giovedì 12 marzo 2015

[Le interviste] - Non esiste che non esiste! Ed è per questo che inpoesia esiste “Sartoria Utopia”

Quanto è importante la personalità di un’opera nel mondo in cui l’industria culturale è sempre più attenta ad esporsi su scala globale? 
Ma soprattutto, è possibile oggi trovare produttori che riescano a mantenere nelle loro creazioni la personalità degli artisti che rappresentano?
Secondo me – e non solo – la cultura slow è fatto più unico che raro, come un’Utopia. Ed è proprio sull’onda di questo concetto che hanno deciso di mettersi in gioco Manuela Dago e Francesca Genti, poetesse e artiste che nel gennaio del 2012 hanno deciso di dare vita alla “capanna editrice” Sartoria Utopia.
Sartoria Utopia è qualcosa di colorato e vivace. Un gioco che tra stoffe, pennarelli e poesia mette al mondo piccole opere d’arte rivoluzionarie e in completa controtendenza rispetto al panorama culturale che le circonda.
I suoi libri-oggetto sono frutto di un iter produttivo attento al minimo dettaglio, ed hanno l’obiettivo di rappresentare al meglio i testi degli autori che rappresentano. A partire dalle immagini fino ai materiali, Francesca e Manuela sono riuscite a dar vita a un patchworch artistico che racchiude in sé i più interessanti autori della scena poetica contemporanea italiana.
Così, anche questa volta, spinta dalla curiosità ho deciso di contattarle per farmi spiegare meglio i dettagli di questa utopica avventura...

La cosa più curiosa di un’opera d’arte, a mio avviso, è l’artista che le sta dietro. Per questo la prima domanda che vi pongo è: chi sono le due ragazze che stanno dietro a Sartoria Utopia? Cosa fanno nella vita e in che modo sono giunte all’ispirazione che le ha portate fin qui?
Noi siamo due poetesse, ma soprattutto amiche: ci siamo conosciute in giro per la scena poetica milanese e abbiamo subito stretto una forte amicizia. È proprio da questo rapporto che nel 2012 è nata l’esigenza di dare vita a qualcosa in cui potessimo mettere in gioco non solo la nostra poesia, ma anche la manualità che ci appartiene. Ci piaceva l’idea di poter iniziare partendo proprio da noi stesse, per arrivare poi un giorno a lavorare anche con altri autori.



L’espressione che più spesso usiamo per definirci è proprio quella di “sarte utopiche”: sarte perché fisicamente lavoriamo come delle sartine; utopiche perché il nostro lavoro è pura utopia: guardando al panorama editoriale che ci circonda, troppo spesso piatto, a pagamento per gli autori e poco fantasioso dal punto di vista creativo, inseguiamo continuamente un’idea di editoria che possa esprimere la personalità degli artisti che rappresenta, provando ad espanderci in un mondo che sembra andare sempre di più in un’altra direzione.

Quello che mi piace della vostra “capanna editrice” è il fatto che si identifica perfettamente con il concetto di slow culture: il prodotto è unico, lavorato a mano, curato nel minimo dettaglio e soprattutto in “simbiosi” (soprattutto cromatica, precisate voi) con i testi che contiene. Qual è l’iter produttivo che seguite ogni volta che create una nuova raccolta? Da dove partite e in che modo arrivate al prodotto finale?
Il primo passo è l’attività di ricerca. A volte sono i poeti stessi a mandarci le loro raccolte, ma molto più spesso siamo noi a fare dello “scouting” nel mondo poetico e a commissionare i lavori agli artisti che ci piacciono di più. Un esempio può essere Marco Simonelli, autore di “Poesie d’Amore Splatter”, che abbiamo contattato personalmente e a cui abbiamo chiesto la creazione di questa raccolta.
Il manoscritto passa prima per le mani della nostra collaboratrice Anna Castellari, che si occupa di impaginarlo,  quindi inviato alla tipografa che lo stampa. Infine si giunge al processo di produzione creativa. Ogni libro è un’avventura, un ciclo nuovo e unico che non si sa mai dove porterà. Nel momento in cui abbiamo i testi in mano iniziamo a pensare al mondo in cui realizzare la copertina, quali materiali utilizzare e se serigrafarla a mano – tecnica che ultimamente stiamo adoperando più spesso - o realizzarla con colori acrilici e pennarelli. Non c’è un iter schematico, seguiamo spontaneamente il nostro estro creativo!

Qual è il luogo in cui prendono vita le vostre creazioni, quali sono i tempi di produzione e quante tirature riuscite a fare per ogni raccolta?
Il nostro laboratorio è la casa, e il fatto di dover realizzare tutto a mano non ci permettere di poter produrre una quantità molto elevata di titoli l’anno. Non essendo appunto industriali, i nostri tempi sono molto più dilatati: le tirature ammontano a circa 100 libri a raccolta e considerando che per la creazione di ogni libro si impiega circa un’ora, ci vogliono delle settimane per avere un numero
considerevole di copie in mano!
Inizialmente i nostri libri erano fatti unicamente a mo’ di quaderno, e quindi relativamente più veloci da assemblare. Più tardi poi, con la collana Samurai, abbiamo scoperto copertina rigida e serigrafia e ci si è letteralmente aperto un mondo: qui la lavorazione è più lunga, ogni libro è trapanato a mano buco per buco ed incollato e cucito in via del tutto manuale. Il lavoro è dunque più lungo e di conseguenza aumentano anche i costi, ma possiamo assicurare che la soddisfazione è maggiore sia per noi che per chi acquista i libri! I contenuti delle nostre opere sono ovviamente molto pregevoli, ma il piacere della fruizione passa anche per la materialità...

Come accennavamo sopra, una delle peculiarità dei vostri libri sta nel colore della copertina, che mira ad identificarsi con i testi che contiene. Mi spiegate in che modo scegliete il colore partendo dal testo? Potreste farmi un esempio?
Un esempio piuttosto semplice potrebbe essere quello de “L’arancione mi ha salvato dalla malinconia” di Francesca Genti, la cui copertina, ovviamente, ha degli elementi arancioni! Per quanto invece riguarda altri lavori, per la raccolta “La Signorina di


Cro-Magnon” abbiamo deciso di usare un fondo grigio che rappresenta la pietra, la “preistoricità” della caverna, e le due varianti in blu e rosso: rosso come il sangue, blu come l’infinito. Ovviamente i colori, oltre ad essere evocativi rispetto al testo, devono anche stare bene assieme, ci sono delle regole cromatiche da seguire!

Sartoria Utopia, nel suo essere appunto slow, potrebbe rappresentare un’antitesi – a mio avviso necessaria – dell’egemone e depersonificata industria culturale che ci circonda. Quanto è importante per una casa editrice, oggi, tornare all’individualità dell’autore e del suo produttore?
Il tempo di produzione si sta accorciando sempre di più: sia nell’editoria che in molti altri campi, tutto deve essere fatto sempre più velocemente e il formato deve essere sempre più fruibile da chiunque. Da un lato, ovviamente, questo va bene. Dall’altro però tende ad impoverire il prodotto e nel caso dell’editoria l’opera e la sua personalità.
Una cosa a cui noi teniamo moltissimo, poi, è il rapporto economico con il poeta: ci sembra assurdo che un artista oggi debba dare soldi alla casa editrice per vedere una propria opera pubblicata, e visto che al momento non siamo in grado di pagare i nostri autori, gli cediamo gratuitamente il 10% delle opere prodotte, che si occuperà lui stesso di regalare, vendere e promuovere nella maniera che ritiene più opportuna.

Però ho notato che sul vostro sito web sono pubblicizzati anche i cosiddetti “Servizi Utopici”... mi spiegate meglio?
“Servizi Utopici” è un servizio di legatoria esterno alla casa editrice. È proprio qui che ci svestiamo della veste di editrici per entrare in quella più propriamente detta di artigiane. Su commissione del cliente, ci occupiamo di realizzare libri, cofanetti, scatole, quaderni, diari, menù, cataloghi, fanzine,


collage e tutto ciò che la mente umana possa concepire! Queste realizzazioni, ovviamente, non saranno poi pubblicizzate nel catalogo o vendute sul sito né in altre occasioni. I diritti rimangono degli acquirenti ed essi possono fare degli esemplari venduti tutto ciò che vogliono: venderli, regalarli, anche usarli come ferma-porte...

A proposito di diffusione: in che modo presentate le vostre opere al di là dell’on-line?
Le nostre presentazioni avvengono in giro per tutta Italia, e molti dei nostri “tour” li facciamo proprio assieme agli autori in eventi che prendono la forma di vere proprie feste. Fare un libro, dunque, significa anche e soprattutto incontrare la gente, stare con i poeti, gioire di fronte all’entusiasmo dei lettori: in molti si chiedono “ma come fanno queste due a realizzare cose del genere?”. Quando hai il libro il mano ti rendi conto della complessità del lavoro che c’è dietro! 

Quanto è difficile per due ragazze essere competitive nell’ambito dell’editoria ai giorni d’oggi? Ma soprattutto: passione a parte, c’è guadagno in questo campo?
A noi in questi anni sta andando molto bene l’attività. Quest’anno ci siamo anche iscritte al Salone del Libro di Torino e il nostro obiettivo è quello di espanderci sempre di più...
Certo, bisogna faticare molto per restare sull’onda, è indispensabile lavorare continuamente. Poi ci sono altri importanti aspetti da seguire oltre a quello pratico, come la comunicazione e la diffusione dei prodotti, e il lavoro in questo senso aumenta man mano che va avanti la nostra avventura! Per adesso continuiamo a farlo noi, ma chissà, forse un giorno avremmo bisogno di qualcuno che ci aiuti.
Comunque, nonostante la fatica, dobbiamo ammettere che in questi tre anni abbiamo avuto molti riconoscimenti e molte gratificazioni. È anche per questo motivo che stiamo continuando e che i progetti in campo sono molti.

E allora posso chiedervi qualche anticipazione...
Senza entrare nel dettaglio, possiamo dire che inizieremo una nuova collana di libri per bambini. Oltre ad essere editrici siamo anche mamme di due piccoli di rispettivamente 7 mesi e un anno e mezzo, e l’editoria per l’infanzia è un settore che ci piace moltissimo!

Chiudiamo questa chiacchierata facendo un passo indietro: torniamo al nome. Perché “Sartoria Utopia”? ma soprattutto: parafrasatemi e narratemi il vostro slogan “non esiste che non esiste”...
Il nome “Sartoria Utopia” è nato da Francesca e dal suo compagno: un giorno, chiacchierando in casa, hanno pensato di ispirare il nome di questo progetto a una poesia di Piera Oppezzo che contiene l’espressione “ferma utopia”. Utopia andava bene, ma “ferma” non molto, non ci rappresentava: noi siamo due sbiruline sempre in movimento! Allora si è deciso di provare con dei giochi di rima e a un certo punto è uscito fuori “Sartoria Utopia”, che ci è sembrato perfetto sia per il senso che per il suono.
Non esiste che non esiste”, invece, è legatissimo a “Sartoria Utopia”: non esiste che non esiste che si può fare una cosa, non deve esistere il concetto di non esistere! Le cose si devono fare... e infatti a questa utopia, noi, la stiamo portando avanti quotidianamente....





Intervista a cura di Giulia Capozzi
@Giulscapozzi


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