«Il suo peccato più grande era quello di credere nella poesia come in una religione»
Eraldo Miscia
Alfonso Gatto, Autoritratto |
Convinto della funzione sacra della voce poetica, Alfonso Gatto fu pittore oltre che componitore di versi di una musicalità tenera e sospesa. Ramat ha più volte sottolineato quanto Gatto, nel corso della sua intera storia, non si sia mai disfatto dai primi temi, circoscritti e nati insieme alla sua passione per l'arte e la poesia. L'isola, il mare, l'oltre, il notturno, la morte sono i campi semantici entro cui Gatto vive la propria esperienza artistica. Ma proprio questa connotazione tematica è interessante in altro senso, ci aiuta a definire la parabola culturale del poeta-artista. Visse in molte città, Gatto, sempre alla ricerca di una stabilità che stentava ad arrivare, approdando presto nella Firenze dei secondi anni '30. Proprio qui l'adesione all'ermetismo fu cosa scontata e naturale, esattamente per quell'affinità di argomenti che lo accomunava a poeti come Salvatore Quasimodo. Presto il suo destino si intreccia con quello della rivista «Frontespizio», fino a quando una scissione da quell'ambiente culturale estremamente legato alla religiosità inquieta di Bò e Betocchi, lo portò a fondare assieme a Pratolini «Campo di Marte», fulcro dell'ermetismo di seconda e terza generazione. Ma Gatto fu anche anti-fascista attivo e coerente, a tal punto da mettere all'indice tutti coloro che alla militanza preferirono il silenzio e quindi anche Montale giudicato, in una sorta di processo kafkiano, colpevole di essersi nascosto in frivolezze pur di non esporsi. Non resta, ora, che abbandonarci ai suoi versi e leggendo salvarci dall'insistenza del mondo per godere dell'ineffabilità.
Notturno per Mondrian
Più o meno,
croci armoniose
dell’alfabeto che non parla mai.
Di sé solo perfetto
cimitero di segni
l’infinito.
San Marco
Firenze grande e morta
nella sera e nel fiume,
una lapide effimera sia vento
al dolce nome, al grigio della porta.
Come rapida polvere un alone
fulvo di chiese brulica per l’agro
cielo serale e migra ove sia tomba
lieta degli anni a ricordarmi il mare.
Cratere Marino
Il nulla consumato come il tutto
d’un ceppo che rapprende tempo e scorza,
e la sabbia, la creta del costrutto
ch’è del deserto vivere la forza
obliosa, il ricordo, la stesura:
questo, ti dissi, bolla di cratere
e falcata marina, è l’occhio aperto
dal profondo alla mèsse di paura
che pùllula flessuosa dalle nere
pupille d’ogni germe, nell’incerto
guizzo di traccia al tremolìo silente.
Il tutto consumato come il niente,
l’essere a voce l’attimo che desta
il tonfo, la voragine del mare.
E l’uscire dal sòffoco di testa,
le mani tese quanto più sgomente.
Così la vita è sempre l’affermare
una salvezza disperata, urgente.
Serena M.
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