José Ortega y Gasset nacque a Madrid nel 1883, nel bel mezzo di quella sensazionale svolta economica, sociale e urbanistica d’Europa che la storia è solita chiamare modernità. Nella sua crescita fu fortemente influenzato e affascinato dal clima giornalistico – la madre era proprietaria del giornale madrileno El Impartial e il padre ne era autore -, e questa influenza gli permise di sviluppare ben presto la convinzione del fatto che al politicamente disinteressato popolo spagnolo era assolutamente impossibile rivolgersi in gergo politichese. Così, soprattutto per mezzo di articoli, intraprese l’ardua missione di trasmettere il suo pensiero filosofico e politico con un linguaggio semplice e diretto.
Il grande merito di Ortega è quello di esser stato tra i primi pensatori a divulgare cultura e pensiero nella maniera colloquiale che necessitava l’allora nascente società di massa. Ma i suoi lavori, dalla maggior parte del clima intellettuale di quel tempo, furono rifiutati e sottovalutati: l’esprimere idee in articoli, conferenze e chiacchiere da bar era considerata dai più una forma non ortodossa di fare filosofia. Per i suoi più colti contemporanei, Ortega non era un vero filosofo.
Ogni giornalista dovrebbe dedicare un piccolo spazio della propria anima professionale a questo pensatore: la sua incompresa rivoluzione culturale e comunicativa è stata il punto di partenza di un modo di raccontare la realtà che si presume essere oggi una delle basi del giornalismo di qualità.
A vederla così, oltre agli umili scrittori della redazione di Tutùm, è anche l’autorevole quotidiano spagnolo El Paìs, che nel 1983 ha scelto di dare il via a un premio annuale per i migliori lavori giornalistici in lingua spagnola proprio a questo importante personaggio.
Il premio Ortega y Gasset ha l’obiettivo di far luce sulla difesa della libertà, dell’indipendenza e del rigore come virtù essenziali del giornalismo, riconoscendo tutti quei prodotti che nell’anno precedente si sono distinti per la qualità delle loro narrazioni.
Al premio possono ambire tutti i lavori scritti, digitali e grafici pubblicati in lingua spagnola all’interno di riviste e quotidiani di tutto il mondo. Ad ogni vincitore viene elargita la somma di 15,000 euro e un’opera dell’artista spagnolo Eduardo Chillida.
La 32esima edizione del premio si è svolta la scorsa settimana, e la sua giuria ha premiato quattro giornalisti e attivisti nell’ambito degli sprechi pubblici, del crimine organizzato, della diseguaglianza nell’immigrazione e della resistenza giornalistica in Venezuela. Quel che sono riusciti a fare i vincitori, secondo la giuria, è realizzare giornalismo di qualità nel mare magno della notizia postmoderna, immediata, ipermediata e fulminea che domina il panorama contemporaneo.
Nella categoria Periodismo impreso (su carta stampata),
il riconoscimento è stato assegnato a Pedro Simòn e Alberto di Lolli: motivo del merito, l’elaborato reportage “La Spagna degli sprechi”, pubblicato in El Mundo nell’ottobre dello scorso anno.
La Espana del Despilfarro consiste in una serie di storie che attraversano con grande ritmo narrativo tutti quei casi apparentemente trascurabili della grande storia dello spreco di risorse pubbliche spagnole. L’approccio che i due autori sono riusciti a sviluppare, secondo la giuria, è “del tutto nuovo”, e abbraccia “una tematica che è invece molto ricorrente”. Simòn e Lolli sono riusciti a entrare nel profondo di uno degli argomenti più trattati dal giornalismo spagnolo – e dunque, paradossalmente, tra i più difficili da affrontare -, lasciando emergere aspetti generalmente trascurabili, ma di vitale importanza agli occhi di un’analisi attenta.
Nella categoria Periodismo Digital, ad ottenere il premio è stato lo speciale Los nuevos narcotesoros, pubblicato su Univision Noticias ed elaborato da Gerardo Reyes. Il lavoro, grazie a un ampio repertorio di testimonianze dall’interno, ripercorre il modo in cui “A fuoco e sangue il crimine organizzato ha trasformato le miniere illegali al largo dell’America Latina in una fonte di entrata importante tanto quanto quella della droga”. Il valore giornalistico di questo lavoro sta non solo nella tematica trattata, ma nel modo in cui è stata trattata. Secondo la giuria, “alcune delle testimonianze sono travolgenti per la loro durezza e per aver illustrato l’uso generalizzato della violenza nei conflitti sociali del continente americano”. Il ritmo narrativo del reportage è emotivo, descrittivo e approfondito. Il concetto di giornalismo digitale, inoltre, è completato dall’ampio di uso di video-testimonianze che accompagnano tutta la storia.
La categoria Periodismo Gràfico è stata quella che ha fatto
più discutere.
Nell’epoca dell’immagine digitale e potenzialmente globale, scavalcare i confini della consuetudine è opera pressoché impossibile. Secondo i giudici del premio spagnolo, però, a riuscirci è stato José Palazòn, direttore della ONG per i diritti dell’infanzia Prodein, che ha fotografato i migranti intenti a scavalcare la ringhiera della valle di Melilla mentre alcune persone, di fronte a loro, giocano tranquillamente a golf.
“E’ una fotografia capace di spaccare la struttura abituale delle immagini che si conoscono oggi sulla tematica della migrazione – hanno spiegato i giudici – è dotata di grande senso giornalistico e riflette l’enorme distanza economica, sociale e di aspettative di vita che esiste nei due mondi, il primo e il terzo, tanto vicini geograficamente”.
Infine, per concludere, si è premiato il giornalista distintosi per la propria traiettoria professionale. Con l’unanimità dei giudici, ad aver ottenuto il riconoscimento è il venezuelano Teodoro Petkoff.
Fondatore e direttore della rivista “Tal Cual”, Petkoff è considerato uno dei più influenti politici della sinistra venezuelana. Tra la guerriglia e la lotta comunista (conclusasi negli anni ’90 con un cambio di rotta verso il neoliberalismo) , la sua carriera politica e giornalistica è stata considerata parte di una “coerente condotta di vita”. Una vita spesa inseguendo ideali e sempre al servizio del Paese, sostengono i giudici. Nel ritenere Petkof meritevolte dell’importante riconoscimento, sottolineano la “straordinaria evoluzione personale che lo ha portato, dai suoi inizi come guerrigliero, a trasformarsi nel simbolo della resistenza democratica attraverso le pagine del suo Giornale”.
Se volessimo leggere tra le righe del premio Ortega y Gasset, secondo me, potremmo affermare che i lavori giornalistici a cui assegna i suoi premi sono esempi non solo per il “lavoratore” della comunicazione, ma anche per il lettore. Quello che ci circonda è un mondo rapido, sempre in movimento, i cui input sono tempestivi tanto quanto le risposte che richiedono. Andare a fondo nel leggerlo è diventata una prerogativa essenziale, se si vuole ancora portare a termine la vocazione originaria del raccontare e interpretare la realtà. E forse, dare un po' d'attenzione in più al buon giornalismo può rappresentare uno dei primi passi nell'ardua impresa del cambiare il mondo.
Il grande merito di Ortega è quello di esser stato tra i primi pensatori a divulgare cultura e pensiero nella maniera colloquiale che necessitava l’allora nascente società di massa. Ma i suoi lavori, dalla maggior parte del clima intellettuale di quel tempo, furono rifiutati e sottovalutati: l’esprimere idee in articoli, conferenze e chiacchiere da bar era considerata dai più una forma non ortodossa di fare filosofia. Per i suoi più colti contemporanei, Ortega non era un vero filosofo.
Ogni giornalista dovrebbe dedicare un piccolo spazio della propria anima professionale a questo pensatore: la sua incompresa rivoluzione culturale e comunicativa è stata il punto di partenza di un modo di raccontare la realtà che si presume essere oggi una delle basi del giornalismo di qualità.
A vederla così, oltre agli umili scrittori della redazione di Tutùm, è anche l’autorevole quotidiano spagnolo El Paìs, che nel 1983 ha scelto di dare il via a un premio annuale per i migliori lavori giornalistici in lingua spagnola proprio a questo importante personaggio.
Il premio Ortega y Gasset ha l’obiettivo di far luce sulla difesa della libertà, dell’indipendenza e del rigore come virtù essenziali del giornalismo, riconoscendo tutti quei prodotti che nell’anno precedente si sono distinti per la qualità delle loro narrazioni.
Al premio possono ambire tutti i lavori scritti, digitali e grafici pubblicati in lingua spagnola all’interno di riviste e quotidiani di tutto il mondo. Ad ogni vincitore viene elargita la somma di 15,000 euro e un’opera dell’artista spagnolo Eduardo Chillida.
La 32esima edizione del premio si è svolta la scorsa settimana, e la sua giuria ha premiato quattro giornalisti e attivisti nell’ambito degli sprechi pubblici, del crimine organizzato, della diseguaglianza nell’immigrazione e della resistenza giornalistica in Venezuela. Quel che sono riusciti a fare i vincitori, secondo la giuria, è realizzare giornalismo di qualità nel mare magno della notizia postmoderna, immediata, ipermediata e fulminea che domina il panorama contemporaneo.
Nella categoria Periodismo impreso (su carta stampata),
il riconoscimento è stato assegnato a Pedro Simòn e Alberto di Lolli: motivo del merito, l’elaborato reportage “La Spagna degli sprechi”, pubblicato in El Mundo nell’ottobre dello scorso anno.
La Espana del Despilfarro consiste in una serie di storie che attraversano con grande ritmo narrativo tutti quei casi apparentemente trascurabili della grande storia dello spreco di risorse pubbliche spagnole. L’approccio che i due autori sono riusciti a sviluppare, secondo la giuria, è “del tutto nuovo”, e abbraccia “una tematica che è invece molto ricorrente”. Simòn e Lolli sono riusciti a entrare nel profondo di uno degli argomenti più trattati dal giornalismo spagnolo – e dunque, paradossalmente, tra i più difficili da affrontare -, lasciando emergere aspetti generalmente trascurabili, ma di vitale importanza agli occhi di un’analisi attenta.
Nella categoria Periodismo Digital, ad ottenere il premio è stato lo speciale Los nuevos narcotesoros, pubblicato su Univision Noticias ed elaborato da Gerardo Reyes. Il lavoro, grazie a un ampio repertorio di testimonianze dall’interno, ripercorre il modo in cui “A fuoco e sangue il crimine organizzato ha trasformato le miniere illegali al largo dell’America Latina in una fonte di entrata importante tanto quanto quella della droga”. Il valore giornalistico di questo lavoro sta non solo nella tematica trattata, ma nel modo in cui è stata trattata. Secondo la giuria, “alcune delle testimonianze sono travolgenti per la loro durezza e per aver illustrato l’uso generalizzato della violenza nei conflitti sociali del continente americano”. Il ritmo narrativo del reportage è emotivo, descrittivo e approfondito. Il concetto di giornalismo digitale, inoltre, è completato dall’ampio di uso di video-testimonianze che accompagnano tutta la storia.
La categoria Periodismo Gràfico è stata quella che ha fatto
più discutere.
Nell’epoca dell’immagine digitale e potenzialmente globale, scavalcare i confini della consuetudine è opera pressoché impossibile. Secondo i giudici del premio spagnolo, però, a riuscirci è stato José Palazòn, direttore della ONG per i diritti dell’infanzia Prodein, che ha fotografato i migranti intenti a scavalcare la ringhiera della valle di Melilla mentre alcune persone, di fronte a loro, giocano tranquillamente a golf.
“E’ una fotografia capace di spaccare la struttura abituale delle immagini che si conoscono oggi sulla tematica della migrazione – hanno spiegato i giudici – è dotata di grande senso giornalistico e riflette l’enorme distanza economica, sociale e di aspettative di vita che esiste nei due mondi, il primo e il terzo, tanto vicini geograficamente”.
Infine, per concludere, si è premiato il giornalista distintosi per la propria traiettoria professionale. Con l’unanimità dei giudici, ad aver ottenuto il riconoscimento è il venezuelano Teodoro Petkoff.
Fondatore e direttore della rivista “Tal Cual”, Petkoff è considerato uno dei più influenti politici della sinistra venezuelana. Tra la guerriglia e la lotta comunista (conclusasi negli anni ’90 con un cambio di rotta verso il neoliberalismo) , la sua carriera politica e giornalistica è stata considerata parte di una “coerente condotta di vita”. Una vita spesa inseguendo ideali e sempre al servizio del Paese, sostengono i giudici. Nel ritenere Petkof meritevolte dell’importante riconoscimento, sottolineano la “straordinaria evoluzione personale che lo ha portato, dai suoi inizi come guerrigliero, a trasformarsi nel simbolo della resistenza democratica attraverso le pagine del suo Giornale”.
Se volessimo leggere tra le righe del premio Ortega y Gasset, secondo me, potremmo affermare che i lavori giornalistici a cui assegna i suoi premi sono esempi non solo per il “lavoratore” della comunicazione, ma anche per il lettore. Quello che ci circonda è un mondo rapido, sempre in movimento, i cui input sono tempestivi tanto quanto le risposte che richiedono. Andare a fondo nel leggerlo è diventata una prerogativa essenziale, se si vuole ancora portare a termine la vocazione originaria del raccontare e interpretare la realtà. E forse, dare un po' d'attenzione in più al buon giornalismo può rappresentare uno dei primi passi nell'ardua impresa del cambiare il mondo.
Giulia Capozzi
@Giulscapozzi
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