venerdì 20 marzo 2015

[Il punto su...] San Camillo di Roma: tra repartini e primari confessionali... che ne sarà della 194?

Lo scorso venerdì 13 marzo, le attiviste romane della rete per i diritti delle donne #Iodecido si sono riunite in protesta presso il reparto di Maternità e Ostetricia dell’Ospedale San Camillo di Roma, e dichiarandosi in forte stato di “rabbia e preoccupazione” hanno lanciato un duro appello al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. A loro si sono poi allineate altre numerose associazioni, come Laiga (Libera Associazione Ginecologi per l’applicazione della 194) e Vita di Donna Onlus, fondata dalla ginecologa e attivista Lisa Canitano. Quest’ultima, in una petizione lanciata su Change.org, ha chiesto esplicitamente a Zingaretti di “rispettare la laicità dello Stato” consentendo agli operatori pubblici di applicare liberamente le sue leggi. L’allarme che ha alimentato le proteste sembra infatti portare notizie piuttosto preoccupanti per lo stato della – già precaria – legge sull’aborto 194, ed è stato inaugurato poco più di una settimana fa da alcune ginecologhe che operano sul territorio romano e laziale: al San Camillo, hanno spiegato,  si stanno tenendo i colloqui che porteranno alla nomina del prossimo primario del reparto di Maternità, e nella lista dei sette candidati appaiono curricula di esponenti di policlinici universitari cattolici, come il Gemelli (Università Cattolica del Sacro Cuore) e il Campus Biomedico (ispirata al fondatore dell’Opus Dei S. Josémaria). L’effettiva nomina di uno di loro comporterebbe la presenza nella struttura di un primario non semplicemente obiettore di coscienza, ma confessionale, che viene dunque da un’università in cui ai futuri medici è richiesta la completa adesione alla morale cattolica e secondo cui l’aborto volontario è un omicidio, in quanto l’embrione è una vera e propria persona.


Il padiglione del San Camillo è il primo reparto in assoluto nel Lazio per numero di Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), e rappresenta il cuore del coordinamento per l’applicazione della legge 194 del 1978 (messa già abbastanza in crisi dal tasso di medici italiani obiettori di coscienza, che secondo l’Associazione “Laiga” raggiunge addirittura il 91%): dopo la chiusura dei reparti IVG di Monterotondo, Sora, Frosinone e Gaeta, infatti, gli unici Ospedali nella regione che permettono questa operazione oltre a quello in questione sono il Grassi,  il Sant’Eugenio e il San Filippo Neri. Un numero nettamente in discesa, proprio come l’effettiva libertà di scelta di una donna sul suo corpo e sulla sua maternità (o di una coppia sul suo futuro).

Ma c’è bisogno di fare ulteriore chiarezza. La maggior parte delle informazioni che circolano sulla questione, infatti, non ne mettono bene in luce un aspetto fondamentale: quello riguardante la separazione del reparto dedicato alle IVG da Ostetricia e Maternità.
Sono stati chiesti alla Regione – ma ancora non stanziati –  ben 3 milioni di euro per la ristrutturazione e lo spostamento del reparto dal padiglione ad un altro. E secondo voci che vanno via via confermandosi, questo implicherebbe la completa separazione del “repartino” IVG dal resto della struttura: “Mentre prima le donne erano ricoverate tutte insieme sia che dovessero levare l’utero sia che dovessero partorire – spiega Canitano – attualmente si pensa che le donne che devono essere ricoverate debbano stare in un reparto, e le gestanti in un altro. Il problema, però, è che mettere le interruzioni di gravidanza in un reparto completamente a sé va a provocare una serie di importanti problemi”.

Il primo riguarda l’aspetto  gestionale: Per il repartino, infatti, sarebbe prevista una U.O.D., e lavorerebbe dunque in completa autonomia rispetto ad Ostetricia e Maternità; in questo caso, il punto di riferimento per le IVG non sarebbe più il primario di ginecologia, ma il Dipartimento. E se una donna dovesse avere complicazioni durante un’operazione, un eventuale ricovero ne comporterebbe il difficile trasferimento da un reparto all’altro: “Questa tanto sbandierata separazione è una tragedia – continua la dottoressa – perché un reparto ospedaliero di ostetricia deve farsi carico anche degli aborti, mentre in questo caso se una donna si sente davvero male in un repartino di IVG la devi trasferire. Ed è difficile”.
Inoltre, una struttura del genere sarebbe aperta solo 12 ore al giorno, dalle 8 alle 20, “ma un repartino chiuso la notte trova molta più difficoltà nel praticare aborti terapeutici, e chiariamoci: un primario obiettore di coscienza, nella sua struttura, non li fa. In tutti gli ospedali del Lazio in cui vi sono primari confessionali gli aborti terapeutici non si fanno”.
Poi la terza questione, quella riguardante la stigmatizzazione dei medici non obiettori: “Se avvenisse questa separazione, i medici degli aborti resterebbero per tutta la vita medici per gli aborti, mentre ostetricia diverrebbe una ‘ostetricia unificata’. Si permetterebbe al primario religioso di avere un reparto limpido, che fa solo ‘il lavoro di dio’, e i medici che fanno la 194 non andrebbero neanche più in maternità”.

La nomina del prossimo primario si sarebbe dovuta tenere lo scorso 17 marzo, ma i colloqui, viste le numerose proteste, sono stati rimandati alla fine del mese.
E’ una questione ancora aperta dunque, che coinvolge una delle strutture più importanti della Regione (se non d’Italia) e il corpo di ogni donna che voglia mantenere viva la caparbietà di fare proprio – e non dello Stato – il diritto alla gestione del corpo e della maternità.
Ma il messaggio più significativo in questo caso deve raggiungere ancora una volta un uomo: Nicola Zingaretti. Quando ancora candidato a Presidente di Regione, infatti, aveva dedicato molte parole della sua campagna elettorale al tema della laicità e della sanità. Parole che hanno costruito linee guida, ma che poi non sono state rispettate: “Ha fatto le linee guida in cui stabilisce che nei consultori medici devono certificare l’obiezione di coscienza – ha spiegato Canitano ad Aborto Inchiesta – ma sugli ospedali in cui il servizio di 194 non è garantito Zingaretti non ha mai messo parola”.





Giulia Capozzi
@Giulscapozzi

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