"La luce del poeta è la contraddizione"
Federico Garcìa Lorca
Era il 26 giugno del 1929 quando Federico Garcìa
Lorca mise piede per la prima volta a New York.
Dalla sua terra oltre oceano, la rossastra Andalusia dagli echi arabo-gitani, il poeta era arrivato nel nuovo continente per studiare alla Columbia University di New York. La sua ultima raccolta, Romancero Gitano (1928), aveva sostenuto difficilmente - come la gran parte dei best-seller - le dure accuse della critica. La sua storia d'amore impossibile con Salvador Dalì era ormai giunta al termine dopo gli infiniti ostacoli che l'avevano tormentata. Perfino il suo amante, Emilio Aladren, l'aveva lasciato per una donna. Quando Federico Garcìa Lorca seppe che il professore amico di famiglia Fernando de los Rios sarebbe andato alla Columbia University quell'estate, comprese che l'unica soluzione al sentimento mortifero che lo accompagnava era fuggire nel nuovo continente. Chiese al padre il permesso, si iscrisse alla Columbia University per migliorare il suo inglese.
Quel percorso di studi non giunse mai al termine, ma a New York Federico Garcia Lorca trovò ben altro.
La città divenne la metafora perfetta della sua condizione interiore. New York, con la sua architettura extraumana, con il suo ritmo furioso, con la sua geometria e la sua pena, era uno specchio perfetto di sé. Da questo connubio empatico nacquero le liriche di Poeta a New York (1929-1930), dove a dominare sono il surrealismo e la tortuosità. Ormai l'unico domani della metropoli è quello che affoga nel sangue, New York geme come i suoi poeti. |
L'aurora di New York ha
quattro colonne di fango
e un uragano di nere colombe
che guazzano nelle acque putride.
L'aurora di New York geme
per le immense scale
cercando nei cantoni
balsami di angoscia disegnata.
L'aurora arriva e nessuno l'accoglie nella sua bocca
perché non c'è domani né speranza possibile.
A volte il denaro in sciami furiosi
trapassa e divora bambini abbandonati.
I primi che escono sentono sulle loro ossa
che non vi sara' paradiso né amori sfogliati;
sanno che vanno a un fango di numeri e di leggi,
a giuochi senz'arte, a sudori senza frutto.
La luce è sepolta da catene e rumori
in un'impudica sfida di scienza senza radici.
Nei sobborghi c'è gente che vacilla insonne
come appena uscita da un naufragio di sangue.
Rubrica a cura di Serena Mauriello
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