"La poesia si pone nei confronti della guerra come Perseo di fronte alla testa della Gorgone, così come la evoca Calvino nelle sue Lezioni Americane: perché il poeta non rimanga pietrificato dall'orrore con tutto il suo corpo o la poesia divenga incapace di dire, la scrittura deve guardare non la testa, ma i suoi riflessi nello scudo"...
Con queste parole Costanza Ferrini, fondatrice della casa editrice "Il Sirente", apre la raccolta "L'autunno, qui, è magico e immenso" del poeta curdo-siriano Golan Haji.
Haji è madrelingua curdo, ma scrive prevalentemente in arabo. Lavora come traduttore e medico patologo a Parigi, perché è stato costretto ad esiliarsi da Damasco nel 2011. Appartiene a quella minoranza a cui il regime ha negato il diritto alla propria lingua e cultura, e nella raccolta di cui noi oggi daremo un estratto ha descritto la Siria e i suoi dolori con quella che la Ferrini, nella prefazione, ha definito una "Contemporaneità antica. Egli descrive ciò che è dentro il suo tempo come se ne fosse al di fuori, rappresentando ciò che nella terra non è scalfito dalla temporalità".
Haji è madrelingua curdo, ma scrive prevalentemente in arabo. Lavora come traduttore e medico patologo a Parigi, perché è stato costretto ad esiliarsi da Damasco nel 2011. Appartiene a quella minoranza a cui il regime ha negato il diritto alla propria lingua e cultura, e nella raccolta di cui noi oggi daremo un estratto ha descritto la Siria e i suoi dolori con quella che la Ferrini, nella prefazione, ha definito una "Contemporaneità antica. Egli descrive ciò che è dentro il suo tempo come se ne fosse al di fuori, rappresentando ciò che nella terra non è scalfito dalla temporalità".
"Sono un impavido curdo", diceva quando il camion l'ha investito alle due di notte:
Non ho visto il suo splendido viso,
all'inizio dello scorso novembre:
aveva le tigri bionde
del sole autunnale infilate tra i capelli,
una camicia color vecchia
cicatrice sulle spalle
e un cuore pallido di lattuga fresca tra i denti.
Ora non oso uscire. Ho le ossessioni
sparse ovunque come spie.
In questa quiete che avevo sempre atteso,
tra vecchie piante di pepe,
dietro fusti di cipresso,
ascolto il calar della sera e l'addensarsi
della notte intorno a me.
Freddo. Buio.
Le stelle brillano sopra il soffice muschio.
L'errore:
Ho perso la scommessa
ch'era persa in partenza.
Lo spirito non è mai stato un uccello
di cui puoi addentare l'uovo,
reso orfano nel comignolo
dal fantasma dell'infanzia.
Lo spirito non è mai stato
una farfalla con la peluria a puntini
a cui puoi dar la caccia tutte le volte che t'annoi,
Né una foglia che lasci seccare sul muro,
per poi calpestarla, se vuoi, col tacco.
Lo spirito è sangue mesto
che da sempre macchia le terre,
rosso vivo e silenzioso
come il rivolo della prima mestruazione.
Un soldato in casa di cura:
Gli ho chiesto tregua mentre m'invadevano
per tapparmi la bocca con le cinture di cuoio,
sicché l'urlo m'è tornato in gola
distruggendo quel che mi restava da dire.
Mi svegliano le braccia anchilosate,
per quanto ci avevo dormito sopra,
e vedo tutti quelli che mi fissavano, poc'anzi.
L'aria viene lacerata,
come la mia bocca, ma non sento niente.
Fisso un unto nel bianco sporco,
che poi si trasforma in un occhio che mi fissa,
e ovunque guardi mi vedo moltiplicare.
Gli sguardi mi divorano,
mentre di me non rimane
che una pelle così sottile che,
se solo la sfiorassi, sparirei.
Io sono il pane degli invisibili.
Quanto mi terrorizzano gli occhi degli atterriti!
Ogni spaventato ne spaventa un altro.
Dalla raccolta "L'autunno, qui, è magico e immenso", di Golan Haji. (Casa editrice "Il Sirente", collana "altriarabi")
Rubrica a cura di Julia
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