lunedì 1 febbraio 2016

[Tutùm Narrativa] - "Senza volersi impicciare" di Giovanni Mau



Illustrazione di Chiara Virgili


Lei lo esasperava, questo sì, e quando litigavano lui aveva quella voce forte che sembrava un tuono; lì per lì mi venivano i brividi a sentirlo urlare dall’altra parte della parete. Quando una situazione critica diventa parte della tua quotidianità, però, non stai lì a farti troppe domande: erano una coppia, e le coppie litigano. Non ci vedo niente di male. Quello che è successo è terribile, per carità. Io, poi, figuriamoci, preferisco gli animali alle persone. Però non mi sento affatto in colpa. Se avessero chiamato la polizia tutte le volte in cui ho sbraitato per rimproverare i miei figli, probabilmente starei scontando il terzo ergastolo.
Va detto che quando è arrivata la bambina la situazione si è molto distesa. Emma li aveva uniti. Sia chiaro, io non sono un impiccione; si dà il caso che io sia il portiere del palazzo e pure il loro vicino di casa: l’accoppiata mi rende consapevole delle dinamiche di quella famiglia, ecco tutto.
Rideva di continuo, piccolo angelo. Metteva allegria; al papà, soprattutto, che sembrava un’altra persona da quando c’era lei.
Ci ho riflettuto e sono arrivato alla conclusione che quei due diavoli avessero bisogno di qualcuno che si mettesse tra loro. Intendo fisicamente: tra loro. Avevano paura del silenzio, non so; magari gli faceva male constatare la differenza abissale tra quando passeggiavano mano nella mano e il presente. Fatto sta che persino il cane credo l’abbiano preso per quel motivo lì.
A proposito: solo Emma poteva giocarci; per il resto, l’uomo detestava l’idea che quel bassotto preferisse sua moglie a lui. Secondo me quell’uomo ha una sorta di predilezione per gli esseri viventi che non parlano: tanto è taciturno con le persone, tanto è a suo agio con animali e bambini. Non escludo si chiuda in un vivaio, da vecchio, per accudire le piante più longeve del pianeta.
A vederli, lui sembrava un bambino e lei una mamma. C’era da aver paura di lei: piaceva a tutti. Ci deve essere almeno un aspetto ambiguo nella personalità di una persona, dico io, per renderla plausibilmente sana. E non mi sbagliavo, a conti fatti: hai voglia a dirmi che sono pettegolo. La signora è pazza. Lo dico senza giudicare.
Quello che non mi spiego però è come abbia avuto il porto d’armi. Su internet c’è scritto che quantomeno bisogna avere una ragione valida per ottenerlo. Valla a trovare, una ragione valida.
Che poi, si fidi, a lei è mancato il coraggio. Ad essere maliziosi ci si indovina sempre: voleva ammazzare il marito. Emma l’ha salvato, glielo dico io. Non lo so cos’avesse fatto per convincere sua moglie che fosse il caso di spazzarlo via dal mondo come fosse un rifiuto riciclabile; deve aver intercettato lo sguardo di Emma, credo, e deve aver cambiato idea in un microscopico momento di lucidità.
Deve aver pensato che mutilarlo sarebbe stato ancora peggio che ucciderlo, giacché con gli esseri umani non ci voleva parlare. E sa qual è la cosa peggiore? Sono certo che per un momento altrettanto microscopico lei abbia pensato che la vera punizione fosse spazzare via dal mondo Emma.
Pensi: una pallottola sola. Una moglie, una madre, una donna, una bambina, un padre, un uomo. Quante cose da annientare con un colpo di pistola.
Io non sono un impiccione ma in quel momento avrei voluto essere una mosca per vedere quella mano cambiare direzione come una scheggia impazzita: immagino movimenti febbrili e l’espressione dell’uomo che prima teneva per mano.
E poi Emma, unico frutto sano in un micro universo marcio.
Immagino poi l’atto finale: la pistola puntata verso quel povero cane. Immagino lo sparo, Emma che non ride più.

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