È il primo maggio, la festa dei lavoratori. Centinaia di migliaia di persone stanno per uscire di casa, mettersi in macchina e andare a festeggiare da qualche parte per l’Italia.
Alcune di loro, assieme a tanta altra gente che viene da tutto il mondo, si trovano di fronte alle porte di un grande edificio tutto bianco che è stato messo su in fretta e furia durante gli ultimi mesi: l’Expo2015 di Milano.
Tre giorni fa, il Fatto Quotidiano pubblicava alcune foto – diffuse da M5S Lombardia – mostranti una serie di operai che lavoravano in tutta fretta a ridosso di alcune pareti. Lo spazio in cui si trovavano era vuoto, disordinato, anche piuttosto sporco. Ed era uno dei locali di Expo 2015, l’esposizione universale che, neanche a dirvelo, sta aprendo oggi le sue porte ai cittadini di tutto il pianeta. Quel pianeta che dice di voler nutrire affianco a “maestri” dell’alimentazione come Mc Donald’s, Monsanto, Nestlè, Coca Cola, Eataly e molti altri.
Noi di Tutùm avevamo già parlato dell’immaginario “patinato, contraddittorio e assolutamente volto al profitto” che molti attivisti leggono tra le righe del disegno di questa grande esposizione. La “Rete No Expo”, insieme di 20 realtà che si muovono sul territorio di Milano dal 2007, aveva ben spiegato i motivi per cui effettivamente ci sarebbe da porsi delle domande rispetto allo slogan che accompagna il colorato titolo di questa fiera: “Nutrire il pianeta”.
Ci eravamo chiesti in che modo un evento precarizzante, privatizzante e delegalizzante come Expo possa prendersi la briga di insegnarci il modo in cui si nutre il pianeta. La domanda era rimasta sospesa alla fine di un lungo articolo, sotto una tela di discorsi che avevamo districato con l’aiuto un attivista della Rete.
Il giorno del verdetto, quello in cui i visitatori osserveranno criticamente Expo, abbiamo deciso di prendere la questione dal punto di vista più concreto possibile. Di lasciare che le evidenze fino ad oggi svelate da Expo parlino da sé. E anche un po', con Luca, portavoce di #NoExpo.
Materialità:
La parte più caratteristica e importante di un Expo è la sua fisicità. Nel caso specifico, questa fisicità si è rivelata controversa soprattutto dal punto di vista sociale e politico. Ce lo dimostra la cronaca di illegalità che ha scritto la storia di Expo fin dal 2007, ma ce lo dimostrano anche alcuni dati che circolavano in questi giorni: secondo l’Osservatorio Open Expo, lo stato dei lavori a due giorni dall’apertura era ancora al 21%. Dato preoccupante, se si pensa che la data del primo maggio non può esser evasa. Ma anche interessante, perché viene da chiedersi cosa ne sarà di questa incompletezza di fronte al verdetto dei visitatori.
“L’inaugurazione, probabilmente, sarà simile a un grande ‘cerone’ di copertura – ha ipotizzato Luca – ci si troverà di fronte a un confezionamento che già dal due maggio comincerà a mostrare i primi punti deboli”. Confezionamento fatto di tante sfaccettature, e che che probabilmente ha iniziato a prendere la sua forma qualche mese fa. Secondo Luca, nelle ultime settimane “più Expo si avvicinava e la figuraccia incombeva, più aumentava la tensione sul territorio milanese”. Tensione che – come ben si sa – è spesso alimentata da una stampa che riporta informazioni incomplete, non approfondite, quasi votate alla voce unica della comunicazione istituzionale.
Antagonismo:
Non serve tornare troppo indietro per trovarne un esempio: basta leggere le pagine di cronaca dei cortei che si sono svolti ieri a Milano.
Quando si parla di antagonismo, l’immagine che più frequentemente accompagna la sua narrazione è legata all’illegalità: black block, arresti, manganellate, offensive, fumogeni, tensione.
Nessuno osa mettere piede oltre la linea di questa dimensione unica e stereotipizzante. E nessuno, oltre a decontestualizzare i singoli fatti, ha mai provato a fare il punto sulle ragioni che potrebbero celarsi dietro quello che si vuol far passare per sterile “antagonismo”.
Oltre al paio di “black block” un po’ sensazionalizzati da alcune testate, hanno marciato pacificamente molti di coloro che non saranno giovati da questo grande traffico di soldi e persone, come i lavoratori scioperanti coinvolti dal Piano di lavoro Extra per Expo, firmato dall’azienda e dalla maggioranza delle sigle sindacali col fine di intensificare i turni senza però compensare le mansioni notturne o festive: “Una macchina comunale spremuta in anni di tagli e sacrifici – spiega Luca commentando lo sciopero indetto lo scorso mercoledì da Cub – adesso chiede di far fare bella figura in occasione di Expo, mette sul piatto quattro lire senza però entrare nel merito delle questioni che i lavoratori di queste aziende pongono da tempo sul piatto, soprattutto dal punto di vista della qualità del lavoro e della sicurezza. Non è sicurezza far lavorare gli autisti per 10/12 ore di fila. Mette in pericolo anche l’incolumità dei passeggeri”.
Ad aver sfilato tra i tanti sono anche gli attivisti della Rete No Expo, che fanno informazione e cultura sul territorio lombardo da ben otto anni senza mai aver avuto problemi di tipo legale: “Per oltre un anno – spiega Luca – i No Expo sono stati anche al centro della lotta contro le vie dell’acqua a Milano. In quest’anno di lotte è successo molte volte che la polizia arrivasse ai nostri blocchi di fronte ai cantieri, ma 10 volte su 10 il suo intervento si è concluso con azioni sanzionatorie nei confronti dell’impresa! Questo è per dirti che gli attivisti No Expo non hanno mai avuto problemi giuridici, legali, amministrativi o penali”.
Domenica 3 maggio sarà presentato presso l’assemblea finale della Rete il calendario AlterExpo, comprendente tutta la serie di iniziative che si terranno nei prossimi sei mesi: “Alcune di queste – continua – saranno la presentazione dello Spazio Fuori Mercato, costituito da un circuito comprendente tutta quella filiera produttiva e distributiva svincolata dalle logiche della grande distribuzione e della certificazione, che seguono la logica secondo cui non è buono solo ciò che è certificato, ma è genuino quel che è prodotto dalla terra e nel rispetto della terra. E non solo nel momento della distribuzione ma anche in quello della produzione. A metà giugno si terrà un’iniziativa sul tema della casa, poi ci sarà il pride, in cui saranno messi in discussione tutto l’immaginario e la retorica di genere realizzati da Expo: la donna massaia, che fa ricette, che sta ai fornelli, che rappresenta la maternità.
Oltre a queste iniziative, poi, ci sarà un laboratorio della durata di sei mesi, che avrà l’obiettivo di produrre una serie di ragionamenti sulla città in trasformazione attorno a una nuova free press. Il primo numero sarà distribuito all’assemblea finale, e l’invito sarà quello di collaborare a un lavoro che dal primo novembre, data di fine dell’Esposizione, inizierà a guardare ai problemi della città senza più Expo”.
Funzionamento:
A fare giudizio nei prossimi mesi non saranno solo quelli che hanno pagato il biglietto. Tra loro, già da oggi, si muoveranno impegnatissimi migliaia di ragazzi – settemilacinquecento in tutto, per l’esattezza – che hanno accettato di prestare la propria collaborazione all’evento in cambio di due cose: un tablet e l’opportunità di poter arricchire il proprio curriculum grazie a un lavoro non retribuito. Questi “volontari” sono considerati da molti vittime di sfruttamento, ma anche presi di mira. In maniera simile a quei “choosy” che hanno scelto la strada #Iononlavorogratisperexpo.
Secondo Luca, “questa è una grande mercificazione, perché il volontariato si fa per il sociale e non per qualcosa che è costato miliardi di denaro pubblico ai fini di soggetti privati. Nella miseria sociale del nostro paese, dove la gente si laurea a 25 anni e a 40 se le va bene è ancora precaria, si gioca creando un falso immaginario per cui si dice che se farai il ‘volontario’, allora conoscerai migliaia di persone e avrai centinaia di opportunità per trovare un futuro lavoro. Come spiegare che sono tutte chiacchiere?
Si gioca su questa comunicazione suadente e sul fatto che la stragrande maggioranza della popolazione italiana è ignorante rispetto ad Expo e alle sue dinamiche. E ciò significa anche non approfondire tutto il ragionamento sulla retorica del volontariato!”
E’ ovvio che nella disperazione sociale ci si caschi: 7500 hanno accettato. Ma queste figure, che altrove sono sempre state lautamente pagate, avranno il compito di far funzionare parte di una macchina che genererà molto profitto.
E così, nel momento in cui la Grande Opera apre i battenti, la sua stessa materialità torna a tradirla, rendendo obsoleto ogni pilastro su cui va a poggiarsi: quello fisico, perché i muri di Expo traballano; quello retorico, perché lo “sterile antagonismo” della coomunicazione politica è facilmente smontabile; e infine anche quello strutturale, perché il sistema dei volontari, se non opportunamente alimentato, andrà a morire progressivamente.
Lasciamo ai posteri l’ardua sentenza, con l’auspicio di deprecarizzarci entro i prossimi sei mesi e correre a comprare un biglietto per Milano.
E buon Primo Maggio :)
Alcune di loro, assieme a tanta altra gente che viene da tutto il mondo, si trovano di fronte alle porte di un grande edificio tutto bianco che è stato messo su in fretta e furia durante gli ultimi mesi: l’Expo2015 di Milano.
Tre giorni fa, il Fatto Quotidiano pubblicava alcune foto – diffuse da M5S Lombardia – mostranti una serie di operai che lavoravano in tutta fretta a ridosso di alcune pareti. Lo spazio in cui si trovavano era vuoto, disordinato, anche piuttosto sporco. Ed era uno dei locali di Expo 2015, l’esposizione universale che, neanche a dirvelo, sta aprendo oggi le sue porte ai cittadini di tutto il pianeta. Quel pianeta che dice di voler nutrire affianco a “maestri” dell’alimentazione come Mc Donald’s, Monsanto, Nestlè, Coca Cola, Eataly e molti altri.
Noi di Tutùm avevamo già parlato dell’immaginario “patinato, contraddittorio e assolutamente volto al profitto” che molti attivisti leggono tra le righe del disegno di questa grande esposizione. La “Rete No Expo”, insieme di 20 realtà che si muovono sul territorio di Milano dal 2007, aveva ben spiegato i motivi per cui effettivamente ci sarebbe da porsi delle domande rispetto allo slogan che accompagna il colorato titolo di questa fiera: “Nutrire il pianeta”.
Ci eravamo chiesti in che modo un evento precarizzante, privatizzante e delegalizzante come Expo possa prendersi la briga di insegnarci il modo in cui si nutre il pianeta. La domanda era rimasta sospesa alla fine di un lungo articolo, sotto una tela di discorsi che avevamo districato con l’aiuto un attivista della Rete.
Il giorno del verdetto, quello in cui i visitatori osserveranno criticamente Expo, abbiamo deciso di prendere la questione dal punto di vista più concreto possibile. Di lasciare che le evidenze fino ad oggi svelate da Expo parlino da sé. E anche un po', con Luca, portavoce di #NoExpo.
Materialità:
La parte più caratteristica e importante di un Expo è la sua fisicità. Nel caso specifico, questa fisicità si è rivelata controversa soprattutto dal punto di vista sociale e politico. Ce lo dimostra la cronaca di illegalità che ha scritto la storia di Expo fin dal 2007, ma ce lo dimostrano anche alcuni dati che circolavano in questi giorni: secondo l’Osservatorio Open Expo, lo stato dei lavori a due giorni dall’apertura era ancora al 21%. Dato preoccupante, se si pensa che la data del primo maggio non può esser evasa. Ma anche interessante, perché viene da chiedersi cosa ne sarà di questa incompletezza di fronte al verdetto dei visitatori.
“L’inaugurazione, probabilmente, sarà simile a un grande ‘cerone’ di copertura – ha ipotizzato Luca – ci si troverà di fronte a un confezionamento che già dal due maggio comincerà a mostrare i primi punti deboli”. Confezionamento fatto di tante sfaccettature, e che che probabilmente ha iniziato a prendere la sua forma qualche mese fa. Secondo Luca, nelle ultime settimane “più Expo si avvicinava e la figuraccia incombeva, più aumentava la tensione sul territorio milanese”. Tensione che – come ben si sa – è spesso alimentata da una stampa che riporta informazioni incomplete, non approfondite, quasi votate alla voce unica della comunicazione istituzionale.
Antagonismo:
Non serve tornare troppo indietro per trovarne un esempio: basta leggere le pagine di cronaca dei cortei che si sono svolti ieri a Milano.
Quando si parla di antagonismo, l’immagine che più frequentemente accompagna la sua narrazione è legata all’illegalità: black block, arresti, manganellate, offensive, fumogeni, tensione.
Nessuno osa mettere piede oltre la linea di questa dimensione unica e stereotipizzante. E nessuno, oltre a decontestualizzare i singoli fatti, ha mai provato a fare il punto sulle ragioni che potrebbero celarsi dietro quello che si vuol far passare per sterile “antagonismo”.
Oltre al paio di “black block” un po’ sensazionalizzati da alcune testate, hanno marciato pacificamente molti di coloro che non saranno giovati da questo grande traffico di soldi e persone, come i lavoratori scioperanti coinvolti dal Piano di lavoro Extra per Expo, firmato dall’azienda e dalla maggioranza delle sigle sindacali col fine di intensificare i turni senza però compensare le mansioni notturne o festive: “Una macchina comunale spremuta in anni di tagli e sacrifici – spiega Luca commentando lo sciopero indetto lo scorso mercoledì da Cub – adesso chiede di far fare bella figura in occasione di Expo, mette sul piatto quattro lire senza però entrare nel merito delle questioni che i lavoratori di queste aziende pongono da tempo sul piatto, soprattutto dal punto di vista della qualità del lavoro e della sicurezza. Non è sicurezza far lavorare gli autisti per 10/12 ore di fila. Mette in pericolo anche l’incolumità dei passeggeri”.
Ad aver sfilato tra i tanti sono anche gli attivisti della Rete No Expo, che fanno informazione e cultura sul territorio lombardo da ben otto anni senza mai aver avuto problemi di tipo legale: “Per oltre un anno – spiega Luca – i No Expo sono stati anche al centro della lotta contro le vie dell’acqua a Milano. In quest’anno di lotte è successo molte volte che la polizia arrivasse ai nostri blocchi di fronte ai cantieri, ma 10 volte su 10 il suo intervento si è concluso con azioni sanzionatorie nei confronti dell’impresa! Questo è per dirti che gli attivisti No Expo non hanno mai avuto problemi giuridici, legali, amministrativi o penali”.
Domenica 3 maggio sarà presentato presso l’assemblea finale della Rete il calendario AlterExpo, comprendente tutta la serie di iniziative che si terranno nei prossimi sei mesi: “Alcune di queste – continua – saranno la presentazione dello Spazio Fuori Mercato, costituito da un circuito comprendente tutta quella filiera produttiva e distributiva svincolata dalle logiche della grande distribuzione e della certificazione, che seguono la logica secondo cui non è buono solo ciò che è certificato, ma è genuino quel che è prodotto dalla terra e nel rispetto della terra. E non solo nel momento della distribuzione ma anche in quello della produzione. A metà giugno si terrà un’iniziativa sul tema della casa, poi ci sarà il pride, in cui saranno messi in discussione tutto l’immaginario e la retorica di genere realizzati da Expo: la donna massaia, che fa ricette, che sta ai fornelli, che rappresenta la maternità.
Oltre a queste iniziative, poi, ci sarà un laboratorio della durata di sei mesi, che avrà l’obiettivo di produrre una serie di ragionamenti sulla città in trasformazione attorno a una nuova free press. Il primo numero sarà distribuito all’assemblea finale, e l’invito sarà quello di collaborare a un lavoro che dal primo novembre, data di fine dell’Esposizione, inizierà a guardare ai problemi della città senza più Expo”.
Funzionamento:
A fare giudizio nei prossimi mesi non saranno solo quelli che hanno pagato il biglietto. Tra loro, già da oggi, si muoveranno impegnatissimi migliaia di ragazzi – settemilacinquecento in tutto, per l’esattezza – che hanno accettato di prestare la propria collaborazione all’evento in cambio di due cose: un tablet e l’opportunità di poter arricchire il proprio curriculum grazie a un lavoro non retribuito. Questi “volontari” sono considerati da molti vittime di sfruttamento, ma anche presi di mira. In maniera simile a quei “choosy” che hanno scelto la strada #Iononlavorogratisperexpo.
Secondo Luca, “questa è una grande mercificazione, perché il volontariato si fa per il sociale e non per qualcosa che è costato miliardi di denaro pubblico ai fini di soggetti privati. Nella miseria sociale del nostro paese, dove la gente si laurea a 25 anni e a 40 se le va bene è ancora precaria, si gioca creando un falso immaginario per cui si dice che se farai il ‘volontario’, allora conoscerai migliaia di persone e avrai centinaia di opportunità per trovare un futuro lavoro. Come spiegare che sono tutte chiacchiere?
Si gioca su questa comunicazione suadente e sul fatto che la stragrande maggioranza della popolazione italiana è ignorante rispetto ad Expo e alle sue dinamiche. E ciò significa anche non approfondire tutto il ragionamento sulla retorica del volontariato!”
E’ ovvio che nella disperazione sociale ci si caschi: 7500 hanno accettato. Ma queste figure, che altrove sono sempre state lautamente pagate, avranno il compito di far funzionare parte di una macchina che genererà molto profitto.
E così, nel momento in cui la Grande Opera apre i battenti, la sua stessa materialità torna a tradirla, rendendo obsoleto ogni pilastro su cui va a poggiarsi: quello fisico, perché i muri di Expo traballano; quello retorico, perché lo “sterile antagonismo” della coomunicazione politica è facilmente smontabile; e infine anche quello strutturale, perché il sistema dei volontari, se non opportunamente alimentato, andrà a morire progressivamente.
Lasciamo ai posteri l’ardua sentenza, con l’auspicio di deprecarizzarci entro i prossimi sei mesi e correre a comprare un biglietto per Milano.
E buon Primo Maggio :)
Giulia C.
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