbe subito riconfortata...»
Se
dovessi scegliere di andare da qualche parte e in compagnia di
qualcuno io troverei le coordinate tutte nell’incipit de I
Giganti della Montagna:
Villa,
detta “La Scalogna” dove abita Cotrone coi suoi Scalognati.
Una
volta arrivata alla Villa, passando per il ponticello, incontrerei
Cotrone e lui, senza indugio, mi inviterebbe a restare.
Sederei
a piedi scalzi nel prato e gli chiederei di mostrarmi le sue lucciole
di mago, per sognare nel fresco della sera.
Non
riesco a ricordare più il volto di Cotrone come lo conoscevo prima,
quando per me era un personaggio uscito dalla carta e dalla mia
stessa fantasia. Ora Cotrone, per me, ha il volto e la voce di Franco
Graziosi , ma non ha perso il suo fascino; molte cose sono mutate nel
mio immaginario dopo aver visto quella regia televisiva de “I
Giganti” di Strehler. Penso spesso alla voce e ai piedini de La
Sgricia di Giulia Lazzarini e la penso come si pensa una nonna o una
vecchia amica.
I
Giganti è per me la favola delle favole come era per Pirandello
quella del figlio cambiato.
Incompleta
e romantica, in un posto lontano chissà quanto, dove rifugiarsi se
il mondo sprofonda. Quando il futuro è alla deriva Cotrone riunisce
gli Scalognati in un paradiso di illusioni che son vere tanto quanto
la realtà, dove il necessario è fabbricato dal sogno. Raccogliersi
per salvarsi, come nel Decameron: Fuori impervia la peste? noi
chiudiamoci in una villa a vivere di storie. Qualcosa di non troppo
lontano da questo dice Cotrone e tenta di convincere la povera
Contessa dilaniata dal dolore che non c’è motivo alcuno per
ripartire, che la novella potrà essere raccontata lì: Nella magica
villa. Partire o rimanere? Continuare a sguazzare nel dolore o
trovare pace e ristoro? Secondo la testimonianza di Stefano
Pirandello la compagnia teatrale avrebbe poi rappresentato la novella
davanti ai servi dei giganti che incapaci di comprenderla,
inferociti, avrebbero straziato il corpo della prima attrice in
simbolo de «la
tragedia della Poesia in questo brutale mondo moderno», come scrive
lo stesso Pirandello in una lettera a Marta Abba. Ma chi può
Siamo
nella prima metà degli anni 90 e l’alta letteratura italiana è in
crisi: non c’è più Carducci, Pascoli, Verga e altrettanto in
crisi è il teatro borghese dell’epoca. E’ necessaria un ventata
d’aria nuova ed è qui che Pirandello entra in scena, più come un
orologiaio o un cuoco che come un letterato.
Nonostante
non riuscisse agli alti letterati di includerlo nei loro ranghi,
persino Gramsci si era accorto dell’impulso rivoluzionario di
Pirandello. Egli fu mago, per se stesso e per gli altri: operò
facendo incantesimi sulle trame mutandole di natura, mostrando un
mondo poi spogliandolo e mostrandone un altro ancora.
Delitti,
tormenti, bugie, segreti, tradimenti e passati fantasmi infestano
ovunque e silenziosamente le trame delle sue opere. Il suo sapiente
operato avviene attraverso la comprensione delle fonti, riprendere le
trame del teatro borghese e poi manometterle. Pirandello cerca di
capire come funzionano e poi le intriga e le incastra lasciando la
maggior parte delle volte il lettore/spettatore con l’amaro in
bocca: L’intreccio complicato che non va a finire.
I
Giganti della montagna
è il perfetto esempio dell’intrigata macchina pirandelliana,
così
perfetto da non potersi sbrogliare ed io, con Cotrone, continuo a
cullarmi in una magica illusione.
COTRONE:
«Lucciole. Le mie. Di mago. Siamo qua come agli orli della vita,
Contessa. Gli orgli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile
: vaporano i fantasmi. E’ cosa naturale. Avviene, ciò che di
solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco
tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore... tutto
l’infinito ch’è negli uomini, lei lo troverà dentro e intorno a
questa villa.»
Dafne Rubini
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