mercoledì 20 gennaio 2016

[AsSaggi di letteratura] - Boccaccio e il "Corbaccio": nell'aldilà per scoprire stereotipi femminili lunghi otto secoli

Un viaggio alle origini della letteratura italiana: leggere il Corbaccio di Giovanni Boccaccio per scoprire, con la giusta dose d'ironia, che gli stereotipi maschili sulle donne sono sempre gli stessi fin da dal Medioevo.




Usciti dal liceo, anche per gli studenti più capre, la certezza sulla letteratura è solo una: a Dante sta la Commedia come a Petrarca il Canzoniere e a Boccaccio il Decameron. Al più, se proprio si va nel profondo della questione, si possono aggiungere la Vita Nova (sempre con quell'incertezza: ma si dice nova o nuova?, lasciamola irrisolta, potrei assillarvi per pagine intere) per l'Alighieri e il Secretum (giusto di nome, roba in latino, per carità!) per il poeta aretino. Ma il Boccaccio... Possibile che non abbia fatto proprio nient'altro?
Io sono qui per dirvi il contrario.
Senza darvi l'elenco di tutti i titoli boccacciani, vi dico che dal 1331 al 1342, la terza corona ha all'attivo sulla propria scrivania ben otto opere scritte tutte contemporaneamente. Son testi dallo sperimentalismo avveniristico in cui quel gusto per il narrare è già tradito dalle lunghezze fuori misura di ogni opera. Boccaccio tenta ogni stile, ogni genere, ogni forma. È il primo ad avere il coraggio di usare le terzine incatenate, il metro della Commedia ideato dallo stesso Dante e per questo avvolto da un'aura di santificazione letteraria; canonizza e regolarizza l'ottava, che non ancora nelle mani dell'Ariosto ha la veste del metro dei giullari; scrive un'elegia in prosa in cui a parlare è una donna che soffre per un amante duro e disinteressato (badate bene sono altri tempi, non era nulla di scontato in periodo in cui le poesie d'amore le scrivevano solo gli uomini); tenta la mitologia in prosa volgare e anche un poema epico sulle orme di Virgilio e Stazio; non si lascia scappare l'occasione per scrivere un prosimetro... Ce n'è per ogni gusto. Insomma, prima di arrivare all'opera magna Boccaccio aveva già navigato molto con la narrazione, e solo proseguendo questa strada sarebbe potuto arrivare al Decameron, spesso definito enciclopedia del narrabile1. Non bisogna neanche credere che, dopo esser riuscito a metter su carta l'intero mondo, Boccaccio si sia voluto fermare, perché dopo le cento novelle c'è dell'altro ed è proprio lì che voglio arrivare.

Per leggere il Corbaccio, se si è donne, bisogna imporsi di non essere permalose e prepararsi a fare dell'autoironia. Se si è uomini, occorre prendere una birra, stapparla e sedersi comodi in poltrona possibilmente con le gambe ben stese sul tavolino del salotto. Se abbiamo definito poco sopra il Decameron come l'enciclopedia del narrabile, il Corbaccio può essere inteso come l'enciclopedia dei luoghi comuni sulle donne. Dal linguaggio iperbolico e grottesco che solo dalla penna di un grande sperimentatore come Boccaccio poteva nascere, il Corbaccio è un trattatello ironico in cui i grandi topoi della tradizione misogina medievale vengono sfruttati e narrativizzati con esiti di una comicità dilaniante. La storia, brevemente, è questa: il protagonista senza nome si innamora follemente di una vedova astuta e megera che lo fa soffrire follemente per amore, invocando la morte con il cuore straziato, cade in un lungo sonno e intraprende un viaggio in un aldilà (e qui la parodia a Dante si fa gustosissima) in cui gli uomini che sono stati sposati in vita vanno diretti in Paradiso perché hanno sofferto le pene infernali in terra a opera delle loro mogli. Qui, il giovane innamorato incontro un uomo con una veste purpurea che si dimostrerà la sua guida. Il vecchio presto racconta di essere il marito defunto dell'amata del protagonista e, ancora fervente d'odio per l'agonia sofferta a causa di lei in vita, degrada la donna al giovane per far si che la sua vendetta possa essere messa in atto. Il risulta è, fatemelo ripetere per la decima volta, esilarante. Da un lato l'anima di un vecchio geloso che non vorrebbe accanto alla moglie ancora in carne e ossa nessun altro uomo, dall'altro proprio l'altro uomo. Vengono raccontati tutti i difetti della vedova che assume caratteri mostruosi: dalla sua fissazione per gli abiti, all'eccessiva vanità, alle ore passate allo specchio a coprirsi il volto di strati e strati di trucco per superare i limiti imposti dalla natura. Dal singolare si finisce, come sempre, per passare al generale e l'invettiva finisce per essere rivolta a tutte le donne, come quelle che vanno in spose a uomini vecchi e brutti pur di saperli ricchi, o talune irose a tal punto da costringere gli uomini a dover uscire di casa pur di trovare un attimo di serenità nelle loro giornate. Donne, sempre così incoerenti e instabili, che cambiano idea in un attimo e con la loro loquacità irrefrenabile e saccente si riempiono la bocca di bugie pur di non ammettere di aver torto. Quelle donne, che se proprio hanno torto e lo sanno, allora piangono a comando per sembrare povere indifese2...
Insomma, la morale è solo una: i luoghi comuni son comuni non per definizione, ma perché nei secoli rimangono sempre gli stessi. Care donne, facciamocene una ragione.


Serena Mauriello


2Cfr. Simonetta Mazzoni Peruzzi, Il medioevo francese nel Corbaccio, Firenze, Le Lettere, 2001.

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