Luigi Capuana conversa con Federico De Roberto, forse autoritratto |
Se vi dicessi Capuana voi mi
rispondereste letteratura, io ne sono sicura. Molti non sanno che nel
1880, dopo l'esperienza fiorentina con lo studio Alinari dello
scrittore di Mineo, venne fondato il «Grande Atelier Fotografico in
Mineo diretto dal professor Luigi Capuana»1.
Non solo amante della fotografia, ma addirittura alla testa di un
atelier: come si è arrivati
fin a qui?
Quando Zolà aveva
lanciato il naturalismo il ruolo della letteratura era radicalmente
mutato. Riducendo un pensiero ampio ai minimi termini,
sostanzialmente si può affermare che il naturalismo – al pari del
verismo italiano – mirava a rappresentare in maniera diretta e
meticolosa a realtà. Se questa è la premessa dell'approccio alla
narrazione della schiera di scrittori in questione, è ben chiaro
come il rapporto con la fotografia poteva divenire più che
complesso. La fotografia poteva essere grande nemica o fortunosa
alleata in base all'occhio con cui la si guardava.
La
capacità di rappresentazione oggettiva del mondo propria del mezzo
fotografico aveva richiamato l'attenzione prima di Capuana, poi,
grazie alla sua influenza, di De Roberto – definito dal primo
semplice «apprendista»2
del campo – e di Verga. Il meno convinto di tutti era l'autore dei
Malavoglia che così
rimproverava l'amico «Costà non farai nulla non solo, ma ti
ritroverai impotente a nulla fare, almeno di arte attiva
e proficua»3.
Capuana
con la fotografia sperimentava e giocava, senza prendersi alle volte
troppo sul serio. Del suo atelier De
Roberto parlava come dello studio di uno scienziato pazzo, pieno di
strumenti e congegni da lui stesso inventati per seguire tutti gli
sviluppi del processo fotografico dalla ripresa, allo sviluppo, alla
stampa4.
Ciò che attirava lo scrittore era la possibilità di ritrarre il
paranormale tramite la fotografia. Sì, Capuana voleva fotografare
gli spiriti proprio come quei pazzi di Mistero. Nel 1864 ritrasse una
ragazzina in trance medianica, a una ventina di anni dopo risalgono i
tentativi di fotografare ectoplasmi. Come afferma Emiliano Morreale
siamo
dunque ben lontani dall'intenzione di documentare la realtà secondo
un approccio verista; al contrario, Capuana praticava un
comportamento tipico della sua terra: la vicinanza tra la foto e la
morte (e i morti) è rimasta – fino a pochi decenni fa – un
ingrediente fondamentale negli usi sociali della fotografia. Spesso i
ritratti ufficiali venivano eseguiti post mortem,
sulla salma composta: naturalmente, con ritocco finale agli occhi. Lo
stesso Capuana si fece uno scherzoso autoritratto da morto, e accettò
di ritrarre una bambina defunta che i parenti, pur di conservare il
ricordo, fecero riesumare per l'occasione.5
L'uso
della fotografia non va inteso in maniera funzionale ai propri
progetti creativi e letterari, uno scatto non diverrà mai
supplemento di un'opera di Capuana; piuttosto l'obiettivo diviene una
lente con cui osservare il mondo non visibile ad occhio nudo secondo
una curiosità tradizionalmente tutta siciliana. La fotografia è
chiaramente uno strumento ludico con cui potersi dilettare da soli o
in compagnia. Risale al 16 novembre 1987 una lettera in cui Verga
scrive a Capuana «Verrai il 20? Non dimenticare di portare stavolta
la commedia e anche la macchina fotografica. Coll'una o coll'altra
passeremo qualche ora buona, insieme a Federico e a Ciccio Ferlito»6,
Federico è chiaramente Federico De Roberto.
Cosa facevano insieme
tre grandi classici della letteratura italiana in una placida
giornata autunnale? Capuana metteva a disposizione la macchina
fotografica, Verga scattava. Si stava insieme, ci si fotografava.
Verga di autoscatti ne ha lasciati molti, con gli amici e con la
famiglia. Insomma, forse farsi un “selfie“
non è poi così illecito, ma dire la parola “selfie“...
Beh, quello sì.
Serena Mauriello
1Italo
Zannier, Storia dlla fotografia italiana, Bari,
Laterza, 1986, p. 97.
2Ibidem.
3Carteggio
Verga-Capuana (Dicembre 1870-Giugno 1921),
a cura di Gino Raya, Milano, edizioni dell'ateneo, 1984, p.136.
4Cfr.
Federico De Roberto, Luigi Capuana nei cimeli fotografici,
«Noi e il mondo», 1 gennaio 1916, Roma.
5Emiliano
Morreale, Tre scrittori del vero: Verga, Capuana, De Roberto,
in Atlante della letteratura italiana,
a cura di Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, Torino, Einaudi, 2012,
pp. 329-333, p.329.
6Carteggio
Verga-Capuana, cit., p. 185.
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