mercoledì 31 dicembre 2014

Il Capodanno dello Scrittore: Stasera decide Ammaniti, di S. Mauriello


Se non sapete cosa fare stasera ve lo dice Niccolò Ammaniti.
Era il febbraio del 1996, prima del grande successo di Ti prendo e ti porto via, quando è andata alle stampe Fango, una raccolta di otto racconti acuminati come la penna del loro autore. Il primo della serie è quello che può darci consiglio – consiglio che, forse, dovrebbe rimanere inascoltato – per il veglione che ci aspetta stasera. L'ultimo capodanno dell'umanità è la cronaca allucinante di una notte allucinata in cui piccoli quadri di una civiltà sbandata si incrociano senza mai incontrarsi. Nel Comprensorio residenziale delle Isole, al dodicesimo chilometro della Cassia, in quella che dovrebbe essere «un'oasi di esclusiva calma e serenità», in personaggi di Ammaniti si animano tramite programmi fin troppo belli per essere giusti. Minuto per minuto, l'ultimo capodanno per una delle zone più lussuose di Roma: è la festa di una morte collettiva che nell'unità del tempo e dello spazio si frammenta in mille scenari, nelle mille sfaccettature della vita reale.
Grottesco, violento, pulp, crudo, non è la lettura per chi ha voglia di rilassarsi comodamente ficcando il naso tra le pagine di un libro. C'è l'avvocato feticista e fedifrago con la dominatrice ingaggiata per iniziare il nuovo anno nel pieno della sottomissione; ci sono i due adolescenti un po' sfigati che celebrano il veglione a suon di marijuana e vernici; c'è la famigliola felice (ma non troppo); c'è la moglie che scopre di esser tradita; c'è la borghesotta ninfomane talmente eccitata da dimenticarsi il resto del mondo; c'è l'aspirante suicida a cibarsi di medicinali in pillole. Ci sono le disperazioni di un'(in-)umanità metropolitana malata e infelice.
È un martedì, martedì trentuno dicembre di un anno degli anni Novanta non altrimenti specificato, la voce del Presidente della Repubblica profondamente inascoltata risuona dalle televisioni di mille case in un'unica nenia. Poi inizia la corsa, di casa in casa, a fiato sospeso per 137 pagine, fino a quel botto, l'ultimo. E solo chi non vuole più vivere alla fine si salva.
Direzione: via Cassi 1043.

«E ora come faccio?!» si disse disperato Enzo di Girolamo mezz'ora dopo essere entrato in gabinetto.
Era ancora seduto su quel cesso in cui si era cagato pure l'anima.
Era al buio. Se ne era andata via la luce.
Senza una ragione.
Ma non era questo il problema.
Il problema era che in quel cazzo di gabinetto mancava la carta igienica. E siccome quella stronza di Giulia aveva letto su ''Gente Casa'' che in Inghilterra nelle case chic il gabinetto è diviso dal resto del fottuto bagno, in quello sgabuzzino del cazzo non c'era il fottuto bidet, il fottuto lavandino dove pulirsi il culo. […]
«Giulia! Giulia!» urlò piano.
Aspettò. Niente. Non aveva sentito.
«Giuliaaa! Giuliaaa!» urlò più forte.
Ancora niente.
«Giuliaaaaa! Giuliaaaaa!» urlò a squarciagola.
[…] «Enzo mi dispiace moltissimo. Ho dimenticato di comprare la carta igienica. Non ce n'è più...»
«E io come cazzo faccio?» frignò lui.
«Non ti preoccupare. Ti ho portato una risma di carta. Dei fogli A4. È l'unica cosa che avevo in casa. Forse saranno un po' duri...»
[…] «Ma che cazzo... Non ci posso credere!» ansimò con le mani davanti la bocca.
Giulia gli aveva dato la sua relazione per l'IRI e lui ci si era pulito il culo.


Serena Mauriello

martedì 30 dicembre 2014

Ospiti: i Dis/amori di Amedeo di Sora


"Non ci si può sottrarre alla persecuzione dell’amore, neanche quando è disamore, così come non si può sfuggire alla condanna dell’inarrestabile durata, neanche quando è la poesia il veicolo del "ritorno" di "canzoni" e "disamori".
Solo antidoto al rischio del naufragio (della coscienza di essere, della razionalità che aborre gli insanabili contrasti) è la filosofia (qui propriamente filosofia poetica) del dandy. Ed allora le poesie del disamore sono anche e contemporaneamente e soprattutto poesie del disincanto."
(Di Alfonso Cardamone, dalla prefazione alla raccolta Dis/amori


Sui cigli dell’abisso
fra le tue gambe aperte
trapassa lenta l’ora
e sempre mi delude
(ma non è tua la colpa)
la morte che mi sfiora
inutilmente
con le tue labbra rosse.
(Dalla raccolta “Dis/amori”, 1992)
Amedeo Di Sora
[E' docente di Italiano e Latino nei licei. Poeta e scrittore, è autore di numerose pubblicazioni di carattere storico-critico e creativo.
Autore, regista, attore e vocalista, è direttore artistico della Compagnia Teatro dell'Appeso da lui fondata nel 1980, con la quale ha partecipato a vari festival e rassegne teatrali di carattere nazionale ed internazionale, organizzando, altresì, importanti manifestazioni culturali e spettacolari. La sua opera artistico-letteraria è stata oggetto di tesi di laurea presso la facoltà di Lettere dell'Università “La Sapienza” di Roma.]

venerdì 26 dicembre 2014

Il Natale dei poeti, gli Inediti: "Aspettando il compagno Babbo Natale", "Canzone di Natale"

Aspettando il compagno Babbo Natale 
"La notizia dell'anno è quella dei traffici fra coop e malviventi. Ma chi segue, come me, da 40 anni la storia della Sinistra, e ne fa parte, seppure in posizione 'eretica', sa bene che la notizia è più antica e più profonda: le grandi cooperative sono intrinsecamente luoghi di favoritismi e di voto di scambio, nonché agenti per la progressiva rovina degli operatori economici più deboli. Ma di questo non si parla, se ne parlerà? 
Intanto, Babbo Natale ha ampiamente scavalcato a Sinistra il PD ed i suoi reggicoda. 
Con questa poesia un po' cialtrona, ed anche volutamente qualunquistica (una 'pasquinata') mi congedo da questo splendido anno di Tutùm, augurandoci a tutti un anno ancora migliore. E a tutti, un augurio sincero di rivoluzione, con il nostro leader attualmente più credibile: Babbo Natale".



Le velleità dell'uomo di Sinistra
di trasformare quello che non vale,
cantava Giorgio Gaber d'emozione ...
"Chi era contro era comunista!".

Però qualcuno aveva la gran fissa
di trafficare in tutto lo stivale:
le coop, Biennelle, Buzzi-cone,
compagni in malaffare, tutti in pista!

Adesso per paura della gogna,
alzate anche la voce e ve viè male:
l'integrità, la moralizzazione?
Grattatevi per bene questa rogna!

Di rosso v'è rimasta la vergogna,
credibile è di più Babbo Natale.
Se un giorno ci sarà rivoluzione,
vi troverà nascosti in una fogna.
Gianfranco Domizi



Canzone di Natale
In procinto delle feste, mi sono accorta che a casa mia non c'è nemmeno una pallina di Natale, che non ho fatto shopping natalizio, che non mi va di farlo. Mi sono accorta che in fondo non ho veramente pensato ai regali né alla cena né alla briscola: ho pensato solo a quando ero piccola. Ed è su queste note che vi regalo la mia poesia di Natale...


Quando viene dicembre, ingrigito il sole
langue.
Le strade sembrano specchiere stanche,
a illuminarle
qualche elettrico riverbero brillante.

S’è freddato il vento mite delle annate
che ci videro più giovani ed illuse,
è il dicembre delle cose dipartite
sul tuo volto si son schiuse piaghe e rughe.

E dentro a quelle rughe e piaghe
giuro
io vorrei passarci pomeriggi interi.
Per sapere come fare e trattenerti,
per scaldare inverni vivi e veri.

Ma è già tardi
e così, tu m’abbandoni senza cibo
né catene
sotto al lampo d’una luce stropicciata.
In balìa di giorni morti e dissepolti
io ti voglio e non ti voglio
e se ti voglio
non lo so.
JungleGiuls

giovedì 25 dicembre 2014

Le feste dei Poeti: "Natale", di Salvatore Quasimodo

Natale
Quel Natale scisso tra la pace scolpita nella finzione, nel silenzio del legno e l'inquietudine umana.



Natale. Guardo il presepe scolpito,

dove sono i pastori appena giunti

alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti

salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio

delle figure di legno: ecco i vecchi

del villaggio e la stella che risplende,

e l'asinello di colore azzurro.

Pace nel cuore di Cristo in eterno;

ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli

il fratello si scaglia sul fratello.

Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino

che morirà poi in croce fra due ladri?


Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901, dopo il terremoto del 1908 si trasferisce a Messina, sono i vagoni ferroviari la sua dimora temporanea. Durante la sua formazione scolastica inizia il sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira che durerà tutta la vita. Dopo il diploma, il poeta si trasferisce a Roma mantenendo uno stretto legame con la città natale. Dal 1926 lavora come geometra affrontando un momento difficile per la sua passione letteraria sentendosi sempre più lontano dalla poesia. Il riavvicinamento all'ambiente messinese lo porta tuttavia a rinvigorire la sua creatività di poeta e nasce il primo nucleo di Acque e Terre. A Firenze dal 1929, entra in contatto con la rivista «Solaria» grazie al cognato Elio Vittorini che lo introduce anche a Eugenio Montale, Anna Bonsanti, Arturo Loira e Gianna Manzini. Nel 1924 si trasferisce a Milano integrandosi perfettamente nella società letteraria. Quattordici anni dopo lascia il suo lavoro preso il Genio Civili e inizia l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che in seguito lo aiuterà ad entrare nella redazione del settimanale «Il Tempo». Nel 1941 gli viene concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica Giuseppe Verdi di Milano e all'insegnamento sarà legato fino alla morte. Durante la guerra continua a scrivere versi e a dedicarsi alle traduzioni. Il 10 dicembre 1959 riceve a Stoccolma il premio Nobel per la Letteratura. Nel 1967 l'Università di Oxford gli conferisce la laurea honoris causa, un anno dopo, colpito da un hictus, muore ad Amalfi.

A cura di Serena Mauriello


mercoledì 24 dicembre 2014

Le feste dei Poeti: "Natale", di Giuseppe Ungaretti


Natale

Licenza a Napoli durante le feste del 1916. Lontano dai paesaggi bellici, dalla città, Ungaretti sente il bisogno di chiudersi nel proprio mondo, nel calore del proprio focolare.


Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade



Ho tanta

stanchezza

sulle spalle



Lasciatemi
così

come
una
cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata



Qui

non si sente

altro

che il caldo buono



Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare


Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto nel 1888 da genitori lucchesi emigrati a causa del padre Antonio, sterratore al canale di Suez. La sua prima formazione scolastico lo porta ben presto a contatto con la letteratura francese, frequenta l' École Suisse Jacot e si forma sui classici frances Nel tempo libero frequenta anche la "Baracca rossa", un ritrovo internazionale di anarchici che ha come fervente organizzatore Enrico Pea, versiliese.
Amico di Enrico Pea e i fratelli Thuile, ma anche a contatto con il gruppo di «Grammata, nel 1912 emigra a Parigi dove comincia i suoi studi alla Sorbona. Nella capitale francese si lega in particolar modo ai futuristi italiani, i suoi primi componimenti uscirono sulla rivista «Lacerba» nel nel 1915. Fu a contatto con Paul Fort, Apollinaire e Léger. Nel 1914 torna in Italia per arruolarsi come volontario. Soldato semplice sul Carso, nel 1916, pubblica due anni dopo Il Porto Sepolto. Nel 1919, grazie all'aiuto di Papini, pubblica Allegria di naufragi. Tre anni dopo si trasferisce a Roma, la barocca e cattolica città che fa da sfondo alla raccolta pubblicata nel 1933: Sentimento del Tempo. Si trasferisce poi a San Paolo del Brasile, assumendo la cattedra di Lingua e letteratura italiana. Nel 1942 rientra in Italia, Accademico d'Italia, è nominato «per chiara fama» titolare della prima cattedra di Letteratura italiana contemporanea presso l'università di Roma. Scrittore, poeta, saggista e figura di riferimento, già nel 1932 ottiene il suo riconoscimento ufficiale con il premio Gondoliere.Viaggia negli Stati Uniti, Svezia e Germania. Muore a Milano nel 1970.

A cura di Serena Mauriello

lunedì 22 dicembre 2014

Le feste dei poeti: "Tregua di Natale" di Gianmario Lucini


Tregua di Natale
Abbiamo deciso di affrontare il Natale in maniera disincantata e senza ipocrisie, di dargli voci variegate, dal presente e dal passato.  E visto che secondo noi cultura è verità, ve ne diamo un assaggio piuttosto "struggente" con questa poesia di Gianmario Lucini, scomparso meno di due mesi fa in provincia di Sondrio.La poesia appartiene alla raccolta  "Vilipendio" (postuma), e in memoria del suo impegno culturale e artistico, non possiamo che introdurre con una delle sue ultime citazioni:
"La parola è e resta l’unica alternativa alle armi di distruzione,
alla guerra" 


*

Benediceste allora i generali
menti dissolute di vecchi corrotti
di ghiaccio il monocolo all’occhio
spioventi i baffi, cazzuto
il gracchiare di corvo che gira
e gira in volo sui cadaveri.

Oggi, benedite nel nome di Cristo
i macelli dei soldati fratelli a Natale
nel nome del Nato, per la NATO e nella NATO
li volete scimmie sanguinarie
nel nome di Cristo e per Cristo e in Cristo
per la gloria del Signore Onnipotente Dio
Padre di scimmie macellaie
e orfani di guerra.

Avete indugiato nelle camere del dubbio
con le sirene del potere incoronate d’alghe rosse e gialle
– e quando, mi chiedo, quando
vi degnerete d’annegare
liberandoci così del vostro male?

Gianmario Lucini 


[Poeta, critico e editore, nasce a Sondrio nel 1953. Dopo una laurea in Scienze dell'Educazione e un master in critica conseguiti all'Università Cattolica di Brescia, lavora come sindacalista tra la Svizzera e Bolzano fino al 1990.E' in quest'anno che, di ritorno a Sondrio, inizia a pubblicare su alcune riviste occupandosi anche di formazione e animazione culturale come libero professionista. Il suo lavoro predilige da sempre l'impegno civile, e la sua vena poetica, assai critica nei confronti della società, lo porta ad occuparsi di cultura anche al sud, tra le piaghe della mafia e della 'ndrangheta. E' da qui che nascono i lavori documentaristici di formazione alla legalità e l'antologia L'impoetico Mafioso, alla quale partecipano 105 poeti "per la legalità". "La maggior parte dei suoi scritti - spiega lui stesso sul blog "Poetidelparco" - sono su questo sito (poetidelparco, ndr) e in piccola parte su altri siti web, su blog, su qualche rivista e periodico". Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo Krisis, raccolta di poesie, e la sua ultima antologia: Keffyeh, intelligenze per la pace, curata assieme a Mario Rigi.
Gianmario Lucini è scomparso lo scorso 29 ottobre a Piateda, in provincia di Sondrio, a causa di un infarto.]



*Fotografia dell'archivio di Centro Rsi, inviata da Norberto Bergna e così da lui commentata: "L'aereo dovrebbe essere un Savoia Marchetti e dovrebbe essere stata scattata nell'inverno 1940 o 1941. Forse in Italia o in Yugoslavia, ma non saprei dove, escluderei la Russia perché sullo sfondo si vedono delle montagne che, dove erano gli italiani, non c'erano".


Rubrica a Cura di Giulia Capozzi

venerdì 19 dicembre 2014

[Eventi] Il vino, la cultura, l’indipendenza. A San Lorenzo si accende “Livre”, il festival dei vini e libri indipendenti

Un amico, un giorno, mi ha detto che l’unico modo rimasto a noi cittadini per “votare davvero” è  quello di scegliere consapevolmente ciò che consumiamo. Conoscere il modo in cui un oggetto è stato prodotto, entrare in contatto con le sue origini e avere un’idea sulle intenzioni di chi gli ha dato forma è un elemento essenziale, ma spesso invisibile agli occhi: tra gli scaffali e le vetrine di supermercati e centri commerciali, infatti, il gran peso della “quantità” ha finito per schiacciare definitivamente il concetto di “qualità”, e scegliere criticamente quello che si acquista, senza una preparazione, è diventato pressoché impossibile.
Ma in Italia esistono aziende che riescono ad uscire dalle logiche del mercato mainstream, che unite attorno a un insieme di princìpi fondamentali scelgono di prestare attenzione ad ogni fase della produzione con un obiettivo fondamentale: quello di rimanere indipendenti.
Ed è proprio il concetto di indipendenza che fino a domenica prossima accende l’atelier autogestito Esc di San Lorenzo: sulle note di prodotti enogastronomici ed editoriali provenienti unicamente da aziende libere, il centro sociale romano si fa palcoscenico della terza edizione di “Livre”, il festival dei vini e libri indipendenti.

Le radici di Livre si insediano nel mondo della cultura e dell’enogastronomia circa dieci anni fa, quando una serie di vignaioli indipendenti, uniti attorno al manifesto “Terra e Libertà”, decidono di mettersi assieme in una grande fiera di
prodotti selezionati e di qualità. Negli anni l’evento si evolve, i partecipanti crescono e gli espositori anche.  Alla fine, con “Critical Book&Wine”, si arriva alla forma più recente di quello che da tre anni è “Livre”: una vera e propria fusione di cibi, vini, libri, musica e dibattiti tutti orientati alla consapevolezza di ciò che si consuma, che appunto, secondo il mio amico, è il  vero presupposto della libertà.

Esc è uno spazio grande e ben disposto. La fiera, con la collaborazione di trentasei case editrici indipendenti e diciassette aziende vitivinicole provenienti da tutta Italia, si estende tra il bar, in cui vengono serviti calici, bottiglie e taglieri, e quattro grandi stand stracolmi di volumi. C’è una saletta in cui si tengono dibattiti e presentazioni di libri e affianco alle bancarelle, sopra una lunga schiera di tavolini, lo spazio dedicato al dj set. 
Ciò che viene fuori è un ambiente rilassante, che prende vita tra jazz, musica elettronica e tante, tante persone.

La prima cosa che mi sono chiesta è in che modo libri e vini possano incontrarsi sotto al concetto di indipendenza: “Alla base sia della produzione vinicola che di quella editoriale – mi ha risposto Serena, una delle organizzatrici dell’evento – ci sono una serie di conoscenze che condividono molti punti importanti: le scelte alla base della produzione di un vino, dall’utilizzo delle materie prime fino alla distribuzione,  sono parallele a quelle che fa l’editore quando pubblica un testo. Anche qui entrano in gioco idee, ‘materie prime’, distribuzione consapevole e tutti quei problemi connessi alla difficoltà che i più piccoli hanno nel raggiungere il cliente”. 

Terra e Libertà è il primo manifesto per vignaioli atto ad “autocertificare” la qualità delle aziende aderenti, contrarie alle logiche di mercato dell’industria che troviamo tra gli scaffali dei supermercati: il testo, ci spiega Serena, ruota tutto attorno a una serie di princìpi che fanno leva soprattutto sulla condizione dei lavoratori, l’uso dei prodotti a chilometro zero, il rispetto della terra e dei metodi di produzione e i circuiti da scegliere o meno nel momento della distribuzione. E allo stesso modo si battono gli editori che hanno scelto di partecipare all’esposizione, agendo e “prendendo posizione” attorno al Manifesto dell’Osservatorio degli editori indipendenti (Odei): “Un gruppo di editori – si legge nel manifesto - che assistono alla strage delle librerie storiche, alla continua erosione delle loro condizioni di sopravvivenza, al venir meno di un terreno culturale sul quale costruire qualcosa di solido, o comunque sul quale immaginare un futuro”.

La programmazione degli appuntamenti che hanno acceso e accenderanno i dibattiti durante l’evento è stata interamente curata dai ragazzi di Esc: mercoledì, primo giorno di fiera, si è tenuta la presentazione del libro “La
dittatura dello Spread. Germania, Europa e Crisi del debito” di Alessandro Somma e proiettato il cortometraggio “Dall’altrove”; ieri, tra un concerto blues, folk e spirituals, una degustazione e un reading di poesia, si è parlato del libro “Briganti o Emigranti. Sud e movimenti tra conricerca e studi subalterni”, e tra oggi e domenica, oltre ad altri concerti, presentazioni e degustazioni, si terrà un dibattito sul perché dire no alla grande esposizione universale che invaderà Milano nel 2015: “NO EXPO! Cibo, territorio e conflitti”.

Non solo, dunque, esposizione alla stregua di fiere appena tenutesi in giro per l’Italia – come Più libri più liberi di Roma o Fruit Exhibition di Bologna -, ma creazione di un terreno comune di lotta in cui, tra il “toccare” con mano il concetto di indipendenza e l’apprenderlo, si concretizza l’obiettivo principale di Livre, che è “da un lato quello di diffondere una coscienza critica rispetto al consumo del vino e a quello della cultura – conclude Serena – dall’altro, quello di stimolare le persone a ragionare su dove comprano e soprattutto su cosa comprano”. Livre, in maniera originale e assolutamente alternativa, vuole far sapere che esistono modi alternativi per scegliere come “votare” - sempre parafrasando il mio amico -. Che esistono persone capaci di emergere nel mercato grazie a filiere assolutamente indipendenti.

Giulia Capozzi
(@giulscapozzi)





giovedì 18 dicembre 2014

Erotici Inediti: Quasi duro, Un viaggio, Amen




Quasi duro 
"Mi piace prefigurarmi una vecchiaia ironica, autoironica e scherzosamente trasgressiva. Del resto, non è che manchi molto!".



Di femmine stamane c'è l'esubero,
ci s'innamora al passo d'una zoccola.
Seguendone le vie poche ne supero,
sorriderò mostrando denti fradici.

S'invecchia diventando quasi sadici,
si pena senza più porto sicuro.
Così lungo la schiena d'ampi boccoli,
ci si incatena all'ultimo sedere. 

C'è quella sulla sella della bici
che fa la segretaria ad una scuola.
Se frena, si sommuovono le pere ...
… riparte e mi diventa quasi duro.


Un viaggio
Come fanno gli amanti a resistere all'amore e ai celi pieni di luna? Anche gli "atti osceni in luogo pubblico" sanno farsi eleganti tra le ombre della notte...

Orsola Ornelli, Prato Notturno



Un viaggio, se pensi, 
può essere circa un milione di cose.
È fare le cose 
che il mondo non pensa,

è farlo all’aperto 
malgrado i passanti.

E farlo all’aperto malgrado i passanti
ti dico
dà vita talvolta a serate eleganti:
le strade riflettono argenti notturni 
le grida, preziose, diventano canti.
S’inchinano i giovani, ghigna l’Erato,
e vibra per terra lo slip accasciato

la luna è discreta
regala le ombre,
gli amanti che fanno l’amore sul prato.
JungleGiuls

Amen
 E quando la mano incontra la beatitudine delle forme, tutto si esalta e spasmi di desiderio riecheggiano nel silenzio.



Sentirti come linfa e percorso su me che, innalzata alla brama, te reclamo.
Ad ogni palmo nervato d'uomo, d'un gemito composto, le voglie fan riflesso, pronunciate da labbra decise.
E questa, come ora del tripudio in me permane. Del tuo membro, invito un desco salutare. Richiedo.
Domando un lascito di quell'orgasmo ancor prossimo che, or alle scritture sfugge, seminato dai corpi nostri, incisi di vicendevoli sé.
Amen.
Enrica Meloni, Lascivia ed Estasi

mercoledì 17 dicembre 2014

AsSaggi di Letteratura di S. Mauriello: Gadda e il dettaglio del mondo, forse barocco


La prima volta che ho aperto Quer pasticciaccio brutto de via Merulana sono rimasta senza parole. Forse perché Gadda le usava già tutte, forse perché veramente non riuscivo a comprendere cosa mi stesse dicendo. Dietro a quel cumulo di pensieri addensati, a quelle schiere di aggettivi, a quelle accumulazioni caotiche, a quell'espressionismo coatto, non riuscivo a cogliere il filo conduttore delle immagini. Eppure qualcosa c'era, e ne ero consapevole. Gadda va analizzato nelle viscere, va scavato nel profondo. Cercare di dare un quadro completo di una figura così frammentata nel poco spazio che mi concedo ogni volta, sarà senza dubbio una sfida ardua, ma vale la pena provarci.
Quella di Gadda è chiaramente una prosa che nasce da una prova poetica. Non serve un genio né un esperto a comprenderlo, ma delle sue poesie non si parla perché, appunto, furono prove. Nel 1954 affermò che già a diciassette anni aveva una rima facilissima, come ricorda Giorgio Patrizi in Carlo Emilio Gadda, fu quello il terreno della sua sperimentazione. Nella poesia Gadda crea un sistema di immagini, visioni, evocazioni che con l'ausilio di un lessico aulico definiscono un rapporto ben definito tra soggetto, storia e natura. Di poesie ne scrisse solo venticinque, dodici rimasero inedite fino alla sua morte. Una di esse, in fondo la più importante, fu inserita dall'autore in chiusura alla Cognizione del dolore, Autunno. Lo stesso Contini affermò che vi è una spinta tutta lirica a muovere Gadda, la cifra primaria della sua scrittura.
Cercare di comprendere complessità della prosa gaddiana senza averne letto almeno qualche riga diventa un'impresa ancora più ardua. Vi offro un estratto dalla Cognizione, uno di quelli a cui sono più affezionata.

Ed erano appunto in procinto di addivenire a quell’atto imprevisto, e però curiosissimo, ch’era cosí instantemente evocato dalla tensione delle circostanze.
Estraevano, con distratta noncuranza, di tasca, il portasigarette d’argento: poi, dal portasigarette, una sigaretta, piuttosto piena e massiccia, col bocchino di carta d’oro; quella te la picchiettavano leggermente sul portasigarette, rinchiuso nel frattempo dall’altra mano, con un tatràc; la mettevano ai labbri; e allora, come infastiditi, mentre che una sottil ruga orizzontale si delineava sulla lor frotte, onnubilata di cure altissime, riponevano il trascurabile portasigarette. Passati alla cerimonia dei fiammiferi, ne rinvenivano finalmente, dopo aver cercato in due o tre tasche, una bustina a matrice: ma, apertala, si constatava che n’erano già stati tutti spiccati, per il che, con dispitto, la bustina veniva immantinenti estromessa dai confini dell’Io. E derelitta, ecco, giaceva nel piatto, con bucce. Altra, infine, soccorreva, stanata ultimamente dal 123° taschino. Dissigillavano il francobollo-sigillo, ubiqua immagine del Fisco Uno e Trino, fino a denudare in quella pettinetta miracolosa la Urmutter di tutti gli spiritelli con capocchia. Ne spiccavano una unità, strofinavano, accendevano; spianando a serenità nuova fronte, già cosí sopraccaricata di pensiero: (ma pensiero fessissimo, riguardante, per lo più, articoli di bigiutteria in celluloide). Riponevano la non più necessaria cartina in una qualche altra tasca: quale? oh! se ne scordano all’atto stesso; per aver motivo di rinnovare (in occasione d’una contigua sigaretta) la importantissima e fruttuosa ricerca.
Dopo di che, oggetto di stupefatta ammirazione da parte degli “altri tavoli”, aspiravano la prima boccata di quel fumo d’eccezione, di Xanthia, o di Turmac; in una voluttà da sibariti in trentaduesimo, che avrebbe fatto pena a un turco stitico.
E cosí rimanevano: il gomito appoggiato sul tavolino, la sigaretta fra medio e indice, emanando voluttuosi ghirigori; mescolati di miasmi, questo si sa, dei bronchi e dei polmoni felici, mentre che lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e a peptonizzare l’ossobuco. La peristalsi veniva via con un andazzo trionfale, da parer canto e trionfo, e presagio lontano di tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il toreador della Carmen.
Cosí rimanevano. A guardare. Chi? Che cosa? Le donne? Ma neanche. Forse a rimirare se stessi nello specchio delle pupille altrui. In piena valorizzazione dei loro polsini, e dei loro gemelli da polso. E della loro faccia di manichini ossibuchivori.

Alla fine di un pranzotto borghese al ristorante, i commensali estraggono una sigaretta dal taschino e la fumano. Tutto qui. Sintesi un po' riduttiva senza dubbio, ma è ciò che accade. È questo il misero plot di una delle narrazioni più nobili di sempre. È l'attenzione al dettaglio il campo di forze che dilata la prosa, moltiplica i piani, rende al lettore immagini perfettamente confezionate, cesellate allo sfinimento. Per questo Gadda fu definito barocco, per la sua moltitudine esatta, ma nel 1963 Gadda stesso rispose a quell'accusa nella sua apologia in apertura alla Cognizione «barocco è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine». Il suo è uno spettacolo linguistico senza pari, così l'ha definito Dambroski e così voglio definirlo anch'io. I piani espressivi si aprono a una lingua che rende tutto proprio, dal passato più remoto a un futuro che si manifesta nelle sue neoformazioni perché nelle sue vene di «bastardo è sangue ungaro e celtico, visigotico e longobardico. E poi una congerie di modelli e una moltitudine di maestri: e verso questi una mia diligenza, cioè quasi un amore. E una disciplina, cioè quasi una guerra» (l'autore stesso così si presenta). Voglio chiudere l'AsSaggio più breve di sempre senza avervi detto troppo, né troppo poco. E se mai sarò riuscita nel mio intento di stimolare in voi il desiderio di una lettura gaddiana, sappiate che nessuna delle sue opere è stata portata a termine e che per avvicinarsi a quel mondo la cui complessità è moltiplicata da fondamenta filosofiche che spaziano da Spinoza, a Leibniz, a molto altro ancora, ci sono una miriade di racconti pronti per essere interpellati.

Serena Mauriello

martedì 16 dicembre 2014

Maestra Poesia: Pablo Neruda, Non solo il fuoco


Non solo il fuoco – Se un amore sa essere passione viscerale, travolgente, non è solo l'eccezione di un attimo fuori dalla norma. Dietro l'ardore di un'eccezione, è la vita quotidiana fatta dei singoli istanti della proprio essere insieme nient'altro che un uomo, una donna e un amore.



Ahi, sì, ricordo,
ahi, i tuoi occhi chiusi
come pieni dentro di luce nera,
tutto il tuo corpo come una mano aperta,
come un grappolo bianco della luna,
e l’estasi,
quando un fulmine ci uccide,
quando un pugnale ci ferisce nelle radici
e una luce ci spezza la chioma,
e quando
di nuovo
torniamo alla vita,
come uscissimo dall’oceano,
come tornassimo feriti
dal naufragio
tra le pietre e l’alghe rosse.
Ahi, vita mia,
non solo il fuoco tra noi arde,
ma tutta la vita,
la semplice storia,
l’amore semplice
di una donna e d’un uomo
uguali a tutti gli altri.


Pablo Neruda è lo pseudonimo di Neftali Ricardo Reyes Basoalto, nato nel 1907 a Parral (Cile) non lontano da Santiago. Nonostante l'opposizione del padre, si approccia giovanissimo alla poesia con l'aiuto del futuro premio Nobel Gabriela Mistral, suo insegnante. A soli diciannove anni pubblica il suo primo libro Crepuscolario. Dal1925 direttore della rivista «Caballo de bestos», due anni dopo comincia la carriera diplomatica che gli permette di viaggiare in tutto il mondo conoscendo personalità come Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti e Matilde Urrutia per la quale scrive I versi del Capitano. Costretto alla cladestinità a causa del governo anti-comunista di Gabriel Gonzalez Vidella, fugge dal Cile attraversando l'URSS, la Polonia e l'Ungheria. Tra il 1951 e il 1960 viaggia per l'Europa, l'Asia e l'America Latina. A causa di un suo periodo di permanenza degli Stati Uniti nel 1966 fu soggetto si un'aspra polemica da parte degli intellettuali cubani. Premio Nobel per la letteratura nel 1972, muore a Santiago nel 1973.

Rubrica a cura di Serena Mauriello

Ospiti; un sonetto di Giusy Carofiglio



Un Sonetto - La poesia è il margine che divide l'uomo dalla sua essenza, l'essere umano che ricerca la perfezione; ogni genere poetico è arte e una poesia deve avere in sé forza comunicativa. In questo caso, Il sonetto, rappresentante per eccellenza della poesia antica, ha in sé la regolarità dei versi, la musicalità, il metro. 
Sono alla riscoperta di ogni genere poetico e, spinta da ogni forma di banalità che oggi spazia in rete, ho volutamente usato questa forma, per esprimere un dissenso alla massa. L'arte è di tutti ma non per tutti


Ancor m’inchino signor menestrello
raccontandole di stelle e di lune
come fosser di più rare fortune
ignorandone di questo e di quello.

Ma leggendone d’amaro bordello
dissacrato già di tutte le Rune
inorridendo di fronte ad alcune
non poesie, sol magro brandello.

In sostanza il ché vorrei poter dire
che se l’amore fa rima col cuore
non c’è misura ch’imponga rumore
e non bisogna per forza soffrire.

Po-e-si-a muore tra tre cazzoni
inabilità, ovvietà e frustrazioni
Giusy Carofiglio
[Nasce a Bari. Vive e risiede in una zona tranquilla del Salento settentrionale, Grottaglie, in provincia di Taranto. Fin da bambina si distingue per l’innata dote artistica. Incomincia a scrivere ben presto, già dall'adolescenza. Per qualche tempo smette, per poi riprendere e nel  2010 entrando a far parte di molti gruppi dedicati alla poesia. Appare con alcune liriche in diverse antologie, e per la realizzazione di una di esse collabora. 
Con una silloge poetica, vince il concorso “Libera Espressione – Premio Erica Angelini”, dal titolo  “A te” edito il 4 settembre 2012 da Edizioni Galassia Arte di Andrea Mucciolo. Oggi direttore artistico de "Il Vajo del libro" e dell'antologia -Poiesis, che prende il nome dal suo blog.]

lunedì 15 dicembre 2014

Settimana Politica in versi by G. Domizi; "Salive"

Salive - Riassunto politico in versi della settimana

Ho preso con cautela quest'impegno
di sunteggiar politiche ed affari,
perché son diventati troppo rari
gli eventi che m'aguzzano l'ingegno.
Scontato che si faccia Associazioni
per dar consensi in cambio della cresta,
c'è sempre lo scagnozzo che si presta
nella Regione e in altre Istituzioni.
Ma il meglio viene da Cooperative
per lavorare "senza fare lucro",
però che stiano lontane dal mio buco,
perché ne ho viste troppe di salive.
Gianfranco Domizi

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